CASTRUM E LE ARCHE ANDREANI ALLA CHIESA DI S. TOMNASO DI CANTERBURY

Arche Andreani, fonte Wikipedia

CORENNO. Uno dei caratteri peculiari dell’ars aedificatorum del medioevo è la stratificazione. È noto che molti edifici signorili, castrum in difesa⁷ e chiese, furono erette sfruttando basamenti e perimetrali di antiche Domus o templi. Il processo si sviluppa e si ricalca su se stesso dal momento in cui gli edifici dell’alto medioevo fungono da base per edifici dopo il x secolo o spesso si affianchino ad essi. È questo il caso del borgo di Corenno Plinio⁸ nel comune di Dervio. Qui insiste un castello tra i meglio conservati di tutta la Lombardia.

Si affaccia alla piccola Piazza coatituita da ciotoli⁹ a rilievo e sorge adiacente alla Chiesa di S. Tommaso di Canterbury, dove si trovano degli affreschi databili XIV e XVI secolo e le arche Andreani, ( delle quali le specifiche si riportano di seguito) con uno dei tre monumenti funebri addossato alle mura fortificate.

Il castello fu realizzato tra il 1360 e il 1370 per volere della famiglia Andreani, che nel 1271 aveva ottenuto il feudo di Corenno Plinio in gestione amministrativa dall’Arcivescovo di Milano Ottone Visconti.

Come si evince dal basamento di alcuni muri, esso venne costruito sui resti di un’antica fortezza romana, sorta probabilmente come una delle torri di segnalazione e di guardia del sistema difensivo del Lario, data la posizione panoramica e strategica dell’area.

Il castello ha una pianta irregolare¹⁰pressoché quadrata e due torri, una quadrata a nord e una a vela a sud.

Interamente costruito in pietra, qursto avamposto sul lago rappresenta un tipico esempio di castello-recinto, ovvero una fortificazione realizzata per difendere la comunità e i suoi beni più preziosi in caso di attacco da parte degli invasori via lago.

Entro le mura vi trovavano infatti rifugio la popolazione, il bestiame e i generi di sopravvivenza ¹¹della comunità durante i saccheggi. L’area interna della recinzione è dimensionalmente modesta e questo trova motivo nella proporzione al numero di abitanti che doveva proteggere.

Si stima da documenti che censurano le anime di quel tempo che e il piccolo borgo abbia sempre avuto, con poche oscillazioni fino al xv secolo, una popolazione intorno al centinaio di persone.

La cinta muraria, detta anche “cortina”, poggia in molte parti direttamente sulla roccia ed è coronata da merli a coda di rondine a protezione del cammino apicale di ronda.¹²

La torre quadrata dell’angolo a nord-est, con funzione di avvistamento e difesa della mulattiera che saliva in Valvarrone, è probabilmente anteriore alle attuali mura e risale all’XI secolo.

La seconda torre a sez.quadrata posta a sud-ovest è del tipo a vela e dunque aperta al suo interno e domina l’ingresso.

L’accesso¹³è rivolto verso la piazzetta, sormontato dallo stemma della famiglia dei conti Andreani.

La torre è stata costruita a difesa dalle incursioni provenienti più che altro via lago e per l’avvistamento e la segnalazione su tutto il territorio, in particolare modo con la torre del castello di Rezzonico.

Per incrementare la protezione attorno al castello vi fu costruitoun fossato, gia menzionato nello Statuto del Comune di Dervio del 1389.

Lo stesso venne eliminato tra il 1825 e il 1830 con la realizzazione della strada oggi(l’attuale Strada Provinciale 72.

Ma il castello aveva molti modi per limitare l’accesso In caso di pericolo.

Ad esempio venivano chiuse da robusti portoni anche le ripide e strette scalinate del borgo che scendono al lago, bloccando di fatto l’unica via di accesso esistente in quei tempi.

LE ARCHE ANDREANI E S. TOMNASO DI CANTERBURY.

Fino al 1820, sul sagrato della chiesa di san Tommaso di Canterbury¹⁴ sorgeva il piccolo cimitero della comunità, come era consuetudine dei paesi cristiani prima che le leggi napoleoniche obbligassero a costruirli lontano dai nuclei abitati. In quella data venne spostato sul dosso della montagna dove si trova attualmente.

È però evidente che davanti alla chiesa sono rimasti i tre monumenti funebri della famiglia dei conti Andreani: i primi due collocati ai lati del portale, il terzo addossato alle mura del castello.

Queste tombe costituiscono una particolarità del borgo di Corenno Plinio dato che non si riscontrano altri esempi sul territorio lariano. Meritano di essere messe in risalto perché, da una parte rappresentano un indiscusso documento storico che attesta l’importanza dell’illustre casata degli Andreani su questo ramo del lago, dall’altro offrono tre diverse tipologie di sepolture che si collocano cronologicamente in un breve arco di tempo: con buona probabilità tra l’inizio del XIV secolo ed il terzo quarto del medesimo secolo. Quindi si può rilevare come nel giro di poco più di cinquant’anni cambia il gusto artistico dei signori di Corenno: si passa dal sobrio e possente stile romanico a quello più leggero e decorativo del gotico con la preminenza della verticalità e, in seguito, a un gotico ancor più ricco ed elaborato, comunemente denominato gotico fiorito. La piazzola del piccolo borgo conserva quindi una preziosa sintesi dell’evoluzione dell’arte verificata in quei secoli su scala nazionale.

Le tombe signorili con baldacchino in pietra si rifanno architettonicamente ai sarcofagi monumentali di origine orientale. Questa moda venne ripresa dai romani e da essi passò al mondo cristiano. Tale tipologia di sepolcro poteva sorgere isolato, come negli esempi più noti delle tombe dei glossatori dell’università di Bologna, dell’Antenore di Padova, dei Doria sotto il convento di san Fruttuoso o in quelle, più note e più tarde rispetto agli esempi di Corenno, degli Scaligeri a Verona. Poteva anche essere accostato a una parete come nel caso di Corenno e in quello dei sarcofagi dell’abbazia di Chiaravalle a Milano.

I tre sarcofagi presentano caratteristiche comuni: su ognuna è presente in forma preminente e centrale il Cristo benedicente nella prima, il Cristo morto nelle altre due. Vi è una linea di continuità tematica anche se cambia lo stile. Il Cristo poggia su una nuvola in una di esse e su foglie di acanto distese o accartocciate nelle altre. In tutte sovrasta lo stemma araldico della famiglia Andreani. La continuità si rileva anche nel basamento del sarcofago costituito dall’alternanza di marmi bianchi e neri.

L’arca più antica¹⁵ si trova a destra del portale della chiesa addossata alla facciata. Secondo alcuni studiosi era il sepolcro di quello Jacobo Andriani o di suo padre al quale fu confermato il feudo nel 1271 dall’arcivescovo di Milano Ottone Visconti, e che probabilmente morì nel 1326. Sulla parte di fondo è murata una lapide a ricordo della sepoltura di Giovanni Maria Andriani deceduto nel 1774 all’età di 76 anni; ciò testimonia che gli Andreani continuarono per alcuni secoli a seppellire i loro cari in questo sepolcro di famiglia.

Il sepolcro presenta in miniatura le caratteristiche di una chiesa di stile romanico con il tetto a capanna con due spioventi, la volta a botte e l’arco a tutto sesto, cioè l’arco costituito da un semicerchio regolare che poggia sull’imponente sarcofago di base. Il tetto è coperto da locali beole (piode). L’imponente sarcofago di base è una costruzione solida e massiccia, ma anche armoniosa. L’edificio complessivo è alleggerito dalle colonnine binate, ornate da capitelli con curiose decorazioni raffiguranti volti simili a quelli che si ammirano sui capitelli del chiostro dell’abbazia di Piona o dei numerosi edifici romanici del Lario. Nella seconda fila di capitelli la decorazione è a fogliame. Nella terza ricorrono tutti i temi della prima. Il volto dei personaggi presenta diverse espressioni e tutti indossano un cappuccio. Secondo alcuni studiosi, ogni figura rappresenta una nota musicale e nel loro insieme il motivo di qualche inno o antifona gregoriana. Dal punto di vista cromatico il monumento è caratterizzato dall’alternanza di conci di marmo bianco di Musso e di calcare serpentinoso nero, frequente nel comasco fin dal Duecento. Il sapore della costruzione è ancora fortemente romanico.

Sulla chiave di volta dell’arco sporge¹⁵ un bassorilievo che rappresenta un Cristo ieratico e maestoso che benedice con le due dita della mano destra alzate mentre con la mano sinistra regge il libro aperto della sua Parola. Il Cristo poggia su una corona di foglie di acanto accartocciate per indicare simbolicamente la sua morte. Alle estremità superiori sono presenti due stemmi affrontati della famiglia Andriani: il leone rampante a destra e il castello turrito a sinistra.

La seconda arca è posta a sinistra dell’ingresso della chiesa in simmetria rispetto alla prima. Si caratterizza per un’architettura che ha il suo svolgimento in verticale come nelle chiese gotiche francesi e poi italiane. Presenta la tipica apertura di un arco a ogiva, a sesto acuto. L’intradosso dell’arco gotico è riccamente decorato con un mirabile ricamo marmoreo ad archi trilobati, una raffinata opera di scalpello. Esso costituisce un’elegante espressione del gotico lombardo. L’accostamento delle quattro colonnine richiama, si potrebbe dire in miniatura, i piloni a fascio delle maestose cattedrali.

Sul profilo sommitale¹⁶ del baldacchino dell’arca si erge una statua del Cristo crocifisso affiancato da altre due: dell’angelo Gabriele e di Maria che rievocano la scena dell’Annunciazione. Sullo spiovente di sinistra si presenta inginocchiato in segno di devozione e di riverenza l’angelo Gabriele rivolto verso la Madonna posta sullo spiovente opposto per annunciarle che diventerà madre di un bimbo il cui nome sarà Gesù. L’angelo, con i cappelli raccolti in una treccia attorno al capo, è rivestito da un ricco manto e, a differenza dell’iconografia abituale, non possiede le ali. Regge nella mano sinistra una fiaccola per indicare che viene a proclamare la venuta di Gesù, luce del mondo, o chissà, in una interpretazione più azzardata, il fuoco dello Spirito Santo che adombrerà Maria per generare in lei il figlio di Dio. La Madonna è in piedi rivolta verso la piazza, cioè verso la gente che l’ammira e la prega. Ha la testa coperta da un velo ed indossa un ampio mantello sopra la lunga veste. Appoggia la mano destra sul petto per dimostrare il suo turbamento all’ascolto delle parole dell’angelo che affermano che Dio l’ha scelta per quella nobile missione. Con la sinistra si cinge il grembo nell’atto di accogliere amorevolmente in lei il figlio Gesù, quasi stesse sussurrando: “Ecco l’ancella del Signore”.

Al centro sulla cuspide¹⁷ si erge la figura di Gesù crocifisso non su due pali, ma su una croce con una raffinata foggia di albero della vita. L’albero fiorito richiama il “Lignum vitae”, la croce che fiorisce a Pasqua. Ciò sta ad indicare che Cristo morto, dopo tre giorni risuscita. L’albero fiorito diventa il simbolo della sua risurrezione dopo la morte invernale. Vi è qui simboleggiata tutta la tradizione dell’Albero del Paradiso terreste che rinasce con la nuova umanità con la morte di Cristo, proprio sul Golgota, il colle dove secondo la tradizione era stato sepolto Adamo. Calvario (dal latino Calvaria che significa “luogo del cranio”) è il nome della collinetta appena fuori Gerusalemme su cui, secondo la narrazione dei vangeli, salì Gesù per esservi crocifisso. Il luogo è anche detto Golgota (dall’aramaico Gûlgaltâ con il medesimo significato di “luogo del cranio”). Origene nel III secolo riteneva che il Golgota fosse il luogo della sepoltura di Adamo: questo fatto simbolicamente ribadiva il ruolo di Gesù come “nuovo Adamo”, fondatore della nuova umanità redenta (cfr. 1 Corinzi 15,21-22). Per questo motivo, nelle rappresentazioni della crocefissione, ai piedi della Croce è spesso raffigurato il teschio di Adamo. L’albero potrebbe anche simbolizzare “l’Albero di Iesse”, una rappresentazione diffusa nel Medioevo, soprattutto negli affreschi, per sottolineare la discendenza del Messia riportata nel vangelo di Luca, che fa risalire Gesù a Davide, ad Abramo e al primo uomo Adamo.

Appena sopra l’arco¹⁸ si osserva il bassorilievo di un Cristo defunto su foglie di acanto dispiegate che indicano nel cristianesimo primitivo la risurrezione. Notiamo come la figura di Cristo nell’arte del Trecento viene storicizzata. Si presenta la sua morte, non più un simbolo come nell’arte paleocristiana. Le foglie di acanto furono adottate nell’architettura cristiana, nei capitelli gallo-romani e nei monumenti sepolcrali, per simboleggiare la resurrezione. È un simbolismo usato anche per i capitelli nel coro delle chiese dove si custodivano le reliquie dei santi ai quali era promessa la resurrezione. La cornice¹⁹ sotto la figura di Cristo morto è costituita dall’acanto: le foglie spinose e pungenti del cardo lasciano lo spazio alle foglie di acanto senza spine: la risurrezione di Cristo trasforma le spine in fiori. Il Cristo giace in una grande conchiglia, simbolo nelle culture orientali della divinità. Alle estremità del tempietto troneggiano gli stemmi Andriani posti a specchio.

All’interno dell’edicola si trovano due formelle²⁰ contrapposte con la rappresentazione dell’angelo (o uomo alato) e dell’aquila, simboli dei vangeli di Matteo e di Giovanni. Mentre le due colonnine binate poggiano sul vitello alato e sul leone alato che ripropongono i simboli degli altri due evangelisti: Luca per il vitello e Marco per il leone. I quattro evangelisti sono raffigurati sull’arca, ciascuno con il libro del vangelo aperto.

All’interno dell’edicola si trova sarcofago vero e proprio dove si deponeva la salma del defunto. Sulla sua parte anteriore è stato scolpito un bassorilievo con cinque figure: al centro spicca la Madonna in trono con Gesù²¹ in grembo attorniata da due angioletti che sorreggono il manto; ai lati san Giovanni Battista con l’agnello posto nella mano sinistra (ricorda l’episodio in cui indica Gesù chiamandolo “agnello di Dio”), e un santo vescovo (probabilmente san Tommaso di Canturbery, o il san Gottardo rappresentato negli affreschi dell’interno) ²¹

All’estremità di sinistra per chi guarda c’è san Pietro che regge le due chiavi del regno celeste e il libro delle scritture e, a quella destra, santa Caterina di Alessandria con la palma del martirio e la ruota con cui venne dilaniato il suo corpo.

La santa poggia il capo in una nicchia sormontata da una corona di foglie. Da notare anche il fine legaccio del mantello e le pieghe del vestito. Il basamento del sepolcro ripropone l’alternanza delle fasce nere con la fascia bianca di marmo.

Figurativamente, attraverso l’Annunciazione²² dell’angelo a Maria e la Crocifissione di Gesù su un albero fiorito è rappresentato tutto l’arco della vita terrena di Cristo e la sua missione nel mondo. Le tre statue collocate sulla sommità del sepolcro trasmettono ai fedeli che le venerano il grande messaggio (kerigma cristiano) che Gesù fattosi uomo, morto sulla croce e risorto è venuto a portare la vita a tutti gli uomini. Sono solo tre statue, in alto invisibili al passeggero distratto ma non così per il fedele medioevale che ogni mezzogiorno recitava l’Angelus,²² magari nel cimitero antistante la chiesa. Le tre statue rappresentano per il cristiano tutto il dramma della storia della Salvezza: dall’incarnazione alla passione, morte e risurrezione di Gesù. Il Cristo risorto annuncia la speranza nella nuova vita.

La terza arca è addossata alle mura meridionali del castello. Secondo alcune testimonianze, fino al XIX secolo si trovava all’interno della Chiesa. Fu spostata all’esterno per la sistemazione dell’organo solo nel 1870, come rammenta una lapide posta sulla piazza in concomitanza allo spostamento del cimitero.

La struttura dell’arca differisce decisamente dalle precedenti, perché è stata concepita come un dossale privo di profondità per l’interno della chiesa.

Doveva, infatti, occupare uno spazio limitato. Perciò è più appiattita sulla parete delle altre due. È stata progettata e realizzata come ossario, in stile gotico, capace di accogliere i resti delle antiche sepolture cimiteriali della famiglia Andreani.²³

Si sviluppa prevalentemente in verticale con un doppio ordine di colonnine binate a sostegno del fregio polilobato e con nicchie angolari a pinnacolo. Nella parte superiore domina un bassorilievo di un Cristo morto posto al di sopra dello stemma della famiglia Andriani. Nella fascia centrale risaltano i simboli dei quattro evangelisti: l’Aquila per san Giovanni, l’uomo per san Matteo, il vitello per san Luca e il leone per san Marco.

Sono raffigurati come nella seconda arca, ma differiscono in un particolare: reggono il libro del loro vangelo chiuso. I simboli degli evangelisti sono sormontati da un iscrizione in latino incisa sulla sottile fascia superiore che identifica la realizzazione nel 1371 da Stefano Andriani, figlio di Baldassarre. (3) Al di sotto fu posta una lapide nel 1771 a ricordo di alcuni restauri. (4)

I Simboli degli evangelisti

In realtà c’è un solo Vangelo, ma il lieto annuncio è giunto a noi redatto da quattro evangelisti. È la Sacra Quadriga, il misterioso cocchio di Dio, condotto – secondo una visione del profeta Ezechiele²⁴, ripresa dall’Apocalisse – da quattro “esseri viventi” che avevano sembianza di uomo, di leone, di bove e di aquila. Gli antichi autori cristiani applicarono agli evangelisti le simboliche sembianze della profezia, riconoscendo nel Vangelo il nuovo trono di Dio.

Matteo²⁵ fu simboleggiato nell’uomo alato (o angelo, tutte le figure sono infatti alate), perché il suo Vangelo inizia con l’elenco degli uomini antenati di Gesù Messia ed è quello che mette più in risalto l’umanità del Cristo (il Figlio dell’Uomo, come viene spesso indicato). Il testo esordisce con la discendenza di Gesù e, in seguito, narra la sua infanzia, sottolineandone quindi il suo lato umano

Marco fu simboleggiato nel leone, perché il suo Vangelo comincia con la predicazione di Giovanni Battista nel deserto, dove c’erano anche bestie selvatiche. Nel Vangelo di Marco²⁶viene maggiormente indicata la regalità, la forza, la maestà del Cristo: in particolare i numerosi miracoli accentuano l’aspetto secondo cui Cristo vince il male. Inoltre è proprio questo Vangelo che narra della voce di San Giovanni Battista che, nel deserto, si eleva simile a un ruggito (di un leone, appunto), preannunciando agli uomini la venuta del Cristo. Si veda anche “Vox clamantis in deserto”.

Luca fu simboleggiato nel bue²⁷, perché il suo Vangelo comincia con la visione di Zaccaria nel tempio, ove si sacrificavano animali come buoi e pecore. Il bue o il vitello, simbolo di tenerezza, dolcezza e mansuetudine, caratteri distintivi di questo Vangelo per descrizione e teologia.

Giovanni fu simboleggiato nell’aquila,²⁸l’occhio che fissa il sole, perché il suo Vangelo si apre con la contemplazione di Gesù-Dio: “In principio era il Verbo…” (Gv 1,1). Il suo Vangelo infatti ha una visione maggiormente teologica, e quindi è quello che ha la vista più acuta. L’aquila è quello che vola più in alto di tutti gli esseri e che, unico fra tutti, può vedere il sole con gli occhi senza accecarsi, ossia vedere verso i cieli e verso l’Assoluto, verso Dio. Il Vangelo di Giovanni infatti si apre con parole di forte carica trascendente: “In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.” (Gv. 1,1)

Incisioni riportate sulle arche:

(1) MEMORIAE ET QVIETI / IOAN MARII ANDREANI COMITIS / ET PATRICII MEDIOLANENSIS / CVRATORIS REGII FINIVM INSVB. AVSTR. / QVI OB DEXTERITATEM ET FIDEM / IN MAGNIS ARDVISQVE NEGOTIIS / A RE PVB GERENDIS / GRATIOSVS PATRIAE PROBATISSIMVS PRINCIPI / VIX. AN. LXXVI / CORENNI DIEM SVVM PIE FVNCTVS / XI KAL. OCT. AN. MDCCLXXIV / IN AVITVM SEPVLCRVM IN LATVS EST / IOAN. MARIVS PETRI PAVLLI SENATORIS F. / HERES EIVS EX BESSE / PATRVO AMANTISSIMO / ET OPTIME DE SE MERITO / PARENTALIA IN PERPETVVM QVOT ANNIS / CELEBRANDA INSTITVIT P C

Secondo alcuni atti di san Carlo del 1583, l’arca do cui sopra, si trovava già allora all’esterno.

+ IN NOMINE DOMINI AMEN ANNO CHRISTI MCCCLXXI HOC OPVS FIERI FECIT STEPHANVS FILIVS QVONDAM DOMINI BALZARI DE ANDRIANIS DE BVRGO CORENI DIOCESIS MEDIOLANI

D.O.M. / SEPVLCRVM MAIORVM / CCCC ANNORVM VETVSTATE DETRITVM / TVM SIBI TVM PAULLO SENATORI / HIERONYMO PROTOPHYS. / ET PETRO FRATRIBVS OPTIMIS / NECNON FILIIS EORVMQVE POSTERIS / HAEREDITARIO IVRE / COMES IO. MARIVS ANDREANVS / MEDIOLANSIUM FINIVM PRAEFECTVS / RESTITUIT / AN. MDCCLXXI IBID. AUGUST.

Di scarso valore artistico ma fondamentale per la stratigrafia sono i quattro/cinque gradini inferiori della scalea di accesso alle arche e alla chiesa in granito di San Fedelino e non in serizzo come i successivi. Questo sta ad indicare inequivocabilmente l’originale livello che ebbe l’antico camposanto. L’ipotesi è confermata anche dal ritrovamento del rilievo-progetto dei predetti lavori al cimitero.²⁹

LUCA NAVA