ALMOST BLUE: NAPOLEONE E TALOTTA ALLA MOREGOLA GALLERY

Napoleone e Talotta

BUSTO ARSIZIO. Domenica 5 novembre alle ore 17 si inaugurerà alla “Cristina Moregola Gallery” di Busto Arsizio la mostra “Almost Blue” a cura di Lorenzo Fiorucci, una doppia personale con le opere di Giulia Napoleone e di Alfonso Talotta. Il titolo della mostra fa riferimento al brano musicale del grande jazzista Chet Baker che la Napoleone, appassionata di musica jazz, ha conosciuto personalmente a Roma. La mostra vuole essere un dialogo intorno al colore blu, il colore della profondità, del cielo, del mare, colore infinito. Interessante la diversa interpretazione che i due artisti danno su questo cromatismo: più poetico e musicale quello di Giulia Napoleone (Pescara, 1936), più costruttivo e strutturale quello di Alfonso Talotta (Viterbo, 1957). Di seguito alcuni passi del testo di Lorenzo Fiorucci : “Una mostra di dialogo, non può non essere che questa la premessa che sottende “Almost Blue”. Una mostra che vede rapportarsi due artisti di generazioni diverse, uniti da un senso pittorico comune, proiettati entrambi verso la necessità di una lirica astrazione. Un avvicinamento da due strade differenti è infatti ciò che caratterizza Giulia Napoleone e Alfonso Talotta, che in questa circostanza trovano motivo di incontro sotto il segno di un colore… È infatti un colore d’orizzonte quello della pittrice abruzzese, che guarda lontano e che sembra immergere la punta del pennello nella densità di quel mare Adriatico, che ha illuminato, e continua a illuminare, gli occhi vivaci dell’artista. E come gli orizzonti di quel mare hanno forse contribuito a ispirare l’Infinito leopardiano – ove il poeta annega dolcemente quell’attimo di eterno che preziosamente ci dona – la pittura di Giulia Napoleone, che molto ha a che fare con la poesia, proietta chi la osserva verso un infinito spirituale, regalando all’occhio continui sobbalzi luminosi attraverso il riverbero che sortisce da quelle increspature del colore che, linea su linea e tono su tono, la pittrice affianca con cura in queste grandi tele. Il risultato è un orizzonte tonale, che ricorda le lunghe note della tromba di Chet Baker. Note rotonde e calme, dove l’armonia sovrasta ogni senso melodico soggiogando alla densità del suono il ritmo che diviene costante e lento, come nelle tele di Giulia che sembrano sussurrare, riga dopo riga, una nuova alba all’orizzonte. Se infatti l’occhio è appagato dalla consistenza cromatica, la mente si apre alla visione di un altrove slegato da ogni legame con il reale, ma aperto a un laicismo spirituale, che per certi aspetti ricorda la densità eterea di Mark Rothko e la sua capacità di sviluppare risonanze emotive al di là di ogni elemento razionale… Dalla sedimentazione di linee muove invece la ricerca di Alfonso Talotta, che si offre come genesi per nuove forme. Già dalle origini della sua attività, sul finire degli anni settanta, il suo approccio all’arte si formalizza attraverso l’idea di impronta pneumatica di quelli che sono forse le sue opere più iconiche: I tracciati urbani, realizzati quando ancora l’oggetto della sua ricerca era improntato più su un’azione di partecipazione sociale, piuttosto che su una vera e propria pittura astratta. Tuttavia quegli elementi impressi sulla tela sono la base di partenza di una ricerca, che con il tempo si è fatta più pittorica e maggiormente dedita alla forma generata attraverso il colore. Quello di Talotta è un colore di superfice, mai denso, ma velato o forse meglio “sporcato” da contaminazioni, sovrapposizioni e riemersioni del fondo, che donano dinamicità all’insieme. Il colore è steso linea su linea e definisce dunque la forma che lo contiene, negando ogni confine netto e scientemente disegnato che, all’opposto, si genera come riflesso dove la serie di linee cromatiche si interrompono. In queste ultime tele si aggiungono tuttavia nuovi elementi come il rilievo della superfice, che acquista profondità di campo, in cui la costruzione di due elementi sovrapposti prelude a una nuova e vivace fase sperimentale dove al colore, da sempre dominante, si affianca l’oggettualità seppure intesa, ancora, come elemento di supporto. Il secondo dato si registra nella specularità della forma, in particolare in questi ultimi dittici in cui il doppio non duplica, ma completa, in una nuova unità, la forma originaria.”