BOLDINI: LO SGUARDO NELL’ANIMA ATTRAVERSO OLTRE 90 OPERE A PALAZZO ALBERGATI

Giovanni Boldini, Mademoiselle De Nemidoff, 1908
Olio su tela, 232×122 cm, Collezione privata, press kit uf. stampa della mostra, Arthemisia

BOLOGNA. “Lo sguardo nell’anima” è il titolo della mostra che riunisce oltre 90 opere che ripercorrono, presso gli spazi di Palazzo Albergati, l’affascinante esperienza pittorica di Giovanni Boldini anche attraverso dipinti di artisti a lui contemporanei. La rassegna è visitabile fino al 13 marzo.

Questi i dettagli desunti dal comunicato stampa. Il fascino femminile, gli abiti sontuosi e fruscianti, la Belle Époque, i salotti: è il travolgente mondo di Giovanni Boldini, genio della pittura che più di ogni altro ha saputo restituire le atmosfere rarefatte di un’epoca straordinaria.

Letteratura e moda, musica e lusso, arte e bistrot si confondono nel ritmo sensuale del can can e producono una straordinaria rinascita sociale e civile.

La mostra antologica Giovanni Boldini. Lo sguardo nell’anima, sviluppata su un registro narrativo cronologico e tematico al tempo stesso, presenta una ricca selezione di opere che esprime al meglio la maniera di Boldini, il suo saper esaltare con unicità la bellezza femminile e svelare l’anima più intima e misteriosa dei nobili protagonisti dell’epoca.

Ecco quindi celebri opere come Mademoiselle De Nemidoff (1908), Ritratto dell’attrice Alice
Regnault (1884), La contessa Beatrice Susanna Henriette van Van Bylandt (1903), La contessa De Rasty coricata (1880 ca.), La camicetta di voile (1906 ca.).

Tra i prestatori delle opere in mostra il Museoarchives Giovanni Boldini Macchiaioli di Pistoia che si
occupa della catalogazione delle opere dell’artista, il Museo Giovanni Boldini di Ferrara, Musei di
Nervi – Galleria d’arte Moderna – GAM di Genova, Ca’ la Ghironda – ModernArtMuseum e molte
collezioni pubbliche e private.

Una rassegna che però non si ferma all’esperienza internazionale e creativa di Boldini ma che,
attraverso alcune importanti opere di confronto, presenta anche opere di artisti a lui contemporanei
quali Vittorio Matteo Corcos, Federico Zandomeneghi, Gustave Leonard De Jonghe,
Raimundo de Madrazo, Pompeo Massani, Gaetano Esposito, Salvatore Postiglione, José
Villegas I Cordero, Alessandro Rontini, Ettore Tito, Cesare Saccaggi, Paul Cesar Helleu e
Giuseppe Giani.

Curata da Tiziano Panconi, massimo esperto dell’artista, la mostra gode del patrocinio della
Regione Emilia Romagna e del Comune di Bologna, ed è prodotta e organizzata da Arthemisia
e Poema, in collaborazione con Museoarchives Giovanni Boldini Macchiaoli di Pistoia, sotto
l’egida del Comitato di studio per le celebrazioni del novantesimo anno dalla morte di
Giovanni Boldini (1842-1931).

La mostra “anniversario” si inserisce infatti nel quadro delle celebrazioni nel novantesimo anno dalla
morte di Giovanni Boldini, sotto l’egida di un Comitato di studio nominato dal Comune di Ferrara e
dalla Fondazione Ferrara Arte, composto da studiosi di chiara fama, presieduto da Vittorio Sgarbi
e diretto da Tiziano Panconi. Ne fanno altresì parte Beatrice Avanzi (Mart, Rovereto), Loredana
Angiolino, Maria Teresa Benedetti, Pietro Di Natale (direttore Ferrara Arte), Almerinda Di
Benedetto (Università Luigi Vanvitelli, Napoli), Elena Di Raddo (Università La Cattolica, Milano),
Leo Lecci (Università di Genova), Marina Mattei, Gioia Mori (Accademia di Belle Arti, Roma) e
Lucio Scardino.

Il catalogo, edito da Skira, presenta l’introduzione di Vittorio Sgarbi, il saluto istituzionale del Prof.
Avv. Emmanuele F. M. Emanuele Presidente della Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, e
contributi critici di Tiziano Panconi, Leo Lecci, Lucio Scardino, Almerinda Di Benedetto e
Sergio Gaddi.
Con la mostra GIOVANNI BOLDINI. Lo sguardo nell’anima riparte anche il progetto “L’Arte della
solidarietà”, realizzato con Susan G. Komen Italia – charity partner della mostra. Unire l’arte con
la salute, la bellezza con la prevenzione: è questa l’essenza di un progetto che vede il colore rosa
della Komen Italia fondersi con i capolavori dell’arte esposti nelle mostre.
In concreto, una parte degli incassi provenienti dalla vendita dei biglietti di ingresso della mostra
verrà devoluto alla realizzazione di specifici progetti di tutela della salute; in questo caso serviranno
ad acquistare alcuni “caschetti” utili ad evitare la caduta dei capelli durante la chemioterapia, tema
di grande sensibilità per le donne.

LA MOSTRA
Boldini lo stregone, Boldini il fauno, Boldini il pittore!
Questo e molto altro era quell’omino insolente dall’accento italiano che passeggiando per Parigi, da
sotto la bombetta, guardava chiunque dall’alto in basso, ricambiando un saluto con una smorfia di
distaccato disappunto. Lui, figlio del modesto pittore-restauratore Antonio, sapeva cosa fosse il
disagio, avendo provato sulla sua pelle l’umiliazione della miseria, di quel corpicino striminzito
compreso in un solo metro e cinquantaquattro di altezza. Lui che da giovane non era stato
considerato un buon partito per il suo unico grande amore, Giulia Passega, andata in sposa a un
giovanotto di buona famiglia, impiegato alla prefettura.
Ecco chi era, davvero, Boldini: un ragazzo della provincia padana venuto dal basso, finito nei salotti
dell’alta società, nel cuore pulsante della civiltà e di un’epoca che lo avrebbe consacrato quale uno
dei suoi più iconici protagonisti.
Nel centenario dalla morte (Ferrara 1842-Parigi 1931) questa mostra pone l’accento sulla capacità
dell’artista di psicoanalizzare i suoi soggetti, le sue “divine”, facendole posare per ore, per giorni,
sedute di fronte al suo cavalletto, parlando con loro senza stancarsi di porle le domande più
sconvenienti, fino a comprenderle profondamente e così coglierne lo spirito, scrutandone l’anima.
Farsi ritrarre da Boldini significava svestire i panni dell’aristocratica superbia di cui era
munificamente dotata ogni gran dama degna del proprio blasone. Occorreva stare al gioco e
accettarne le provocazioni, rispondendo a tono alle premeditate insolenze ma, infine, concedersi,
anche solo mentalmente, facendo cadere il muro ideologico dell’alterigia, oltre il quale si celavano
profonde fragilità.
Dopo giorni di pose immobili, conversando e confessandosi, durante i quali il “fauno” poteva anche
permettersi il lusso di perdere intenzionalmente tempo tracciando svogliatamente qualche segno
sulle pagine di un taccuino per osservarle e comprenderle o abbozzare uno studio su una tavoletta,
quando la confidenza era divenuta tale da addolcire gli sguardi e talvolta esplodere perfino nel
pianto liberatorio e più spesso in atteggiamenti nevrotici o eccitati fino alla follia, ecco che solo
allora scattava la scintilla predatoria dell’artista.
Egli coglieva al volo l’attimo fuggente, quel momento unico in cui un’occhiata più sincera rivelava lo
stato d’animo e la mimica del corpo si faceva più espressiva, l’istante in divenire fra un’azione e
l’altra, quando la forza motoria di un gesto si esauriva, rigenerandosi prontamente in quello
successivo.
Negli anni della maturità e poi della senilità, le lunghe e vorticose pennellate, impresse come
energiche sciabolate di colore, rimodellavano in senso dinamico i corpi delle sue “divine” creature e
il suo stile, a un tempo classico e moderno, costituiva la miglior risposta alle vocazioni estetiste e
progressiste manifestate dagli alti ceti sociali.
Attraverso oltre 90 opere, la mostra si articola in sette sezioni tematiche – Il viaggio da Ferrara a
Firenze, verso Parigi; La Maison Goupil; La fine del rapporto con Berthe, Gabrielle e i caffè
chantant; Il “soffio vitale”, dal ritratto al paesaggio; Il segno come struttura di uno stile; Il gusto fin de
siècle; Le nouveau siècle – che seguono gli anni di attività di Boldini e ne narrano la completa
parabola espressiva.
Prima sezione – Il viaggio da Ferrara a Firenze, verso Parigi
Nel 1863 ottenne 29.260 lire quale parte dell’eredità lasciata anni prima dal prozio
paterno, somma che nel volgere di qualche mese (1864), gli consentì di lasciare per
sempre Ferrara e raggiungere il principale centro culturale e artistico dell’epoca,
Firenze, entrando in stretto contatto con i Macchiaioli e stringendo amicizie
fondamentali come quella con Telemaco Signorini.
Nell’indagare con attenzione le fasi iniziali dell’attività artistica del precocissimo Giovanni
Boldini, ossia il periodo ferrarese compreso tra il 1857 e il 1864, si evidenzia anzitutto il
controverso quanto pregnante rapporto che egli ebbe con il padre pittore Antonio.
Il ventenne pittore ha modo di apprezzare il mutato clima politico e sociale, iniziato con
l’annessione di Ferrara al nuovo stato sabaudo grazie ai risultati del Plebiscito del 1860. Gli
esiti positivi si avvertono subito, grazie al nuovo fervore culturale e ad un rinnovato edonismo,
nato in contrapposizione al mesto e stagnante clima penitenziale della dominazione papalina.
Giovanni assorbe come una spugna tutto ciò, anche se questa aria di fermento lo investe
soprattutto nel versante ludico e amoroso, vista la giovane età. Egli intreccia relazioni con
alcune ragazze ferraresi, che talora ritrae (come nel romantico “La pensée”), frequenta feste e
ritrovi, veste gli abiti del sarto Delfino Santi, il più ricercato della città, e si stacca sempre più
dall’influsso del padre.
Nel 1866 Boldini partecipò alla sua prima mostra collettiva, organizzata dalla “Società di
incoraggiamento in Firenze”, con due quadri. Scrisse allora acutamente Telemaco Signorini
che aveva evitato la convenzione di far risaltare su un fondo uniforme il volto dell’effigiato
(come faceva a Ferrara Giovanni Pagliarini, il miglior ritrattista locale).
Seconda sezione – La Maison Goupil
Nell’ottobre del 1871, quando risiedeva a Firenze e terminati i viaggi che si alternarono
fra Ferrara, la Francia e l’Inghilterra, Boldini si trasferì definitivamente a Parigi,
abitando inizialmente nell’Avenue Frochot e poi a Place Pigalle con la modella e
compagna Berthe e iniziando una stretta collaborazione con il potente mercante
Goupil, conclusasi nel 1878.
Subì il fascino abbagliante di Marià Fortuny i Marsal – prima di lui capofila dei pittori della
Maison Goupil – e dei suoi orditi grafici traboccanti di luccichii. Vi vedeva definitivamente
imboccata la strada di quel progresso tanto atteso e la provvidenziale opposizione al concetto
di separazione fra l’opera e l’autore, chiamato dal verismo di Capuana a scomparire ed
eclissarsi nel testo, tacendo le sue opinioni, affinché gli eventi si producessero in perfetta
autonomia, trascritti quale fedele specchio moralistico della realtà.
Il folklorismo spagnoleggiante di Fortuny aveva del resto influenzato anche quella stagione
della pittura del Mezzogiorno d’Italia e così Michetti, nel Corpus Domini, spiegava senza
incertezze le sue eloquenti iperboli cromatiche, traslate, anche nei timbri retorici, nel
successivo gergo dannunziano. Boldini, dal canto suo, aveva invece in parte disattivato il
prototipo fortunyano, mutuandone le accezioni peculiari, specialmente quelle ornative,
trascrivendole però in un contesto lessicologico estremamente complesso e vario. Se ne
svincolò più facilmente nei ritratti e questo fu possibile soprattutto grazie alla sua strabiliante
padronanza tecnica, capace di ridurre nell’ombra perfino il geniale caposcuola catalano, con il
quale, nei primissimi anni Settanta, si avvicendò quale pittore capofila della Maison Goupil.
Gli echi del fortunysmo non risuonarono tuttavia a lungo nel modellato dell’artista e sullo
scorcio degli anni Settanta quegli schemi descrittivi, fin lì di grande successo, furono
completamente scompaginati dal definitivo crescendo della sua sensibilità dinamica.
I luccicanti saloni dei fastosi palazzi patrizi entro i quali avevano conversato deliziosamente
damine e marchesini svanirono per sempre dall’immaginario pittorico boldiniano, e con essi il
gusto Impero e le certezze sociali nelle quali si era riconosciuta fino ad allora l’alta borghesia
francese.
Terza sezione – La fine del rapporto con Berthe, Gabrielle e i caffè chantant
Sulla rive droite della Senna, nella zona tra la collina di Montmartre e Place Pigalle –
dove il peintre italien visse, al numero 11, fino al 1886 – si trovavano vere e proprie
“case d’artista”. Sullo stile di vita bohémien e sul clima decadente delle piccole strade
che correvano sconnesse fra gli slarghi e le vigne della vecchia provincia agricola, la
sera si apriva lo scandaloso sipario del demi-monde, inondato dall’alcol e gremito di
prostitute i cui clienti abituali erano gli stessi mariti ed “irreprensibili” capifamiglia
della borghesia francese, che le disprezzavano di giorno.
Gli ultimi ritratti di Berthè risalgono al 1878-80, anche se l’unione della modella con Boldini
dovette durare, come testimoniano gli appunti di viaggio di Signorini, almeno fino al luglio
1881: «…alla locanda per aspettare Tivoli ed andare in campagna da Boldini. Arrivo a Chatou
presso Bougival, visto Boldini e Berta…».
Più o meno in questo periodo, evidentemente ma misteriosamente, si chiuse uno dei capitoli
più felici della vita dell’artista.
Così quella incantevole figura di ragazza, seducente e naturalmente aristocratica, la sua
prima vera divina, dopo un intero decennio lasciava definitivamente il posto a Gabrielle, la sua
rivale in amore, che già dal 1875 si incontrava in segreto con il celebre artista in una
garconiere presa in affitto in rue Demours.
Durante gli incontri segreti con la nobildonna, moglie del conte Costantin de Rasty, il pittore la
ritrasse rappresentando una bellezza sensuale e misteriosa nella quale prevalgono l’ebbrezza
della passionalità e una costante tensione psicologica, vissuta fra consapevolezza del
pericolo e sopraffazione dei sensi: “È bella, è bruna, e ardente. Altolocata e ammogliata
anche. Un’amica ricevuta nei migliori salotti, che sapeva tutto di tutti, adorabile pettegola,
divertentemente sagace, di fronte alla quale la femminile esperienza e la sottile astuzia della
povera Berthe erano divenute puerili attitudini quanto mai sprovvedute”.
Trasportato dalle vertigini della passione, l’artista si era trovato quasi occasionalmente a
spingere con foga, per la prima volta senza censure, su un pedale narrativo sfrenato, a lui
sconosciuto, mediato soltanto dall’eleganza del filtro stilistico, quasi come se i propositi
creativi e culturali posti in opera a termine degli appuntamenti clandestini potessero riscattare
o restituire dignità a quella relazione fosca, fondata sul tradimento della compagna e del
marito.
Nella cosmopolita Ville Lumière dei café-chantant e degli Impressionisti fiorirono le aspirazioni
di un’intera generazione di donne che incarnavano lo spirito stesso della modernità. Artiste,
come le pittrici Berthe Morisot e Mary Cassatt o la scultrice Camille Claudel, ma anche
scrittrici, attrici e cantanti o più semplicemente eccentriche protagoniste del loro tempo,
vivevano con rinnovato senso d’indipendenza la propria condizione femminile.
Quarta sezione – Il “soffio vitale”, dal ritratto al paesaggio
L’inedito riversarsi a Parigi di centinaia di pittori, ognuno tormentato dalla permanente
ossessiva necessità di individuare scorci, figure e soggetti originali, dette luogo a una
sorta di “studio di massa” senza precedenti – al limite della psicoanalisi – dei luoghi,
degli ambienti e delle attitudini di quell’umanità così eterogenea.
Da esperto casanova, Boldini intratteneva in studio le sue modelle tentando di rompere
l’etichetta attraverso pungenti boutades, apparentemente fuori luogo e, contando sull’effetto
sorpresa, orchestrava conversazioni inaspettatamente confidenziali e provocatorie,
sostanziate in frizzanti scambi di battute.
Con estrema sfacciataggine, sollecitava facili risate, allentando così i freni inibitori e vincendo
l’imbarazzo delle sue muse ispiratrici, psicologicamente turbate e obbligate a rispondergli a
tono. In un susseguirsi di parafrasi e giochi di parole, confessava la sua ammirazione per loro.
Se da un lato le attaccava dubitandone sfacciatamente l’integrità morale, proferendo
domande e velate proposte normalmente irricevibili da una gran dama di nobili costumi,
dall’altro, altrettanto maliziosamente, invocava la loro compassione lamentando la poca
considerazione che avevano dell’artista e soprattutto dell’uomo.
Di domanda in risposta le anime più fragili vacillavano, fornendo talvolta torrenziali confessioni
sul loro stato di donne e mogli incomprese e insoddisfatte. Così “l’amico sensibile”, l’amateur
di lungo corso, il grand maître peintre, lo stregone custode degli arcani segreti della bellezza e
dello charme femminili, sussurrava loro qualche utile suggerimento per riaccendere il fuoco
della perduta passione.
Quinta sezione – Il segno come struttura di uno stile
Boldini pittore ma ancor prima disegnatore e, come un maestro antico, colse con la
matita o con il bulino, i caratteri fisionomici e le prospettive, sagomando le forme dei
suoi soggetti. Il suo tratto incisivo e mobile imprimeva vitalità, catturava gli sguardi,
registrava con esattezza la luce, che accarezza i volti.
“Un giorno – scrisse Francesca d’Orsay nel suo libro di memorie – Carlo Placci ci accompagna
da Boldini in boulevard Berthier. Avevo visto Whistler a Venezia [si fa probabilmente
riferimento al ritratto di Whistler eseguito da Boldini ed esposto alla Biennale del 1905,
N.d.A.]. Nel suo atelier Boldini appariva assai interessante. Ci si chiedeva come potesse, lui
così piccolo, creare delle opere tanto grandi. L’aria cattiva e scostante del pittore, prima
imbronciata, divenne ben presto assai amabile. Mi disse che conosceva Palermo dove aveva
eseguito il ritratto di mia cugina Florio, e, poi, divagando sulla siciliana disse che ci
assomigliavamo. Parlava sempre borbottando, ma in fondo era divertente, arguto e originale.
Mi fissò negli occhi e mi disse ‘Voglio farvi il ritratto’. Prima fa delle puntesecche. Mentre
l’acuminata di diamante incideva il rame, riceveva attraverso i suoi occhiali delle luci dorate
che illuminavano la sua figura, proprio come in certi quadri di maestri fiamminghi quando
raffiguravano gli interni degli atelier. Andammo tutti i giorni da lui, e con me ebbe il suo da
fare. Una volta facendo un disegno gridò: “No i colori non servono: voi avete dei colori già
troppo belli […]”.
Egli coglieva al volo l’attimo fuggente, quel momento unico in cui un’occhiata più sincera
rivelava lo stato d’animo e la mimica del corpo si faceva più espressiva, l’istante in divenire fra
un’azione e l’altra, quando la forza motoria di un gesto si esauriva, rigenerandosi prontamente
in quello successivo.
Sesta sezione – Il gusto fin de siècle
Possedeva un’allure particolare, avvolta da un’aura di mistero, e le sue reparties
alimentavano il mito della donna irraggiungibile, caratterizzato dall’esprit des
Guermantes. Le sue plateali sfuriate costituivano un monito di alterigia per il prossimo,
la stessa che vive negli occhi e attraverso le posture perfettamente equilibrate e gli
abiti di alta moda delle femmes divines di Boldini.
La contessa Greffulhe, figlia di Joseph de Riquet de Caraman, principe di Chimay, e moglie
del visconte Henry Greffulhe, erede di un impero finanziario e immobiliare, pianificava le
proprie apparizioni con oculatezza, presentandosi in pubblico con elegantissimi e talvolta
eccentrici abiti di tulle, garza, mussola e piume o con originalissimi kimono, con soprabiti di
velluto a motivi orientaleggianti, firmati da Worth, Fortuny, Lanvin e Babani.
Manifestazioni di estremizzato egocentrismo come quelle della contessa Greffulhe, pur fra
molte critiche, godevano, tuttavia, di un plauso diffuso e costituivano la prolessi
dell’emancipazione femminile in progressivo e incalzante divenire.
Nel 1901 Boldini dipinse uno dei ritratti più iconici della sua carriera di artista, quello di Cléo
de Mérode, la ballerina dell’Opéra di Parigi, famosa per la sua bellezza eterea.
Figlia della baronessa Vincentia de Mérode e di un gentiluomo austriaco dell’alta società che
non la riconobbe, Cléo era timida e introversa, estremamente differente dalla maggior parte
delle sue compagne di fila, per natura della loro stessa professione, chiassose ed eccentriche.
Era composta ed elegantissima, vestita negli abiti di Jacques Doucet. A volte, nei momenti di
pausa dal ballo, se ne stava da sola a leggere un libro. Non amava il demi-monde, sebbene la
sua popolarità infastidisse alcune grandi cortigiane come Liane de Pougy che, nel 1904, in un
roman à clef intitolato Les Sensations de Mlle de La Bringue la ritrasse quale “Méo de la Clef:
… Cette demoiselle de La Clef personnifiait l’amour sans le faire…”.
L’eccezionale fotogenia della piccola Cléo e le sue forme sensuali ma al contempo aggraziate
fecero di lei un modello di bellezza estremamente emancipato, dal quale rimasero affascinati
artisti del calibro di Gustav Klimt, Henri de Touloue-Lautrec, Edgar Degas e, naturalmente,
Boldini, che ne restituì un’immagine di universale modernità ed eleganza.
Settima sezione – Le nouveau siècle
L’artista ritraeva le sue donne un attimo prima che, sopraggiungendo l’autunno della
vita, la loro bellezza appassisse per sempre, che le loro foglie di rose profumate
cominciassero a cadere. A volte, come uno stregone, raccoglieva i fragili petali e con
un gesto d’amore ricomponeva quei fiori appassiti restituendogli un attimo di eterna
primavera. Ritraendo le sue donne, Boldini rappresentava un’epoca, la bella epoca,
prima quella della sua giovinezza, quando Parigi felice e opulenta viveva l’ebbrezza del
benessere economico e del progresso sociale e, poi, quella della senilità e della
decadenza, quando il primo conflitto mondiale inibì la pubblicazione delle riviste di
moda e il maestro si scoprì inesorabilmente vecchio.
“…Milli subì il fascino misterioso di quel piccolo uomo dallo sguardo ipnotico che tante cose
aveva da raccontare, di quell’anziano signore dai finissimi capelli biondi, dalla bocca fresca e
dai grandi, vivaci occhi azzurri, lo ascoltava parlare per ore seduta sulle bergères sulle quali
avevano posato, prima di lei, le divine muse del diabolico ritrattista, ora con la vista
compromessa, riparato alla luce tiepida di quelle pareti, dalle quali come fantasmi, come stelle
di un firmamento tramontato per sempre, spuntavano i volti traslucidi delle sue femmine e
guardandoli si udivano le «…voci, voci di donne morte od invecchiate, voci di ammiratrici, di
amiche, di amanti… Vous rappelez-vous, Boldini? Grida dal quadro da cui protende il busto
opulento la bella madame J. de C. che sentimmo vecchia ripetere con desolata monotonia la
domanda angosciosa che fa pensare al grido dei dannati ricordanti la vita… Vous rappelezvous, Boldini?»”.
Con avidità mefistofelica Boldini, per oltre sessant’anni, aveva fatto sfilare sulle sue sedute
Impero le donne più avvenenti dell’alta società francese, immobili e intimidite sotto lo sguardo
rapace e diretto del genio che – parafrasando artisticamente i loro dialoghi, riferendo di loro
ciò che esse volevano più di ogni altra cosa tacere – le adulava e le invitava a esprimersi
senza indecisioni, perché a un artista, come a un medico, si doveva confidare proprio tutto. Si
inebriava con la fragranza del loro profumo ogni volta diverso e metabolizzava l’essenza delle
loro personalità controverse per poi sferrare impietosamente il suo fendente con il pennello,
riducendo a niente quel presupposto perbenismo che avevano voluto manifestare entrando
per la prima volta nel suo studio.

FONTE. Testo e foto, inseriti al solo scopo di presentare l’evento: press kit Ufficio stampa Arthemisia