CREMONA. Quando in una città chiude uno spazio dedicato all’arte, quella città diventa un po’ più povera. Certo, ogni esercizio commerciale che abbassa definitivamente le saracinesche, è una ferita, pensando a chi, in quel locale, ha investito tempo e denaro. Ma uno spazio artistico ha qualcosa di diverso, di speciale, di magico, se vogliamo. Perché, come sappiamo, un’opera d’arte va ben oltre il valore dei materiali di cui è fatta. Per assurdo, la Gioconda, il quadro più famoso del mondo, fra tela e colori, non costerebbe neppure cinquanta Euro. Il valore è dato, naturalmente, dall’artista.
Ecco perché uno spazio dedicato all’arte ha un valore aggiunto. Un valore immateriale. Quindi fa male quando uno spazio d’arte chiude. Ne ho avuto la riprova qualche giorno fa quando ho saputo che nella mia città ha terminato la propria attività una delle gallerie storiche, una di quelle dove ho passato tanti pomeriggi a parlare d’arte e di artisti, di questa o di quella mostra, a mettere e togliere quadri e soprattutto a imparare a come farlo per cercare di valorizzare al meglio ogni opera.
Dino, il patron di quello spazio, mi diceva sempre: “l’allestimento di una mostra è il vestito della mostra“. E aggiungeva: “puoi avere la modella più bella del mondo, ma se le metti un brutto vestito, il risultato sarà pessimo”. Non aveva torto. Si possono avere tanti quadri di valore, eseguiti come Dio comanda, ma basta non valorizzarli come meritano, sbagliandone, ad esempio, il posizionamento, l’illuminazione, il controluce, l’altezza, che l’esposizione ne risente irrimediabilmente.
Per cercare di fare un allestimento al meglio, un giorno mi presentai a Dino con un metro professionale, di quelli riavvolgibili. Lui disse che l’unica cosa che mi sarebbe servita, e che infatti usava, era il manico di una scopa. Aveva ragione: per fare un allestimento perfetto serve solo un manico di scopa. Mi spiego. Prima è necessario progettare la collocazione di ogni opera a tavolino, poi – altro trucco di Dino – si mettono tutte le opere appoggiate al muro, per terra. Si verifica con lo sguardo se il posizionamento è ottimale, avendo il coraggio di fare eventuali modifiche. Poi si procede ad appendere i quadri sui supporti e a collocare le sculture sui basamenti.
Va bene, ma in tutto questo cosa c’entra il manico di scopa? Semplice: per calcolare il giusto distanziamento delle opere. Ogni pezzo deve “respirare”, deve cioè dare modo d’essere apprezzato dal visitatore senza essere soffocato dalla vicinanza con gli altri. Alla fine, e solo alla fine, si misura questa distanza col metro.
Ma qual è il vantaggio? E’ presto detto: se si riesce a misurare con un manico di scopa la distanza ideale fra un quadro e un altro e alla verifica col metro questa distanza è precisa, significa che abbiamo imparato a fare un allestimento perfetto. Certo, per riuscirci servono pratica ed esercizio, ma l’arte è soprattutto un piacere. E “vestire” una mostra fa parte di questo piacere.
AUTORE: SIMONE FAPPANNI (Riproduzione del testo riservata)