DAL ROMANTICISMO AL VEDUTISMO DI PASSANDO PER LA PITTURA DI GENERE: L’OTTOCENTO ALLA VILLA REALE

Faruffini, Suonatrice di liuto, col privata, press kit CLP

MONZA. Fino al 28 luglio 2024, l’Orangerie della villa reale e musei Civici di Monza propone una mostra sull’Ottocento artistico.

L’Ottocento in Italia assume aspetti cangianti e spesso non soltanto si tratta di fare distinzioni per similitudini e/o differenze nelle manifestazioni culturali e artistiche in particolare, del panorama regionale, piuttosto di individuarne le peculiarità.

Nella regione che ha come capoluogo Milano, il secolo XIX si arricchisce man mano che procede verso il novecento, di esperienze artistiche che hanno varietà tematiche diversissime, spia di altrettante sensibilità che nel substrato sociale coesistevano in quella delicata fase di formazione di un nuovo ordine sociale e di un nuovo senso di appartenenza, insieme a una rinnovata coscienza di classe e del proprio ruolo, nel contesto della nazione.

L’esposizione (che comprende anche gli spazi dei musei Civici di Monza) alla Orangerie della Reggia monzese, dove l’arte pittorica e plastica dell’ottocento è ormai di casa, in questo tardo inizio di primavera, propone un viaggio nella pittura e, più in generale, nella cultura della Lombardia del XIX secolo.

Delle opere esposte, molti sono dipinti e pochi ma selezionati i disegni (fra cui spiccano quelli del Carnovali) dei principali protagonisti dell’Ottocento, con alcuni apporti plastici in bronzo realizzati a cera persa, realizzati negli intenti dell’artista, allo scopo di cogliere e ritrarre i caratteri del personaggio; uno o più “tipi” sociali che si potevano incontrare a metà XIX secolo.

Ad aprire la rassegna si trovano, come era lecito aspettarsi, Hayez Piccio, da Faruffini a Cremona, Carcano e Conconi, Trecourt, Medardo Rosso e Previati, con un intermezzo costante, inoltrando nel sermone reale, di nomi reputati a lungo e a torto, poco più che comprimari ma che in questo contesto vedono restituita loro la giusta importanza anche grazie a un allestimento arioso e ben equilibrato.

Il percorso espositivo, organizzato per aree tematiche, analizza sia i movimenti e le tendenze iconografiche, sia la biografia e la personalità dei singoli artisti, con un focus da cogliere sulla parte intellettualmente più raffinata e sperimentale, indagando la società del tempo seguendo un filo narrativo che si propone di far luce su un tema non sempre così noto, come l’ottocento lombardo, perché trattato in un contesto nazionale più allargato e inevitabilmente più dispersivo.

La mostra, pur tenendo come fulcro l’ambiente milanese con l’inevitabile peso esercitato in particolare dell’Accademia di Brera, indaga anche la situazione delle altre province lombarde.

Si trova infatti nella Sala Espositiva dei Musei Civici di Monza, una sezione dedicata alla scena artistica della città ospitante la mostra, luogo natale di pittori quali Pompeo Mariani, Mosè Bianchi, gia ben presenti all’Ambrosiana di Milano.

La rassegna si apre con la stagione romantica in cui primeggia la figura di Francesco Hayez, maestro e modello di intere generazioni di artisti. La sua lunga presenza nel ruolo di direttore a Brera ha lasciato un segno profondo sull’indirizzo culturale milanese. Insieme ad Hayez saranno esposte le opere di alcuni pittori che da lui presero insegnamento per il proprio percorso e quelle di maestri a lui contemporanei, quali Giacomo Trecourt, Massimo d’Azeglio e Giuseppe Molteni.

La sezione successiva è dedicata ai vedutisti e ai “prospettici” della prima metà del secolo, quali Giovanni Migliara, Angelo Inganni e Luigi Bisi, che con i loro scorci cittadini e le scene di vita quotidiana offrono uno sguardo prezioso anche sull’urbanistica e sulla società del tempo.

Il percorso passa poi al periodo delle guerre di Indipendenza, con dipinti incentrati alle tematiche risorgimentali, tra cui spiccano autori quali Gerolamo e Domenico Induno, noti anche per le loro scene di genere, che narrano la vita delle classi meno abbienti e per quelle, eleganti e frivole, che raccontano immaginari incontri galanti ambientati nei loro salotti borghesi.

Ma accanto a questi scenari, si affaccia anche un certo gusto di revival neo medievale, in mostra rappresentato con diverse opere( come il Cola di Rienzo di Faruffini) ma da una su tutte: “fiori alla Madonna” di Bartolomeo Giuliano presentato in una cornice architettonica dal gusto tardogotico in cui è facile sovrascriverne il significato del tema sacro a quello che gli occhi codificano in tutto e per tutto come un episodio mondano e dal gusto romantico molto affine all’amor cortese e, anzi, spinto verso immaginarie estasi tutt’altro che mistiche.(fig1/A)

La personalità, visionaria e unica, di Giovanni Carnovali detto il Piccio introduce al sensibile cambio di rotta della seconda metà del secolo. Artista fuori dal proprio tempo, straordinario anticipatore di soluzioni linguistiche illuminanti per le generazioni successive.

E proprio dalle suggestioni della sperimentazione non solo del Piccio, nella metà del XIX secolo, la pittura di genere o “da cavalletto”, che fino a qualche decennio prima era considerata di terz’ordine rispetto al soggetto storico, religioso o letterario, acquista gradualmente importanza.

Appare sempre più identificate il tema della vita quotidiana come carattere dell’arte moderna.

Proprio ciò che Francesco Milizia aveva liquidato come disimpegno pittorico, reputano degni del blasone di artista, colui che si riconosce impegnato nella pittura di storia, torna per più parti alla ribalta e riscuote cangianti interessi da una parte trasversale di pubblico sempre più interessato alle cose dell’arte, e della critica militante.

I pittori di genere, visti più come “artefici” che come artisti, erano reputati coloro in grado di imitare la natura, ma non di leggerla e immaginarla.

In Francia questo scoglio di vedute era stato già ampiamente superato, in Italia occorrerà attendere la piena stagione romantica affinché Angelo Inganni, Giovanni Migliara, Giuseppe Molteni, I fratelli Carcano ed altri producessero testimonianze di consapevole e attivo ruolo di interpreti del loro tempi.

Ma siamo ancora molto lontani, a questa altezza cronologica, dalle pratiche di oggettivazione che saranno programmaticamente, del” vero dal vero” dei macchiaioli.

il Piccio, come si diceva, è stato dunque fondamentale per autori quali Federico Faruffini e, soprattutto, Tranquillo Cremona, artisti interprete di una realtà interiore e siggettiva, percorsa da inquietudine esistenziale, percorsa dalle suggestioni dei “poeti maledetti”.

Faruffini sarà Il primo uomo e artista tormentato e irrisolto, che aprirà le porte a moderne interpretazioni della pittura storicista e letteraria; il secondo, Crempna, con Daniele Ranzoni e il sottostimato, nonostante il cognome, Giuseppe Grandi, fonderà il movimento, o per meglio dire la setta della Scapigliatura.

Più un sentire urgente di divorare e consumare in modo tragico e angosciato l’esistenza, che un movimento artistico, la Scapigliatura si espresse tanto in letteratura quanto nelle arti visive, cercando risposte ai propri dubbi esistenziali e alla propria vocazione, tanto ribelle in atteggiamenti e ostentatamente trasgressovo( per i canoni dell’epoca) e con un linguaggio artistico sperimentale e moderno, sul quale baserà le proprie fondamenta molta della pittura dei decenni successivi, molta della quale però ne ereditiera’ solo i modi e non gli intenti.

La mostra propone anche una serie di focus su alcuni artisti forse non così noti, ma che hanno profondamente segnato gli sviluppi della pittura dell’epoca, ma si tratta di ritratti tutt’altro che dai modi istituzionali se si considerano le mani che li hanno eseguiti: fra gli altri, Trecourt, Piccio, Faruffini e Luigi Conconi, Daniele Ranzoni.

Nella seconda metà dell’Ottocento, anche il genere del paesaggio raccolse grande fortuna.

Il tema del vedutismo era stato introdotto e codificato da Defendente Sacchi nel 1829 per qualificare quel genere pittorico erede della pittura veneziana celebrativa di pieno settecento .

Nella veste “romantica” però il paesaggio assume connotati di contenitore in luogo di contenuti quali episodi delle lotte per l’unita nazionale, per scene di languidi tramonti all’ardenza, ora dei giochi di bimbi o di incontri romantici fra amanti cosi come di noiosi pomeriggi dei nobili che si trastullano nei giardini delle loro ville nobiliari.

Molte sono le tele presenti in mostra che ritraggono campagne, colline e suggestive vedute di laghi così come le vette alpine di mano di artisti i quali i fratelli Gignous, Silvio Poma, pittore lacustre quanti altri mai, ma anche Achille Dovera, Filippo Carcano e Achille Dominetti. Quest’ultimo dedito soprattutto a vedute della sponda piemontese del lago Maggiore.

Esecutore fra i primi e colui che traccia la strada nel senso del vedutismo cittadino è l’alessandrino Giovanni Migliara che si propone come traghettatore della pittura “dell’ancienne regime alla maniera moderna e al quale è riservata una sezione che rende merito al suo primario ruolo.

Grazie a questo genere pittorico molte città e qui soprattutto Milano, sono documentate nel loro aspetto prima che il nuovo assetto post unitario ne mutasse completamente l’assetto urbano viario e la planimetria in generale.

L’eredità pittorica e di mercato passa totalmente nelle mani di Luigi Bisi e nel suo pennello, dopo la morte precoce del Migliara, garantendo così successo internazionale al vedutismo di marca squisitamente lombarda e milanese in particolare.

Un dato importante che è utile non scordare, è l’impulso dato alla presenza a Milano e Pavia, di un nucleo culturale fervido come le accademie e già da inizio secolo con nomi quali Hayetz, Banti e Trecourt, ma anche la presenza del teatro della Scala e alla forte influenza reciproca esercitata fra l’istituzione e pittori come Marco Gozzi o Giuseppe Canella, Ronzini, Calvi e Inganni, complici anche le scenografie a impianto prospettico prodotte in quegli anni a scopo teatrale.

La mostra termina, con alcuni dipinti gia visti nella medesima sede in occasione della mostra sui macchiaioli, andando oltre i confini lombardi ma probabilmente legando questa mostra alle successive e aprendo forse, come è gia avvenuto in passato per la sede monzese, a futuri progetti espositivi verso sviluppi similari del medesimo tema in altre aree italiane, fino alle soglie della nascita del Divisionismo.

Per quest’ultima sezione dunque era normale aspettarsi le opere, seppur declinate in esercizi giovanili, di Previati e Segantini, e i proto divisionisti come Vittore Grubicy de Dragon,

longoni, quando la loro poetica era ancora affine alla Scapigliatura.

Ma già qui la pennellata si presenta percorsa da una frangia di colore cosi vicina alle atmosfere del Simbolismo da tracciare una precisa direzione.

Il simbolismo, altro movimento sui generis, più suscettibile d’essere visto come sensibilità pervasiva che non per essere incastonato in una struttura storicizzante, è gia presente in germe in queste opere conclusive questa rassegna, con una matrice quantomai estranea alla possibilità di una compiuta definizione, tantomeno a rigida catalogazione.

LUCA NAVA