MILANO. Chi organizza mostre d’arte sa perfettamente che, dopo la conclusione di un’esposizione, è necessario procedere velocemente alla restituzione delle opere ai legittimi proprietari. Di solito la cosa marcia speditamente, soprattutto quando gli operatori del settore vogliono allestire altri eventi e non vogliono tenere pezzi in giacenza.
Anni fa conobbi un gallerista che era famoso, se così possiamo dire, per i tempi biblici con cui rendeva i pezzi invenduti.
Diceva che si stufava ad imballare le opere e a contattare i corrieri o altri servizi di movimentazione di manufatti artistici che richiedono una certa cura essendo piuttosto fragili. Riceveva in continuazione telefonate di sollecito, lettere ed e-mail. Ma niente. Lui continuava a prendersi i suoi tempi biblici. Qualcuno minacciava persino di rivolgersi a un legale ipotizzando che il gallerista volesse tenere per sé l’opera oppure venderla senza corrispondere la percentuale dovuta. Nulla di tutto ciò. Il gallerista era indolente. E basta.
Ricordo che un pittore, dopo infiniti solleciti, alcuni anche con toni molto accesi, decise di avventurarsi in un viaggio lunghissimo con tutti i mezzi possibili per recuperare un quadro. Non avendo la patente, fu costretto a cambiare vari treni e pullman. E persino un taxi. “Arrivo oggi nel pomeriggio, disse telefonicamente”. Ma il gallerista non ci credeva. “Figuriamoci – mi disse – se fa un viaggio così lungo per recuperare un quadretto.”
Invece no. Il pittore in questione aveva attraversato mezza Italia per quel dipinto. Entrato in galleria non salutò né il gallerista né, tanto meno, me e gli altri presenti. Pretese e ottenne di riavere il quadro. Una volta che lo ebbe nelle mani, si inginocchiò, posò a terra l’opera e con un martello da carpentiere portato appositamente lo distrusse davanti ai nostri occhi con una tale violenza che i brandelli schizzarono ovunque sul pavimento.
Lo guardammo increduli. “Non mi piaceva”, disse prima di andarsene, “pensavo di venderlo in fretta ma dopo quindici anni nessuno l’ha voluto”. Il gallerista prese la palla al balzo. Raccolse i pezzi e li vendette a un collezionista presente in sala. E a corrispondere il dovuto al pittore.
Con un intuito incredibile riuscì a convincere l’acquirente che si era trattato di un performance, cioè, in poche parole, di uno spettacolo appositamente preparato per i visitatori. Ci poteva stare. Di performance strane la storia dell’arte ne conta parecchie.
Insomma, ho assistito a un rarissimo caso – per ora l’unico nella mia vita – in cui distruggere un’opera d’arte ha portato profitto.
AUTORE: SIMONE FAPPANNI (Riproduzione del testo riservata)