FORLÌ. Situata a nord ovest rispetto al centro topografico di Forlì, l’abbazia di San Mercuriale nonché basilica minore, è l’edificio attorno al quale, dal XII si è sviluppato il nucleo medievale della città diventando uno dei simboli Emiliano-Romagnoli.
La datazione risalente al 1178 come inizio dei lavori risulta difficoltosa da definire in particolar modo per quanto riguarda il periodo della fondazione con ogni probabilità i epoca alto medievale.
Le fonti documentarie, scarse o confuse che caratterizzano questi secoli, non consentono di fissare estremi cronologici precisi.
In origine la chiesa si trovava al di fuori del nucleo urbano, separata dalla città dal letto del fiume Rabbi o da uno dei suoi affluenti riportato come canale che attualmente passa sotto il porticato del palazzo comunale.
Fin dai primi secoli della cristianità, la comunità locale era solita ritrovarsi in questa zona, tanto che si hanno notizie della presenza di un cimitero ed in seguito di un luogo di culto, verosimilmente risalente all’episcopato di san Mercuriale, che guidò la comunità cristiana forlivese attorno al V secolo. Facendo affidamento alle fonti ci si troverebbe in un contesto politico caratterizzato dai regni romano barbarici e con la presenza di numerose correnti gnostiche.
Il santo, secondo la tradizione dei dei primi secoli, si fece seppellire in un sepolcreto posto ad est della città e si può ipotizzare che anche i successivi vescovi ne abbiano seguito l’esempio, anche in considerazione del divieto, in vigore fino al V secolo, di inumare i corpi entro le mura cittadine.
Proprio per l’usanza di seppellire i vescovi nelle cattedrali, alcuni studi¹ ritengono possibile avanzare l’ipotesi che la prima cattedrale di Forlì sorgesse nel luogo dell’attuale abbazia e che fosse di seguito trasferita nel centro cittadino nella chiesa di santa Croce.
Considerando però che per raggiungere l’abbazia fosse necessario oltrepassare la cinta muraria dell’area di suburbio prospiciente, l’ipotesi a sostengono che la cattedra del vescovo avesse sempre avuto sede nell’attuale Santa Croce, nel centro cittadino, non è da. Scartare.
L’attuale abbazia, avrebbe ricoperto il ruolo di centro plebano fuori città.
Secondo una tradizione tramandata dal cronista quattrocentesco Leone Cobelli², sul luogo dell’attuale abbazia sorgeva una chiesa dedicata al protomartire Stefano, prima vittima santificata della persecuzione nella storia cristianità.
È possibile ipotizzare che, a seguito del lungo periodo di incertezze causata dalle invasioni del V e del VI secolo, e della gestione del territorio fra popolazioni Franche e longobarde, con una rilevante ‘influenza bizzantina e dello stato pontificio fra i ducati di Benevento e di Spoleto, una comunità di credenti cominciò a vivere in una zona esterna alla cinta difensiva della città nei pressi della tomba del primo vescovo, Mercuriale venendo in seguito a traslare le reliquie del protovescovo e dei santi Marcello e Grato in un nuovo edificio religioso.
Attorno a questi fatti e a questo periodo si può far risalire l’intitolazione della chiesa non più a Santo Stefano ma a Mercuriale tenendo fede alla data del 30 aprile, che la tradizione lega alla festa del patrono come al giorno della traslazione delle reliquie.
La più antica testimonianza della chiesa e del monastero di San Mercuriale risalgono ad un atto nell’archivio storico dei vallombrosani,³ datato 8 aprile 894, con il quale, Domenico Ublatella, arcivescovo di Ravenna, fece una donazione di alcuni fondi a Leone, allora abate di San Mercuriale⁴.
L’atto notarile riporta estremi relativi allo status del complesso abbaziale⁵ con notazione indicante ” non longe a civitate Liviensi.”⁶
Altri dettagli relativi a questo periodo possono essere trovate nel Libro Biscia.
Il codice che contiene i dati della città dal X fino al XII secolo, riporta una sezione quale vengono riportate decine di atti notarili, donazioni, privilegi e transazioni in cui i monaci sono talvolta concessionari e talvolta concedenti come per esempio un altro atto del 14 maggio 962 nel quale si stabiliscono alcune permute di terreni tra l’abate ed il vescovo di Forlì.⁷
Gli scavi archeologici condotti nel 1951 hanno permesso di ritrovare le fondamenta della prima chiesa, che aveva il medesimo orientamento di quella attuale, rinvenendo l’antica cripta sopra la quale fu riedificata la cripta romanica attuale.
La storia del basso medioevo a partire dal 1173, a seguito di scontri tra guelfi e ghibellini, e di un incendio scaturitone, numerose costruzioni andarono perse, oltre provocare danni incentivare la città, compreso anche l’edificio di culto. Sull’area della chiesa distrutta venne avviata la riedificazione di una nuova abbazia, in stile romanico e di dimensioni maggiori rispetto alla precedente e più elevata, in modo da porre rimedio agli straripamenti causati dal fiume Rabbi che nel frattempo aveva subito deviazioni dell’alveo a scopo irriguo.
I lavori di riedificazione dovettero terminare attorno al 1181 perché, come ricorda un documento di quell’anno, il vescovo Alessandro⁸ poté predicare all’interno della nuova abbazia.
L’ edificio era tre navate e tre absidi, con un altare centrale che poggiava su una voluminosa cripta, un protiro che precedeva il portale, e il possente campanile che ancora desta oggi stupore. Compare anche l’intitolazione a San Mercuriale, della quale comunque si hanno le prime notizie già nel IX secolo.
Del protiro, presente in quasi tutte le chiese romaniche di stile lombardo, qui riproposto in terra emiliana secondo la migliore tradizione, rimangono poche tracce nella struttura attuale dell’abbazia.
Alcune di queste sono due mensole in marmo, a forma di goccia, ai lati del portale, ma troppo poco per stimarne l’impatto complessivo del protiro originario sulla struttura.
Fonti documentarie⁹ non incoraggiano a credere autentico il resto di un leone, presente nel museo della fabbrica, consunto e deformato dal tempo e dalle intemperie.
Si tratta di una scultura che è sempre stata senza testimonianze di alcun tipo, considerata lo stiloforo del protiro.
In realtà, è stato recentemente dimostrato che la scultura è ciò che resta del monumento della crocetta, che sorgeva sul Campo dell’Abate nel XIII secolo.
La nuova costruzione testimoniava la ricchezza raggiunta dall’abbazia forlivese, in grado di finanziare un così monumentale edificio, decorato da maestranze di fama e molto ricercate nei cantieri dell’epoca, come quelle che scolpirono la lunetta del sovrapporta.
Tra il X ed il XII secolo il monastero aveva ricevuto continue donazioni e privilegi che ne avevano aumentato il potere e lo avevano reso indipendente dall’autorità episcopale e dalle potenti chiese del ravennate le quali più di ogni altro facevano percepire la presenza del potere pontificio.
In contrasto con questa situazione giuridica particolare appaiono dunque le donazioni del vescovo Alessandro, vescovo di Forlì per il periodo eccezionalmente lungo per quell’altezza cronologica di trent’anni, dal 1160 al 1190, avevano favorito l’abbazia che a quel punto era diventata proprietaria di fondi e terreni posti ad est della città.
La sua influenza si spingeva fino alla pieve di San Martino in Barisano.
Il vescovo Alessandro, peraltro, è noto per aver chiamato i monaci vallombrosani a governare l’Abbazia. Difficile spiegare per quale motivo il vescovo abbia concesso all’abbazia tali privilegi che andavano a discapito del proprio potere, ma è possibile pensare che vi fosse una profonda stima ad unire il vescovo con i benedettini vallombrosani. Proprio tali ricchezza, prestigio e autonomia diventarono ben presto causa di dissidi e frizioni fra l’abate e i vescovi successori di Alessandro, probabilmente acuiti anche dal fatto che i due poteri religiosi (quello monastico e quello episcopale) andavano a contendersi il potere sulla città così come sulle reliquie dei vescovi.
Il complesso abbaziale non era costituito solo dalla chiesa, ma anche dal monastero con l’annesso chiostro, dal cimitero e da un ospedale per l’accoglienza dei pellegrini, i quali dovevano essere numerosi considerata la posizione privilegiata di passaggio della città lungo la via Emilia, in direzione di Roma o dei porti meridionali verso la Terra Santa. A dimostrazione di ciò, è ancora conservato un capitello del XII o XIII secolo che, collocato un tempo nella cripta, rappresenta San Mercuriale benedicente mentre, sul lato opposto, un monaco accoglie un pellegrino.
L’aumento demografico della città attorno al XII secolo, così come l’aumento della propria importanza politica come centro del ghibellinismo romagnolo, portarono all’ampliamento della cinta muraria, con l’annessione della chiesa nel centro cittadino almeno dal 1161 e lo spostamento del campo dell’abate all’interno del nucleo urbano verso il quale furono gradualmente spostate le attività commerciali. Nel 1212 il Comune richiese all’abbazia la concessione del terreno per l’istituzione della futura piazza. La chiesa veniva perciò ad assumere un notevole potere all’interno della città. Essa venne perciò ingrandita ulteriormente e nel XIV secolo vennero costruite due nuove cappelle laterali che, collegate da un portico in stile gotico, modificarono l’aspetto originario delle architetture romaniche.
La chiesa rimase fuori dalle mura fino al XIII secolo, quando fu inglobata all’interno del tessuto urbano. Nei secoli, il “Campo dell’Abate” si trasformò nella “Piazza Maggiore” e l’abbazia divenne parte dell’attuale centro storico. Nel XIV secolo il protiro viene sostituito dal portale gotico tuttora esistente e vengono realizzate le due cappelle laterali di facciata, estroflesse rispetto alla struttura e demolite nel 1646 (rimangono oggi i due archi con la monofora centrale). Anche l’abside viene poi rifatta nel 1585.
L’intero complesso, in alcune parti, mostra rifacimenti di parti distrutte nei bombardamenti del 1944.
Si impone un confronto serrato con le parti autentiche del medioevo pieno e la possibilità di apprezzarne tutto il repertorio decorativo nelle zone nevralgiche degli spazi liturgici come l’area dei collaterali, in prossimità di capitelli, questi prevalentemente a scudo, cornici strombature nelle monofore e semi pilastri o semi colonne addossate agli stessi.
L’allegoria è la metafora sono la cifra distintiva con la quale sono narrate le scene sacre ma anche pagane e moraleggianti poste in particolare sulle soglie sfruttando le lunette di sovrapporta.
Internamente si mostra scelta insolita il dimensionamento in altezza, quasi identico dell’ordine inferiore a quello superiore, di semi colonne addossate a pilastri.
Questa soluzione, pur non negando identità di matrone al secondo dei due ordini, in realtà si configura come una scelta di preferenza volta al carattere volutamente diverso dagli esempi coevi dell’edificio sacro.
LUCA NAVA