ARTE E EROS: KLOSSOWSKI, MOLINIER, BELLMER E RAMA AL MART

Uno scorcio della mostra, fonte: press kit Mart

ROVERETO (TN). Il Mart di Rovereto ospita una mostra dedicata al rapporto arte e eros è nata da un’idea di Vittorio Sgarbi e Massimo Minini con la curatela di Denis Isaia in collaborazione con l’Associazione Belle Arti di Brescia. Essa costituisce la prima tappa di una trilogia Eretica e Erotica che intende far emergere la vita e le opere di artisti novecenteschi, i quali hanno saputo infrangere i canoni morali del loro tempo, additando alle future generazioni un campo aperto di sperimentazioni artistiche volte ad indagare la stretta connessione tra arte e immaginario erotico sulla scorta di pulsioni sessuali talvolta estreme e scabrose, comunque tutte umane, tenute a freno dal cosiddetto Super Io dell’individuo, il quale è tenuto al rispetto delle norme etiche e morali del momento storico in cui vive. Un apripista, in tal senso, fu certamente Pierre Klossowski (1905-2001), figura poliedrica della Francia del Novecento, filosofo, scrittore, traduttore e pittore, un autentico figlio d’arte come si suol dire, che negli anni Trenta si confrontò intellettualmente con le opere del Marchese De Sade, arricchendo il suo già fervido immaginario erotico, pur non scordando le fascinazioni surrealiste. Dopo una breve parentesi monastica, egli decise di sposarsi nel 1947 con Denise Marie Roberte Morin-Sinclaire che diverrà uno dei soggetti principali del suo immaginario erotico e artistico. Tra il 1953 e il 1960 pubblicò, tra l’altro, la trilogia Le leggi dell’ospitalità, detta anche di Roberta, in cui l’autore problematizza il rapporto tra teologia ed erotismo nelle figure chiave di un prete perverso e fuorviato e della moglie atea e socialradicale che si lascia traviare dal marito, assecondandone i desideri erotici dopo la cosiddetta revoca del loro “Editto di Nantes privato”. Fu a partire dal 1953 che Klossowski iniziò a illustrare con disegni di grande formato i suoi romanzi e a fare ritratti agli amici più intimi. Una tappa importante e conclusiva della sua produzione letteraria fu il romanzo Il Bafometto edito nel 1965, in cui egli, recuperando le accuse mosse dall’Inquisizione cattolica nei confronti dei Templari, considerati eretici, sodomiti, alchimisti e adoratori di una singolare divinità alata e munita di corna, dai tratti bestiali e androgini, chiamata il bafometto, riattualizzò il templarismo occulto, creandone una vera e propria leggenda, mescolando “erotismo e sacralità, perversione e trascendenza”. Deleuze definì tale opera “stupefacente”, dal momento che l’autore seppe giungere a un’ ”unità di teologia e pornografia” a “un qualcosa che chiamerei pornologia superiore”. Dal 1965 fino alla fine dei suoi giorni si dedicò interamente al disegno prima a matita e poi a pastelli colorati. La mostra del MART presenta per la prima volta in Italia un gruppo consistente di disegni, 48 in tutto, di grande formato, che riprendono situazioni e motivi erotici già presenti nelle sue opere letterarie ma non solo (Le Baphomet, 1957; Roberte e les collégiens, 1967- del disegno esistono diverse versioni; Le jeune Ogier dans les bras du Frère Labire, II, 1972; Roberte interceptée par les routiers, 1973; Le petite rose, 1974; Le maniaque du Pont Royal, 1974; Barres parallèles, 1976; Roberte sermonant son neveu, 1977; Roberte et le maniaque dans l’autobus, 1978; Lutte amoureuse, 1985). I temi principali dell’artista francese sono essenzialmente la ritualità religiosa, l’aggressione, il feticismo e la curiosità morbosa dell’adolescente che è alla scoperta del sesso con modalità istintive, irrazionali e voyeuriste. Anche la figura dell’ermafrodita, partecipe sia della natura maschile che femminile, diviene un soggetto accattivante dell’attività creativa grafica di Klossowski (L’Hermaphrodite souverain, 1972; L’Hermaphrodite des Alpes, 1981) come pure i personaggi biblici di Giuditta e Oloferne (Judith et Holopherne, 1956). Dell’autore sono visibili anche il ritratto di André Gide del 1955 che si era accorto delle grandi potenzialità letterarie di Klossowski, a quel tempo ancora ragazzetto, nonché quello dedicato a Roland Barthes del 1960, grande figura di critico letterario, linguista e semiologo. E’ bene ricordare che a Pierre Klossowski, da non confondere con il fratello pittore Balthus, e a George Bataille si deve negli anni Sessanta la cosiddetta Nietzsche-Renaissance (riscoperta di Nietzsche alla luce di un nuovo approccio esegetico ed ermeneutico). Se si analizzano più a fondo i suoi disegni in buona misura erotici, si nota come la raffigurazione dei soggetti spesso reiterati “sfonda il limite imposto dallo scritto; il disegno supplisce con la sua immediatezza alla parola”. La filosofia che informa la grafica di Klossowski è stata definita dalla critica “scellerata”, in quanto scandaglia il regno delle pulsioni sessuali irrefrenabili, l’abisso dell’Es in termini freudiani, dove alle convenzioni sociali e morali codificate si sostituiscono desideri e moti irrazionali di natura erotica che i surrealisti hanno privilegiato per dar corpo a una nuova visione del corpo e dell’amore più libera, più trasgressiva, moralmente rivoluzionaria. Le opere letterarie e i disegni di Klossowski sono entrati a far parte, a pieno diritto, della schiera dei classici dell’erotismo mondiale.

Coevi a Klossowski e segnati nel profondo dal movimento surrealista, tre artisti quali Pierre Molinier, Hans Bellmer e Carol Rama hanno condotto  la loro sperimentazione artistica, estremizzando attraverso le loro opere gli apporti klossowskiani, fermamente convinti, come furono a loro tempi i surrealisti, che “l’esplorazione e la pratica del sesso rappresentavano uno dei percorsi per arrivare alla conoscenza, in un clima di libertà, di superamento dei confini collettivi e cognitivi, di sperimentazione degli eccessi, dalle droghe alle orge”. Questi tre artisti affronteranno il rapporto problematico tra arte ed eros in toni più eretici e provocatori rispetto a Klossowski, pur attenendosi a un dettato estetico preciso che ne informa la cifra artistica di ciascuno di loro.

Pierre Molinier (1900-1976) è considerato il precursore dell’edonismo sessuale, della fluidità, della body art nel grande alveo dell’erotismo feticista. Sostenuto da Andrè Breton, fondatore del Surrealismo, nella sua attività  di pittore d’impronta fortemente erotica, dopo una parentesi lavorativa come decoratore, a partire dagli anni Cinquanta si dedicò esclusivamente all’arte attraverso autoscatti e fotomontaggi al limite dello scabroso, che lo raffigurano in veste di donna (en travesti) nella sua dimora parigina. L’autore diede voce alla sua arte erotica trasgressiva e feticista utilizzando guêpiére provocanti, collant, tacchi a spillo, bambole, protesi di arti e sex toys. Al MART sono esposte  50 opere prevalentemente autoreferenziali, tra cui Mes jambes (1965), Un godemiché dans le trou du cul et je jouis (1966), Autoritratto con oggetto erotico (1966-1968), Mon cul (1966-1968) Collant à double ouverture (1968-1970), La Stryge amoureuse (1968-1970), Femme avec gode (1969), Travesti à la cravache (1974). Durante la sua vita Molinier venne a contatto con la scrittrice Emmanuelle Arsan e la feticista e sadomasochista tedesca Hanel Koeck, cui dedicò uno scatto intitolato Hanel no. 1 del 1969. Lavorando poi al tema dell’indecenza e alla figura dell’androgino fotografò gli artisti Luciano Castelli e Thierry Agullo. Nel 1972 lo scrittore e pornografo Peter Gorsen sostenne la pubblicazione a Monaco di Baviera di un libro di fotografie di Molinier. Innegabile è stata l’influenza che seppe esercitare sugli esponenti della body art americana ed europea, tra cui Jürgen Klaucke, Cindy Sherman e Ron Athey, nonché sul celebre fotografo statunitense Robert Mapplethorpe.  Molinier è stato definito da André Breton come il “maestro delle vertigini” e  dal critico Danile Radini Tedeschi come il creatore di opere “torbide come una pozza malata, fumose come una bolgia sacrilega, fetide come un lazzaretto di appestati”. Sarà proprio una vertigine autolesionista a spingerlo a togliersi la vita con un’arma da fuoco all’età di 76 anni.

I diversi volti dell’eros si manifestano anche nei disegni di Hans Bellmer (1902-1975) senza titolo, tratti dalla cartella Suite sur Japon Nacré, come pure in quelli dedicati, tra gli anni Sessanta e Settanta, a Sade e realizzati con uno sguardo erotico surrealista. Bellmer fu, sin da giovane, ribelle e stravagante, portato al travestitismo. Negli anni Venti si trasferì dalla Slesia, sua terra d’origine, a Berlino, dove prese parte “all’irriverente scena artistica Dada”. Avverso al Nazismo e al culto del corpo perfetto, appannaggio della razza ariana, decise di costruire una bambola di metallo, gesso e legno che ritrasse in una serie di scatti fotografici, attraverso cui seppe esprimere, in modo forte, il proprio immaginario erotico. Tali scatti in bianco e nero furono inseriti nel libro Die Puppe (La bambola) edito nel 1934 in forma privata e autofinanziata che però non giovò affatto alla fama dell’autore. Sarà André Breton a pubblicare nello stesso anno le fotografie della bambola di Bellmer sulla rivista «Il minotauro», rendendola un’icona importante del Surrealismo. Sempre negli anni Trenta Bellmer creò bambole a  grandezza naturale che presentavano corpi dissezionati, scomposti e ricomposti, espressioni di un erotismo morboso e insano. L’estetica del corpo abusato, impedito, violato si precisa pienamente nella serie fotografica Jeux de la Poupée del 1935. La mostra del MART presenta fotografie dedicate alla bambola (La Poupée) che vanno dagli anni Trenta alla fine degli anni Quaranta, in cui la logica della decostruzione, dell’avviluppamento, della violenta frammentazione del corpo femminile ha il sopravvento. Abbandonata nel 1938 la Germania nazista che lo riteneva un degenerato in quanto artefice di una entartete Kunst (arte degenerata), l’artista riparò in Francia, dove continuò la sua ricerca sull’erotismo. Nel 1959 si unì in matrimonio con la pittrice Unica Zürn, un legame segnato da un’inquietante storia d’amore pornografica. Da allora e sino alla fine dei suoi giorni non si dedicò più alla costruzione di bambole, optando per la fotografia, il disegno, l’incisione e il dipinto sempre a soggetto erotico. Dopo un decennio di continui ricoveri in manicomio, Bellmer come Molinier si suicidò nel 1975 gettandosi da una finestra della sua casa parigina. Determinante fu l’influenza dei suoi lavori in campo cinematografico, visivo e musicale.

La mostra del MART si conclude con un omaggio a Carol Rama (1918-2015), artista italiana, torinese di nascita, figlia della buona borghesia che, alla fine degli anni Trenta, iniziò a dipingere da autodidatta ritratti familiari e figure d’impronta fortemente erotica (giovani nude, private degli arti, in sedie a rotelle). L’artista fu segnata nel profondo dalla morte prematura del padre e dalla malattia psichiatrica della madre; la sue opere sono spesso non solo il riflesso del suo disagio esistenziale e della sua sofferenza privata, ma anche una vera e propria terapia. Non ammessa all’Accademia di Belle Arti, ebbe l’opportunità di frequentare Felice Casorati che la spronò a continuare la sua ricerca artistica e ad inserirsi nel dibattito intellettuale torinese (tra le figure di spicco figuravano Albino Galvano, Italo Calvino, Massimo Mila, Carlo Mollino, Corrado Levi). Negli anni Cinquanta aderì con il pittore Albino Galvano alla sezione torinese del Movimento di Arte concreta, producendo lavori astratto-materici.

Celebri sono i suoi bricolage, così definiti dall’amico Edoardo Sanguineti, in cui Rama, partendo da un fondo della tela pervaso di segni e di macchie informali, incollava su di esso denti, unghie, occhi di vetro, protesi e materiali vari. Arriverà addirittura negli anni Settanta a utilizzare gomme di camere d’aria, materiale povero o di scarto industriale, per animare, in modo originale, la sua poetica erotica del corpo femminile sfatto e ostacolato, con chiari rimandi all’anatomia umana (falli, intestini, brandelli di carne umana) e alla sfera sessuale,  allo scopo di liberare a livello psichico e inconscio la sessualità relegata, il più delle volte, nella sfera privata dell’ individuo. L’afflato liberatorio e catartico accomuna Carol Rama agli altri autori succitati e lo si desume dalla visione delle acqueforti presenti in mostra che risalgono al 1998 (Macelleria; Appassionata I e II; Seduzione I, II, III, IV, V; Teatrini I e II; Dentiere; Pissoir; Il rovescio di Achille) come pure dalle opere Senza titolo, 1967, Bricolage, 1967; Composizione, 1979; Seduzione, 1980, Angelo rosso, 1989,  Senza titolo, 1998, Senza titolo, 1999. I corpi appaiono fortemente stilizzati e contorti che sprigionano una forte carica erotica; significativi sono le lingue rosse serpeggianti che fuoriescono da bocche eccitate o i coaguli informali con l’inserimento sapiente di occhi di vetro e calligrammi.  Il grande riconoscimento pubblico dell’attività artistica di Carol Rama giunse nel 2003 con il conferimento del Leone d’Oro  alla carriera e da allora non si contano gli eventi sia livello nazionale che mondiale a lei dedicati.

La mostra del MART in corso è consigliata a un pubblico adulto e rappresenta un contributo efficace “alla liberazione e alla sdrammatizzazione di un immaginario erotico”, già patrimonio comune di artisti e critici, nonché al superamento di tabù e pregiudizi legati alla sfera erotico-sessuale anche alla luce della teoria del gender e delle nuove identità sessuali (L.G.T.B., genderfluid, pansessualismo). Le opere dei quattro artisti qui presentati hanno voluto e saputo scandagliare, attraverso le loro  opere originali, in modo talvolta provocatorio, estremo, scabroso, scurrile ed eretico,  le pulsioni erotiche e le implicazioni psichiche che connotano la sfera sessuale di ogni essere umano, rendendole efficacemente epifaniche.

La mostra è altresì corredata di un catalogo edito da Silvana Editoriale ed è visibile, tranne il lunedì, da martedì a domenica dalle ore 10.00-18.00 e il venerdì dalle 10.00 alle 21.00.

Prevendite online: www. mart.tn.it

Per informazioni: info@mart.tn.it

AUTORE: ERMINIO MORENGHI