MILANO. Non basta avere a disposizione opere eccellenti e realizzato un allestimento da manuale. Per avere successo una mostra d’arte dev’essere adeguatamente promozionata in modo che il pubblico possa conoscere l’evento ed essere invogliato a visitarlo. Ma come si fa? Abbiamo rivolto questa e altre domande sull’argomento a specialisti del settore per cercare di capire i “segreti” di chi sta “dietro alle quinte” di un successo artistico. Iniziamo con Chiara Serri, titolare di CSArt (https://www.csart.it/), uno studio di comunicazione interamente dedicato al mondo dell’arte che dal 2009 svolge attività di ufficio stampa per musei, fondazioni, associazioni, gallerie d’arte, case editrici ed artisti, con una particolare attenzione rivolta alle pubbliche relazioni, al web e ai social media.
Come s’inizia a pianificare un’adeguata promozione per una mostra d’arte?
Sarebbe fondamentale che l’ufficio stampa incaricato della comunicazione di una mostra potesse affiancare artisti, curatori e organizzatori sin dalle fasi iniziali, così da costruire un progetto di comunicazione condiviso, ritagliato sulle effettive esigenze del Committente. In epoca Covid, è venuta purtroppo a mancare questa progettualità di lunga data e ci siamo trovati a dover operare rapidamente, spesso in emergenza, gestendo numerose criticità. Anche da questa situazione – pesante non solo per noi, ma per tutto il sistema dell’arte – sono nate tuttavia nuove opportunità: abbiamo ripensato i tempi e i modi della comunicazione, ideando nuovi strumenti. Penso ad esempio alla newsletter Good Vibes by CSArt, di cui stiamo progettando in questo momento la sesta uscita. Un format nato proprio nel 2020 per rispondere alle nuove esigenze di un comparto che stava facendo fronte a cambiamenti strutturali. La finalità era e rimane quella di dare voce a chi l’arte la fa, la studia e la promuove, raccontando i progetti dall’interno ed evidenziando gli aspetti positivi e le buone notizie che, anche in un periodo così complicato, non hanno mai smesso di arrivarci. Nel sesto numero troverete tante possibili definizioni della parola Arte e i propositi di diversi operatori culturali – direttori di musei e fondazioni, curatori, galleristi – per il nuovo anno.
Quali sono i più efficaci strumenti per valorizzare un evento artistico? Ce ne sono di poco idonei?
Credo che la parola d’ordine debba essere integrazione. Oggi giorno non ha più alcun senso distinguere tra web e carta: tutti gli strumenti a nostra disposizione sono validi, purché gestiti con contezza e professionalità. Ogni evento seguirà naturalmente alcuni canali rispetto ad altri, ma è sempre importante prestare attenzione alle nuove professionalità di un settore in continua trasformazione.
Cosa non può mancare in un press kit?
Il comunicato stampa e le immagini con le relative didascalie e i crediti fotografici. Dobbiamo fornire ai nostri interlocutori informazioni complete e mirate, per consentire loro di valutare rapidamente l’interesse del progetto.
Come si organizza una campagna pubblicitaria mirata?
Alla base di ogni intervento di comunicazione c’è la definizione degli obiettivi. È la parte forse più complessa, che richiede riflessioni e confronti, ma senza la quale si rischia di muoversi secondo schemi consolidati nel tempo, ma non necessariamente performanti. L’intero progetto di comunicazione nasce da questa prima analisi e si costruisce insieme al Committente, individuando, in base alle esigenze e al budget disponibile, i possibili interlocutori per una campagna pubblicitaria mirata.
Quali sono gli errori da evitare?
L’errore nel quale si cade di frequente è pensare che tutte le mostre siano uguali e vadano comunicate allo stesso modo, come se ci fosse uno schema valido e riconosciuto, da applicare ad ogni situazione. Un secondo errore risiede, a mio parere, nella mancata analisi del contesto di partenza. Ogni museo, fondazione, galleria, ma anche ogni artista, ha un passato a livello di comunicazione che deve essere considerato. Anche l’artista più giovane ha certamente un piccolo gruppo di collezionisti che hanno supportato il suo lavoro, di giornalisti che ne hanno scritto, di contatti che apprezzano la sua ricerca. Questi contatti sono un patrimonio che deve essere valorizzato e trattato con la massima cura. Cosa può fare dunque un artista all’inizio della sua carriera? Tenere traccia dei propri contatti – collezionisti, giornalisti, galleristi, operatori culturali con i quali si è entrati in contatto – e costruire un proprio indirizzario al quale poter fare riferimento in occasione di eventuali mostre. Stesso discorso per quanto riguarda i social: la costanza e l’attenzione ai propri contatti è sempre premiante.
Arte, social e comunicazione. Come si conciliano?
Con professionalità e competenza tecnica. La pandemia ci ha fatto intravvedere cosa si potrebbe fare, ma anche come siamo impreparati a farlo. Gli esempi virtuosi sono stati tuttavia tanti. Speriamo che altri scelgano di percorrere questa strada.
In base alla tua esperienza, com’è cambiata nel tempo la comunicazione degli eventi culturali, e artistici in particolare?
In pochi anni il mondo che conoscevamo è stato ribaltato. A volte ce ne dimentichiamo, ma le trasformazioni, nel giro di un decennio, sono state eclatanti. Penso ai cellulari (il mio primo cellulare, un Ericsson GF768 con lo sportellino, l’ho acquistato alla fine degli anni Novanta), ma anche alla circolazione delle immagini. Un’amica, che collaborava con un giornale locale facendo la cronaca della montagna, negli anni Novanta dava all’autista della corriera i rullini fotografici che un giornalista ritirava e faceva sviluppare in città. Nei primi anni Duemila, all’università, il riconoscimento delle opere d’arte avveniva attraverso le diapositive, proiettate a lezione e fotocopiate per gli studenti in bianco e nero. Questo per dire che sono cambiati i tempi – ogni cosa può essere comunicata oggi in tempo reale, in ogni parte del mondo – ma anche gli strumenti a nostra disposizione: fotografie, video, webtv, dirette, podcast. Il rischio è, di contro, la sovrabbondanza di informazione, che richiede l’analisi delle fonti e la capacità di scernita da parte del lettore. Nel digitale risiede tuttavia una grande opportunità per l’arte e la cultura: quella di aprirsi ad un pubblico più ampio. Vi ricordate The Floating Piers di Christo e Jeanne-Claude sul lago d’Iseo? Era il 2016. Grande afflusso di visitatori, insistente attenzione mediatica, presa di distanza di tanti addetti ai lavori. Perché? Per l’eccessiva spettacolarizzazione. Perché per molti andare al Lago d’Iseo equivaleva ad andare al luna park. Perché non si tenevano in considerazione i delicati equilibri dell’ambiente lacustre. Tutto vero. Però in quella operazione c’era qualcosa di più: un senso di profonda apertura. L’arte non è più per pochi, ma per tutti. Credo che una mostra o un evento artistico, oggi, debba corrisponde ad un’esperienza positiva, sia per chi conosce già la materia che per chi vi si approccia per la prima volta. Diversi livelli di lettura, ma lettura, sempre.