
SAN PIETRO IN VALLATE. In uno studio dal titolo significativo, “Proposta metodologica per una lettura dei rapporti tra l’istituzione monastica di Cluny e i priorati lombardi in età romanica”, firmato da G. Lodolo, l’autrice faceva il punto sulle ricerche fin li compiute riguardo il simbolismo cluniacense e terminava chiedendosi in quale modo esso trovasse compiuta espressione nelle fondazioni dell’ordine presente in Italia del nord.
Nelle considerazioni della studiosa rientravano poi i simboli compresi in immagini degli “ateliers” locali che seppero trarre dalle memorie della propria storia elementi figurativi, dando luogo a molteplici dinamiche di ibridazione stilistica sulla fine dell’età romanica di scambio con quella gotica.
La questione delle “contaminazioni” era già stato affrontato dall’archeologo statunitense Arthur Kingsley Porter, secondo il quale l’influsso di Cluny fu determinante nell’architettura romanica.
L’ordine di riforma francese nella pratica edificatoria erede del romanico più genuino, ebbe modo di enfatizzare gli aspetti peculiari di questo stile e, al contempo, sottolineando lo stacco contenutistico e formale che sottende all’idea medievale e romanica in particolare, di architettura rispetto a quella sempre tardo-medievale ma roboatamente goticheggiante.
In tutto questo non si deve scordare come, se lo stile romanico si accompagna a una teologia in prevalenza Cristocentrica; il concetto edificatorio gotico ha in se invece una matrice mariana, che ne addolcisce i caratteri e ne dispiega narrativamente e più estesamente i contenuti.
In Padania questi caratteri hanno un riscontro autorevole: che lo stesso Wiligelmo abbia avuto rapporti con il mondo borgognone è fatto ormai certo e ripreso con forza dal Quintavalle dopo che già il Porter ne aveva portato documentazione nel 1919.
Questo dato su un nome esemplare come quello di Wiligelmo, legato alla sua opera, propone considerazioni a cascata per tutti gli altri esempi di romanico padano( e non solo).
Ma per restare in area specificamente lombarda e zona di confine fra la Milano viscontea del XI/XII secolo e l’area Bergamasca di influsso Veneziano, ovvero in Pontida, in uno dei presidi maggiori di Cluny in Italia, ossia l’abazia di S. Giacomo, nella tomba del Beato Alberto da Prezzate qui custodita e nel portale della chiesa di S. Maria in Calvezzano, Porter con il De Francovich, ravvisano elementi di matrice borgognona.
Per non parlare poi della lastra tombale di Teiperga a Fontanella per la quale il Sant’ambrogio invoca addirittura facitori transalpini (Sant’ambrogio 1909) lontano richiamo toponomastico al priorato francese di Fontainevrault.
L’abazia di S.Pietro in Vallate, risalente al XI secolo, serba gli elementi decorativi più stringenti del carattere dell’ordine, che come nei priorati or ora citati, trovano giustificazione in una osservanza liturgica e di appartenenza all’ordine transalpino e una altrettanto riaffermazione dell’essere tradizionalmente nell’alveo del romanico lombardo.
Anzi, insieme a S. Salvatore in Val Camonica, la piccola chiesa di Vallate si presenta come l’ultima propaggine e baluardo valtellinese del presidio Borgognone in Italia.
Dettagli come la doppia fascia posta in opera sull’abside con andamento a denti di lupo, e sottostante a un registro sempre a dentelli, probabilmente son serviti anche, ma non solo, a rialzare la copertura per permettere una imposta delle volte più idonea a reggere il sistema bipartito e contraffortato degli spazi interni.
Originalissimo si presenta il basamento che elude uno zoccolo di imposta ma che integra due fasce lavorate a dentelli come quella apicale e che realizzano un particolare richiamo con i decori a denti di lupo di sotto gronda, raccordati dalle semicolonne decoranti l’abside con effetto verticalizzante, e d’effetto ritmante nello lo spazio scandito con rigorosa regolarità.
Allo stesso modo sono evidenti le diverse mani nel taglio delle pietre locali: alla base si ritrovano massi ben squadrati di arenaria calcarea, mentre, salendo di quota nei setti murari, si nota una approssimazione nella cura realizzativa dei blocchi litici che decrescono anche in dimensione e diventano frammisti a componenti litici di diversa natura, in particolare ardesia.
Semplice e austera è la struttura della torre campanaria piuttosto modesta nelle dimensioni ma con tutto il genuino carattere del romanico lombardo: archetti pensili ben conservati e bifore di alleggerimento su tutti i lati del parallelepipedo a base quadrata che termina con copertura conica.
Anche le colonnine che decorano l’abside sono ricorrenti nei priorati minori di Cluny in Italia, come S. Benedetto di Portesana a Trezzo, S. Giulia a Bonate, Fontanella, S. Maria in Calvezzano. A Vallate come a Fontanella e S. Benedetto, sono presenti decorazioni a bassorilievo sugli archivolti delle piccole monofore absidali e alcuni grossi blocchi litici che presentano simboli in luogo di controfirma con simbologie antropomorfe, segno di appartenenza a una specifica squadra di fabriceri.
Della chiesa originale sussistono buona parte del muro perimetrale sud, il santuario maggiore absidato, e il campanile a nord sopra un santuario minore in origine absidato (dell’absidiola sussistono le due estremità). La parete sud della chiesa è in blocchi di pietra locale di misura e colorazione diversificate. Nella parte inferiore sono inseriti blocchi di grandi dimensioni. Poderosi sono quelli impiegati per gli stipiti e l’architrave del portale, dotato di soprastante archivolto che forma una lunetta e costituente l’accesso principale (laterale). Immediatamente sopra l’archivolto una monofora è leggermente fuori asse rispetto ad esso. L’abside è dotata di tre monofore e di un oculo (verso nord) ed è divisa in campi verticali da semi colonne interamente di restauro. Le tre semi colonne si interrompono sotto la cornice di archetti pensili come a Fontanella, ovviamente post 1080/82. Il motivo a “denti di lupo” realizzati tramite triangoli di laterizio, figura in doppia fila nell’abside, sotto gli archetti e sotto una fila di “denti di sega”, che compaiono eccezionalmente anche nello zoccolo absidale. Ciò attesta fra l’altro l’emergenza visiva dei paramenti murari est e sud quelli visibili dal chiostro rispetto agli altri due.
Tuttavia il perimetrale ovest non esiste più, mentre quello settentrionale, esposto al dirupo e conservato in minima parte, appare tecnologicamente assai più scadente.
All’interno il santuario principale è coperto da due volte di ridotte dimensioni a botte di 160 e 80 cm antistanti l’abside, la quale prospetta così a ovest con tre ghiere concentriche.
La più esterna di queste ha le estremità occultate dal perimetrale sud della chiesa e dal campanile. Ciò significa che la volta a botte maggiore ricade a nord dietro l’angolo del campanile, come in un’incavatura della parete, ed era munita di contrafforti dall’absidiola minore. Al piano terra il campanile evidenzia quattro archi perimetrali, tecnicamente formerets, di una originaria volta a crociera. Simmetricamente all’arco aperto verso ovest, un arco trasversale orientale si sovrappone in modo poco “ortodosso” all’attacco sud dell’absidiola. Le due absidi erano di profondità diversa, a échelons, in modo tale che la minore corrispondeva alle due volte a botte del santuario principale per munirlo di contrafforti.
Leggendo la parete esterna est del campanile, si ha la chiara impressione che in origine fosse previsto una specie di timpano dell’absidiola (con oculo centrale), poi inglobato nel muro della torre soprastante. Dunque l’absidiola preesisteva alla torre e questa vi si sovrappose pochissimo tempo dopo. Nella parete esterna sud del campanile vi è la metà destra di una ghiera d’arco falcata, in origine ricadente su qualcosa di simile a un pilastro in pietra.
Essa è stata variamente interpretata, ma è probabile che indichi un originario progetto di chiesa a due navate e due absidi, forse cambiato in corso d’opera con la sovrapposizione della torre ipotizzato da Gianni Piva (Piva 1998). La distanza di sette metri fra il punto ovest di ricaduta del grande arco e il perimetrale occidentale consentirebbe due campate più strette. La grande arcata individuava evidentemente il coro monastico, mentre la campate minori occidentali erano la “navata” liturgicamente intesa. La tipologia a due navate è inusuale in contesto cluniacense, che generalmente, per la peculiarità delle celebrazioni liturgiche che l’ordine aveva consolidato, richiedevano almeno tre navate per chiese di piccoli priorati e cinque per le abazie maggiori di riferimento. Ma tale stilema borgognone non era pedissequamente osservato in area comasca e più in generale italiana.
Se si volesse tentare una strada diversa per la lettura degli esiti architettonici del piccolo priorato della Valtellina, si potrebbe battere la strada della committenza e degli intricati rapporti di equilibrio dinamico del mondo feudale del XI/XII secolo. In questa specifica trattazione e contesto, ci si contenta di ripercorrere brevemente la storia fondativa del luogo, lasciando lo studio dei passaggi politici e le vicende particolari a studi d’alto ambito, e si tenta di cogliere qui il necessario utile in modo da integrare quanto di più stretta pertinenza artistico/stilistica.
Nel marzo 1078 i coniugi Otto e Boniza dell’Isola Comacina donano a Cluny nove possessi “infra territorium villarum que nominantur Cose et Roboredum”: il primo di essi è un campo, castagneto, prato e bosco “ubi edificium est inceptum in honore sanctorum apostolorum Petri et Pauli et sancti Maioli, et ad opus ecclesie Cluniensis, et hec petia posita est in monte de Cose, et nominatur Valaris” (Bruehl 3519, p.642). Si ritiene generalmente che Vallate fosse in origine un priorato autonomo, ma è invece da accogliere l’isolata ma plausibile proposta di identificare Vallate con il Vultulina che figura fra le obbedienze di Pontida nel 1095 (Cortinovis 1978; Spinelli 1981). Nell’atto del 1078 è specificato infatti che i possessi donati si trovano “in valle que nominatur Vallis Telina”. È invece del tutto probabile che nel 1078 l’abate di Cluny affidasse la costruzione e la custodia del nuovo monastero a Pontida, per quanto questo, insieme al priorato di S. Egidio, fosse di recentissima fondazione (1076), ma al contempo essendo il priorato più vicino. Ciò non toglie che dopo il 1095 e ancor piu dopo il 1125, non essendo citato tra i priorati nella bolla di Onorio II a Cluny, S. Pietro in Vallate si svincolasse da Pontida, cui non era sicuramente più soggetto nel 1186 (Spinelli 1981). Nella mancanza di documentazione, è solo certo che fosse un priorato nel 1204, quando sono citati separatamente i priori di Piona e di Vallate, come le ricerche di Giussani hanno dimostrato (Giussani 1916) e questo dato non è in contraddizione la probabilità che il priorato di Vallate fosse diventato grangia di Piona già nel 1336, come informa Marcora nel suo studio del 1972.
Le vicende della fondazione del priorato e gli anni successivi della sua permanenza attiva, sono condizionate, come per tutti i priorati, specie quelli minori, dalla situazione di perenne instabilità politica e dal processo di riforma di alcuni aspetti della gerarchia ecclesiastica.
Quando i tempi erano cambiati e la riforma aveva fatto il suo corso, subentrò la deleteria istituzione della commenda, anticamera della chiusura della vita del priorato alla sua soppressione in epoca napoleonica.
LUCA NAVA
Estratto dell’art. reperibile su: Noesis-Noema n°10\2023