ARTISTI VISIONARI: PIERO DELLA FRANCESCA, MICHELANGELO, TINTORETTO, CARAVAGGIO E ALTRI MAESTRI NEL LIBRO DI TOSI

La copertina del libro

VERONA. S’intitola Artisti visionari. Viaggio ai confini dell’arte e della parola di Roberta Tosi. Il volume, edito da Odoya, attraversa il sentire di Piero della Francesca, Michelangelo, Parmigianino, Tintoretto, Caravaggio, Piranesi, Friedrich e poi Munch, Cézanne, Morandi, Burri, Kiefer, Samorì… In che modo? Lo abbiamo chiesto all’autrice. Ecco le sue risposte.

Da dove nasce l’dea di questo libro?

Non è facile rispondere a questa domanda. Potrei dire che l’idea è nata quasi per caso da una conversazione con il poeta e amico Davide Rondoni, in cui discorrevamo d’arte, bellezza, poesia e di impegni futuri… Ma potrei anche risponderti che questo libro era un lavoro che dovevo fare, che mi accompagnava (o tormentava) da tempo e il parlarne ha fatto emergere questa mia necessità. Per questo, quando ho pensato concretamente a scriverlo, ho avuto il desiderio di farlo in dialogo con Davide, perché la poesia, e la poesia di chi vive di quest’arte così fragile e potente, è quella che più di ogni altra riesce a entrare nel sentire proprio degli artisti.

Ne è nato un libro strano, rischioso ma, per me ovviamente, esaltante e, credo, inaspettato.

Qual è, a tuo parere, l’artista più innovativo fra quelli di cui ti occupi?

A loro modo sono tutti innovativi. Ciascuno dei nomi che affronto ha apportato dei cambiamenti non solo nel modo in cui veniva concepita l’arte fino a quel momento ma ha dato una svolta, ha creato una vera e propria conversione ovvero ha contribuito a un cambiamento di direzione. Certo, non senza strappi o lacerazioni. A volte suscitando grandi ovazioni e apprezzamenti da parte dei contemporanei ma più spesso provocando reazioni contrastanti. È il destino di chi sposta lo sguardo più in là, di chi non si accontenta. Anche oggi è così.

Come si legano così “unici” in un solo volume?

Il filo conduttore che li lega è riassunto nel titolo del libro: sono “artisti visionari”. Si potrebbe obiettare che ogni grande artista, in fondo, è un visionario. Ma ecco, bisogna intendersi su quale significato assume, per ciascuno di noi, la parola “visione”. Io mi sono  accostata al concetto che aveva espresso Focillon, col quale apro il mio lavoro, perché a mio avviso questi artisti sono mossi da una “forza profetica” e sono coloro che più sembrano a “disagio nei limiti dello spazio e del tempo”. Non intendono la visione come una bizzarria, una stravaganza e neppure come una provocazione, essi invece penetrano la vita, non si limitano a guardarla in superficie e ne assumono il rischio inseguendo quella fame interiore che non si placa e parla del senso ultimo dell’essere umano, della sua verità. Ho sempre percepito questa spinta, questa ricerca insaziabile, in tutti gli artisti che ho citato. Ce ne sarebbero altri, certo ma ho voluto fare una selezione che mi fosse, in un certo senso, affine.

Quale artista ti ha coinvolto maggiormente?

Non posso escludere nessuno. Come dicevo all’inizio è un cammino che mi porto dietro da tanto tempo, dalle aule dell’università… Però se proprio dovessi citare un artista dal quale tutto ciò è partito, farei il nome di Théodore Géricault con la sua “Zattera della Medusa”. Un’opera che ho potuto prima studiare a fondo e poi ammirare al Louvre dove mi ha letteralmente folgorato. Un dipinto che ha trascinato anche me in quel viaggio della sopravvivenza, che mi ha obbligato a volerne sapere sempre di più. Mi chiedevo cosa avesse spinto un giovane artista di neanche trent’anni a dipingere, a mettere su tela, un terribile fatto di cronaca e a farne poi il suo “manifesto artistico” perché potremmo anche definirlo così. Oggi più che mai quell’immagine, secondo me, è di un’attualità sconcertante. Non solo per quei “viaggi della speranza”, attraverso il Mediterraneo, che ben conosciamo ma anche per noi che abbiamo dovuto affrontare due anni complicati in cui si è per lo più “navigato a vista” e dove, spesso e volentieri, la zattera sulla quale ci trovavamo in molti non aveva alcuna guida. Il viaggio narrato pittoricamente da Géricault non è finito e non finisce, ed è per quello che la mia Premessa in realtà è un invito Ai naviganti per salire con lui su quella fragile imbarcazione e poi con Michelangelo, Caravaggio, Kiefer… con tutti loro.

Com’è stato collaborare con un nome della poesia come quello di Davide Rondoni?

Un privilegio. Mi sono sentita davvero privilegiata a poter accompagnare le mie riflessioni su queste opere accanto alle sue poesie, i suoi interventi in prosa. Mentre scrivevo non sapevo cosa avrebbe fatto ed ero curiosissima. Mi mandava invece sempre commenti più che positivi su quello che stavo facendo io e questo era senz’altro uno stimolo a proseguire, e in più, ogni tanto, ho potuto cogliere alcuni suoi suggerimenti preziosi che non ho esitato a fare miei. Credo che, alla fine, ci sia stata una bella sintonia e penso che si possa scorgere tra le pagine di questo libro. Penso anche che un lavoro così, fino ad ora, non sia mai stato fatto e dunque il mio invito è proprio quello di andare a scoprirlo…