ALLE ORIGINI DELL’ALCHIMIA: ESOTERISMO E RICERCA NELL’ANTICO EGITTO.

Stele raffigurante l’offerta d’incenso di un sacerdote al dio Ra-Harakhty-Atum FONTE WIKIPEDIA

MILANO. L’arte dell’alchimia,  sviluppatasi precipuamente in epoca medievale, affonda i suoi prodromi le sue origini nell’antico Egitto.

Non risulta azzardato affermare dell’alchimia come tale disciplina costituisca, unitamente a rituali sacri, di cui si conosce relativamente poco.

Le  pratiche alchemiche restano infatti avvolte da un’aura di magia, sia nella parte piu empirica, sia quella che coinvolge aspetti inerenti la metafisica.

Per gli egizi la pratica dell’alchimia era un modo di preoccuparsi di quella che oggi si chiama anima, ma loro la intendevano come dimensione psichica universale.

La chiamavano heka: l’antica tradizione che fa risalire il termine “alchimia” al sostantivo Kemet, nome con cui gli abitanti delle rive del fiume sacro designavano l’Egitto: Kemet. La Nera. Come la terra fertile e scura bagnata dal Nilo appunto, fango come incipit di una copertura che donava la vita.

Legato alla nascita dell’alchimia è il nome di Zosimo di Panopoli (situata nell’Alto Egitto), e della sua persona nulla è noto, contrariamente ai suoi scritti, invece letti e diffusi soprattutto dal 900 d.C. ; si conosce la fama che li accompagna, erano largamente apprezzati in Arabia, Mesopotamia, Siria e in generale in tutta la mezzaluna fertile.

I testi più antichi dell’Arte alchemica risalgono al II secolo d.C. e sono stati redatti in greco, poi tradotti non sempre in modo corretto e fedele all’originale in siriaco e latino; esattamente come i vangeli, soprattutto quelli apocrifi i quali detengono legami più che significativi con molte parti della pratica iniziatica e alchemica, nonché similari a figure di santi.

 Al principio del III secolo però la pratica cominciò a essere frequentemente ravvivata anche il Grecia, al punto tale da far sorgere dubbi sul reale luogo di origine dell’alchimia e della simbologia ad essa legata nel mondo artistico.

Una serie di indizi conduce primariamente verso l’Egitto, ad esempio il nome dei primi maestri dell’Arte occulta: Ermete Trismegisto, poeta e messaggero greco, noto anche come il Thot degli egizi e poi ancora Phimenafra.

 Sul fronte dell’alto egeo invece, gli scritti greci relativi a pratiche alchemiche foiniscono per sovrapporsi a nomi di divinità egizie, come quelli che compongono la celebre triade di Iside, Osiride e Horus che poi diverranno altrettanti equivalenti nel pantheon greco.

E’ stato osservato che a tale proposito che proprio la cultura egizia fu da sempre particolarmente legata alla pietra. Ne sono chiaro segno quanto si trova sull’altopiano di Giza: tonnellate di pietra impiegate nella costruzione delle piramidi, della sfinge, dei templi e delle mastabe.

 l’Egitto antico era uno Stato letteralmente  “di pietra”  nel vero senso del termine.

L’assonanza con un’altra pietra, quella filosofale, riveste nelle discipline alchemiche un ruolo di primaria importanza.

Erik Hornung cita in un suo saggio alcuni passaggi tratti da un decreto del dio Ptah che sono stati riferiti al faraone Ramesse II. Un’iscrizione immortalata nel tempio di Abu Simbel che recita cosi::

Farò sì che le montagne ti donino imponenti e maestosi monumenti di pietra. Farò sì che i deserti ti donino tutte le pietre preziose su cui possano essere incisi documenti in tuo nome” (E. Hornung, Das geheime Wissen der Ägypter”)

Al Nuovo regno risalirebbero dunque le testimonianze scritte più remote di pratiche alchemiche, quelle che provengono direttamente da testi geroglifici. In questo, particolarmente interessante è il fatto che nelle iscrizioni riportate nei templi di Dendera ed Esna si parli dell’abilità degli antichi egizi nel produrre materiali sintetici da semplici naturali.

 Per esempio, pietre preziose sintetiche che avevano lo scopo di rimpiazzare, nei gioielli regali le pietre vere. Questo, ancora una volta lo si deduce da un’altra testimonianza.

In particolare in un’iscrizione apportata in occasione della consacrazione del tempio di Month, a Karnak, il faraone Amenophis III (1390 – 1353 a.C.) parlò della costruzione di un edificio sacro in pietra arenariaper tutta la sua lunghezza rivestito di oro djam, i portali di oro djam, ornato con pietre preziose, il pavimento di oro nebui, le ante delle porte realizzate in legno di cedro e con rame asiatico.”Considerando che gli egizi usavano il termine oro djamper indicare una lega di oro e argento, e oro nebui per indicare l’oro puro.

E poi vi è un indizio di grande importanza in merito alla pratica di trasformazione degli elementi: la stanza del tempio di Dendera (circa 50 km a nord di Luxor) che fungeva da laboratorio dei sacerdoti. Questa veniva chiamata “casa dell’oro”, serviva alla fabbricazione di oggetti di culto rivolti al dio Thot, vale a dire, l’Ermes Trismegisto greco, da cui il “corpus ermeticum” tramandato alla latinità e di fondamentale importanza nel mondo esoterico.

Secondo i misteri di Osiride, nelle stanze segrete del tempio di Dendera avveniva un rituale sacro della trasmutazione di cereali in oro. Proprio nei sotterranei del tempio di Dendera si trovano le cripte dalle incisioni geroglifiche che ancora oggi fanno discutere: sono state suggerite differenti interpretazioni di quelle raffigurazioni dall’intonazione criptica.

L’egittologia ha identificato nelle strane forme dei fiori di loto, talvolta le steli del serpente, che già appaiono accanto ai monumenti funerari delle prime dinastie. Tuttavia bisogna dire, a onor del vero, che tutte queste letture restano pur sempre interpretazioni prive di prove decisive, e quindi solo ipotesi, ben lungi dal fornire conoscenza indubitabile.

Nel tempio di Edfu (Alto Egitto), un altro sito denso di storia, si parla di Horus come del dio che “formò le montagne e creò le pietre preziose”. Le iscrizioni del  tempio di Edfu risalente all’epoca tolemaica, riportano numerose ricette per la produzione di incenso e olio di salvia, ingredienti da utilizzare per la purificazione delle statue sacre. I testi recitano:“Si tratta di un segreto che non può essere visto o udito da nessuno.”

 A questo si potrebbe aggiungere l’efficacissima interpretazione in chiave figurata di Erik Hornung, il quale scrive:

Bisogna cucinare diverse misture e poi lasciarle riposare per due giorni come nei testi alchemici più tardi, e nel settimo giorno di cottura è necessario aggiungere all’olio di salvia delle pietre preziose tra cui oro, argento, lapislazzuli, diaspro rosso, verde feldspato e corniola, i quali devono essere tutti polverizzati con cura. Questa è alchimia nel vero senso del termine, e già nel II secolo dopo Cristo!” (E. Hornung, ibidem)

Forse per questo motivo l’alchimia negli antichi scritti arabi è descritta come “la scienza dei templi egizi”? Gli studiosi arabi narrano che i maestri dell’alchimia Zosimo ed Ermes/Thot riportarono le loro iscrizioni occulte nelle cripte dei templi. Il testo segreto di Zosimo sarebbe stato inciso nella città di Akhmim e occultato sotto una lastra di marmo di una tomba sotterranea; mentre il secondo testo si sarebbe trovato nel tempio di Dendera, proprio sotto una statua di Artemide, occultato, nemmeno a dirlo, in una cripta.

Dunque sempre la cripta come eterno motivo e luogo suggestivo e dei segreti.

Una cavità ricavata dalla mano dell’uomo  nella terra, in cui la luce naturale non può fare chiarezza. Laddove l’occhio del profano non poteva sconsacrare l’opera occulta del maestro alchimista.

In questo luogo si operava al chiarore delle fiaccole o delle lampade a olio.

 La palma del maestro tre volte grande spetta a Thot/Ermes, che gli egizi avevano accolto nel loro pantheon tra gli dei, facendone il signore della saggezza e delle parole segrete. La tradizione araba conosce addirittura tre Ermes: il primo sarebbe vissuto in Egitto prima del diluvio universale e avrebbe costruito un tempio ad Akhmim; il secondo visse dopo il diluvio nel Basso Egitto e fu il maestro di Pitagora; il terzo visse anche in epoca postdiluviana, nella città di Misr (Cairo) e scrisse un trattato alchemico.

Ma anche il dio Osiride , il giudicante le anime è strettamente legato all’alchimia. 

Di certo l’alchimista si rifaceva all’antichissima tradizione dei Testi delle piramidi, che videro la luce nelle prime dinastie e attribuivano al corpo morto di Osiride dei poteri sovrannaturali di rinascita e rigenerazione.

Dinamiche di morte violenta e resurrezione ciclica, erano presenti già nelle religioni pelasgiche, poi trapassato nell’induismo, infine nel cristianesimo.

 La putrefazione non è che uno dei passaggi principali del processo alchemico di trasformazione (che descriveremo piu avanti) e così è descritto, nei testi del Nuovo regno, Osiride disceso nell’oltretomba. Da lì, dopo essersi putrefatto, il corpo del dio rinasce rinvigorito e splendente e torna alla superficie avvolto nel manto del sole.

Sempre da un passaggio importante dal saggio di Erik Hornung si evince:

La fabbricazione di una statua della mummia veniva concluso nell’Egitto antico con la cerimonia dell’apertura della bocca che doveva trasmettere la capacità di utilizzo di tutti i cinque sensi. Questo rituale, con cui ogni opus degli antichi egizi veniva conclusa, nell’alchimia viene sostituito dall’unione dei quattro elementi. Nella Tabula Smaragdina, il sole, la luna, il vento e la terra sono i quattro elementi terrestri cui si aggiunge la quintessenza, il quinto elemento. (…)”

Osiride quindi si rivela come una divinità dal carattere evidentemente alchemico, il dio la cui testa veniva particolarmente venerata e conservata ( come anche Anubi e Thot) come una reliquia nel tempio di Aibdo.

 In quel luogo dell’Alto Egitto oggi si trovano i resti monolitici del misterioso Osireion. L’alchimista Zosimo scriveva:“E tutti gli elementi vengono mescolati insieme, e tutti gli elementi vengono sciolti, e tutto si unisce di nuovo, e tutto si mescola di nuovo.” Solve et coagula” diverrà uno dei mantra dell’alchimia occidentale.

Alchimia. Trasformazione e rinascita di cui Il “Corpus Hermeticum”gia evocato, una raccolta di cui ci sono rimasti 18 trattati, fu redatto alla  fine del II secolo d.C. esarebbe divenuto il testo principe degli umanisti cinquecenteschi appassionati di arti occulte.(si ricordi il regno di Rodolfo II).

 Ma già nel I secolo circolava uno scritto in egizio demotico che portava il titolo di “Libro di Thot”. Ne è rimasta traccia in numerosi papiri. Si tratta di un dialogo di Thot e Osiride con un discepolo. I temi sono di forte carattere esoterico: la geografia sacra d’Egitto, l’oltretomba, le lingue criptiche e i misteri sacri.

Questo è (forse) il piu antico punto di partenza da cui si può iniziare per tentare di decriptare l’intento occulto della pratica alchemica…..[…].

Nava Luca , psf