RIMINI Serpenti, alligatori, cani, boschi, auto demolite. «Sono là fuori da solo, in uno stato di sogno. Sto cercando di catturare la vista e non so dove fermarmi». Quello di Curran Hatleberg è un rosario di oggetti, prospettive e situazioni che si mescolano spesso senza soluzione di continuità, la registrazione di un mondo che viene «dimenticato senza mai essere ricordato del tutto».
Sarà possibile ammirare le fotografie tratte dal volume “River’s Dream”, volume firmato dall’artista statunitense e finito tra i finalisti degli Paris Photo–Aperture PhotoBook Awards, il più importante premio delle pubblicazioni di fotografia, nella mostra a cura di Luca Fiore allestita dal 20 al 25 agosto al quartiere fieristico per il Meeting per l’Amicizia fra i Popoli. Hatleberg sarà inoltre protagonista con Fiore e Paul Schiek, fondatore Twb Books, il 20 agosto (19) dell’incontro con il pubblico dal titolo “Un’immersione profonda. creare insieme un’opera d’arte”.
Un’opera, questa di Hatleberg, frutto di un intero decennio di peregrinazioni nel sud degli Stati Uniti, tra Florida, Texas, Louisiana e Mississipi, e concepito come un capitolo di un unico progetto sull’America contemporanea: il tentativo di tastare il polso del paese in questi anni di turbolenta transizione.
“Desideravo andare in Florida in cerca dei sentieri meno battuti», spiega Hatleberg. «Non mi interessava la Florida delle spiagge di Miami o di Disney World, quella che finisce sui giornali. Di quello stato non conoscevo nulla e mi incuriosiva capire che cosa capita nei luoghi normali e nella vita quotidiana».
Gli scatti di un sogno americano di un’America sempre più divisa.
Hatleberg, Perché la sua è la scelta della fotografia come “immersione profonda” fatta di incontrare famiglie, comunità, condividere con loro il tempo, i pasti, e perfino le atmosfere più umide: «quei rari momenti in cui il mondo è così incredibilmente generoso. Tutto sembra intriso di riverenza».
«Mi piace pensare a me stesso come a un collaboratore e non a un vagabondo. Quando lavoro, non vado semplicemente in giro senza meta, alla ricerca di foto. Cerco intenzionalmente il contatto: connettermi con le persone, unirmi alle comunità, trovare amici e alleati, trascorrere del tempo con le famiglie. Il lavoro riguarda un interesse e una vulnerabilità reciproci e mi sforzo di rendere i miei soggetti i coautori».
Cosa significa voler comunicare con la fotografia: «una finzione più reale della realtà».
«Fondamentalmente, il mio lavoro riguarda la famiglia e la comprensione del significato di famiglia e comunità. Tante volte nella mia vita, mi sono perso o alla deriva, alla ricerca di connessione e amore – come facciamo tutti – e non è affatto un cliché dire che le persone con cui trascorro del tempo e che fotografo sono e sono state famiglia per me. Penso che le fotografie siano tracce di qualcosa di più profondo e significativo. Sono sempre stupito di come una grande fotografia sia sempre e solo una debole approssimazione della vivida complessità della vita. I miei soggetti sono spesso curiosi di me quanto io lo sono di loro, e cerco sempre di trasformare il nostro tempo insieme in una strada a doppio senso. La mia speranza è che anche lo spettatore senta quella generosità e che le immagini sembrino più una conversazione che un interrogatorio».
«La fotografia – lei ha detto – serve per scrivere il proprio tempo». Quale America si appresta ad eleggere il nuovo Presidente?
«Cerco di svolgere il mio lavoro al di fuori della politica, per trovare unificazione e un terreno comune. C’è una mancanza di connessione nel nostro mondo oggi, una mancanza di comprensione e un’assenza di empatia. Il mio lavoro fino ad oggi è stato una risposta a queste realtà contemporanee. Le fotografie di persone possono forzare un interesse e una fiducia in vite diverse dalla nostra. Quando funziona, possiamo sentirci riflessi in qualcun altro, creando empatia e cancellando l’indifferenza. Conoscere qualcuno, lavorare con lui, ascoltare la sua storia è iniziare a capire».
MARCELLO TOSI