COLLEGIATA DI SANTA MARIA A CASTELL’ARQUATO: CONFLUENZA DI FONTI ICONOGRAFICHE

Interno della Collegiata, fonte immagine: Wikipedia

CASTELL’ARQUATO. Succede talvolta che tramite inattese congiunture di eventi, corrispondenti ad altrettanti filoni di pensiero, artistici e culturali, confluiscano in un solo luogo, potendosi cosi ritrovare le testimonianze di un passato, anche remoto, sottratte al dispotismo del tempo e conservate al punto tale di descrivere quella realtà lontana cosi efficacemente da renderne attuali le stigmate.

Il riferimento è quello del borgo fortificato di Castell’Arquato,¹ in provincia di Piacenza, l’area geografica è quella della pianura alluvionale del Piacenziano, il dominio politico dei trascorsi storici di cui le fortificazioni portano gli stemmi, rispondono al nome dei Visconti.

Racchiuso dalle mura che delimitano un ampio perimetro attorno a un rilievo calcareo, il complesso consta di tre nuclei diviso nel palazzo del Broletto, le fortificazioni viscontee ( di cui si è gia argomentato in un precedente articolo riguardo alle fortificazioni del IX-XII secolo) e la collegiata, costituita da chiostro, ambienti attigui per i servizi e ospitalità monastica e chiesa.²

E’ proprio nel nucleo della collegiata che fiancheggia il palazzo del Broletto, che si ritrovano, svelati progressivamente non appena viene varcata la soglia della chiesa, tutti gli stilemi della cultura rappresentativa e per gran parte simbolica, che ha costellato le vicende, non solo di questo luogo, ma di gran parte dell’allora Sacro romano impero.

Si tratta infatti di una stratificazione di stili architettonici che hanno il loro primo nucleo nel VIII secolo e un secondo nel Xll dovuto alla necessità di ricostruzione a causa di un terremoto occorso attorno alla metà del Xl sec.

Oltre a quanto l’architettura romanica in prevalenza offre alla visione, grande rilievo assume il tesoro della collegiata stessa, che conserva manoscritti miniati sia d’epoca carolingia che di fine Xlll secolo e che consentono di rintracciare i passi dell’evoluzione dello stile di alcuni elementi decorativi ricorrenti anche in varie sezioni dell’architettura come i decori dei capitelli a scudo o l’intradosso di alcuni setti murari

L’origine presunta della Chiesa di S. Maria è nota grazie alle testimonianze fornite dalle fonti del Campi,³ secondo il quale la data del primo nucleo risalirebbe intorno al 758.

Dopo il terremoto del 1117 il complesso notevolmente danneggiato, quindi in parte ricostruito, soprattutto nella parte delle fortificazioni.

Alla fine dei lavori la chiesa di S. Maria Assunta venne ricostruita sulle fondamenta (e su parte dei perimetrali che hanno resistito allo scossone del terremoto) del nucleo originario di Vlll sec : collegiata⁴ fu consacrata nel 1122.

La struttura si presenta a tre navate, triabsidata con copertura a capriate: particolare di rilievo questo, soprattutto in virtù della ricostruzione datata Xll secolo.

Altresì la soluzione di setti murari formati da blocchi litici ben squadrati e di grandi e medie dimensioni, abbinati ai pilastri poli lobati, non alternati con colonne, sembrano simpatizzare per le coeve soluzioni transalpine.⁵

Di notevole spessore documentario sono l’ambone e l’altare.

Il primo reca sculture di epoca post carolingia e con gli stilemi dell’età degli ottoni, primo fra tutti il simbolo aquilino.⁶

Il secondo reca lastre a alto rilievo con le storie della vergine, il cui modello esprime semplicità formale e ieraticita, tuttavi non estraneo a una certa umanità appartenente alle sculture dell’Antelami in quel di Parma.⁷

Alla collegiata si accede tramite un accesso frontale mediano in facciata ed uno sul lato nord. In prossimità del centro di quel fianco settentrionale alé che consente il transito dallo stretto chiostro rettangolare, le colonne presenti sono sette e in laterizio, aventi un metro di diametro.

Queste seppur di notevole fattura, risultano notevolmente degradate per l’esposizione agli agenti atmosferici.

Molto più efficaci per individuare il grado di aggiornamento e capacità inventiva degli scalpellini di quel secondo cantiere, raggiunto in piena età romanica, sono i capitelli sovrastanti i pilastri poli lobati della chiesa.⁸

Questi, quasi tutti con struttura a scudo, recano decorazioni da molto semplici a racemi, fino a stilemi più complessi con animali e effigi umane.

Si individua facilmente la rigidità ma anche un grado maggiore di sognante fantasia che si svincola nella narrazione compatta del poco spazio a disposizione, nei capitelli più antichi e una certa omologazione stilistica, più realistica ma molto meno libera in quelli realizzati fra Xll e Xlll secolo.

Questo carattere è evidenziato ancor meglio dal confronto di due miniature contenute in due lezionari diversi, di IX e XIII sec.narranti con splendide pergamene( di cui si riportano le immagini) miniate la vita di Saint-Amand.⁹

Nella miniatura piu antica è evidente il non rispetto delle proporzioni del corpo del santo, celato dalla veste che consente ogni allungamento del corpo quasi fluttuante e sorretto con una pastorale impossibile data la sottigliezza.

Il cielo e il fiume raffigurati in questa pergamena appaiono come un’onda che diviene al tempo stesso scenografia.

Sono prodotti fantastici di cui l’angelo-kamicaze con la corona per il santo, danno conferma della dimensione immaginifica, così come lo stuolo dei convertiti che attorniato l’icona del santo.

Altra dimensione psicologica quella della miniatura più tarda, nella quale regna la simnetria e una rigidità dogmatica nonchè una libertà di impaginazione evidentemente negata, probabilmente irregimentata da direttive ecclesiastiche al tempo di ildebrando di Sovana, ossia Papa Gregorio Vll.¹⁰

A questo punto sarebbe opportuno andare oltre le descrizioni particolari per abbracciare una visione d’insieme del mondo simbolico che si invera tramite le immagini.

Che si tratti di misurarsi con le difficoltà oggettive della realizzazione di un’opera monumentale come la collegiata, oppure allestire questo spazio con apparati decorativi e liturgici a rilievo, o ancora attingere alla possibilità di astrazione che la miniatura consente, significa fare metacomunicazione.

L’integrazione cosi coerente di diversi linguaggi, per di più su scala temporale che abbraccia quasi due secoli è indice di una riflessione profonda sui significati che animano questa impresa e altresi sulle modalità consapevoli con le quali vengono comunicati.

Lo sforzo titanico sembra consistere nel trovare un linguaggio metaforico con il quale, le diverse componenti considerate, possano dialogare fra loro, dando a questo silente dialogo la medesima dignità della sacralità che veicolano.

Argomento interessante, al quale qui solo si accenna, sarebbe quello di indagare più approfonditamente quale potesse essere la condizione psicologica e interiore degli uomini di quei secoli lontani, e le modalità comunicative fra loro, nonché il linguaggio che andavano maturando per farlo.

Aspetti questi che per il loro carattere dirimente, dovrebbero sempre, non solo in circostanze similari a quella in esame, essere considerati in una prospettiva ermeneutica.

Internamente alla collegiata si colloca la cappella dedicata a S.Caterina d’Alessandria che venne però costruita ai primordi del ‘400 e affrescata, forse sa una bottega e quindi più mani afferenti a un’idea e uno stile del maestro, probabilmente entro il trentennio del XV sec.

Dunque una struttura tarda rispetto al complesso che, come si diceva, reca già volte in muratura che ospitano affreschi( immagini)

Un corpo di fabbrica che appare estraneo in virtù dello stile che marca uno stacco oltreché stilistico anche cronologico, rispetto al resto della collegiata per le pareti e le volte già proto- rinascimentali. I dipinti, di autore ancora ignoto riconducibili alla scuola toscana, rappresentano, in modo sequenziale, alle pareti l’intero ciclo della Passione di Gesù mentre al centro le esequie della vergine e la sua Gloria. Purtroppo all’inizio del 1700 la cappella, come tutta al chiesa, subì lo scempio dell’intonaco che ha compromesso buona parte della brillantezza degli affreschi protorinascimentali, anch’essi testimonianza che nel cantiere si animava un certo fervorio alimentato dai non lontani centri maggiori in cui con maggior velocità affluivano le novità tecniche e iconografiche, ovvero le città di Parma e Piacenza, nonché Bologna e Milano.

LUCA NAVA, bibliografia su richiesta