MILANO. Come si può raffigurare la felicità in un dipinto o in una scultura? Il problema non è il “come”, ma il “che cosa”. Infatti, la questione di fondo è quella di definire che cosa sia la felicità. E dato che non esiste una definizione univoca ed esaustiva, capace di mettere d’accordo tutti, credo che la rappresentazione artistica della felicità sia legata al concetto stesso di felicità.
Scorrendo le definizioni offerte dai tanti pensatori che si sono cimentati in questo arduo compito, emerge una certezza: la felicità è anzitutto uno stato d’animo. Quindi a livello espressivo già questo può costituire un problema non da poco. Di solito, infatti, l’artista rappresenta emozioni e sensazioni, non stati d’animo. O non soltanto questi.
Qualche anno fa è diventato un vero e proprio “caso letterario” la celebre “Lettera sulla felicità” di Epicuro, a onore del vero già ampiamente conosciuta in ambito accademico, grazie all’edizione pubblicata da Stampa Alternativa. Si parlò, siamo, se non ricordo male, nei primi anni Novanta, di “caso letterario” perché il librettino, di poche pagine e in formato super tascabile, andò letteralmente a ruba.
Ma al di là del clamore mediatico, il contenuto risulta davvero interessante, laddove il pensatore greco anziché cercare di definire il concetto di felicità in modo univo, c’invita a capire, guardando in noi stessi, quali sono gli elementi che ci rendono davvero felici. «Mai si è troppo giovani o troppo vecchi – scrive a Meneceo nelle prime righe del testo – per la conoscenza della felicità… Cerchiamo di conoscere allora le cose che fanno la felicità, perché quando essa c’è tutto abbiamo». E poi formula un invito: quello di godere dei piacere della vita lasciando da parte ciò che porta ansia, timore e insoddisfazione. Un invito encomiabile, non c’è dubbio, ma come fare a scansare tutti quegli elementi negativi della vita che, nostro malgrado, ci piovono addosso?
E comunque, siamo da capo. Assodato che la felicità è uno stato d’animo e che tanti pensatori e studiosi di discipline anche molto diverse fra loro si sono lambiccati nel definirla, com’è possibile dipingerla o scolpirla o comunque raffigurarla?
In questo caso anche la tecnologia, che ha sempre una risposta per ogni cosa, sembra non poterci soccorrere. Digitando “dipinti sulla felicità” nella search bar dei motori di ricerca si ottengono i risultati più diversi: da opere in cui compaiono fiori, alberi e frutti, a innamorati, fino a paesaggi pacati e silenziosi.
Quindi? La risposta mi sembra più semplice del previsto: ad ogni idea di felicità corrisponde un modo di rappresentarla. Portiamo alcuni esempi fra i tanti che si potrebbero addurre. Se intendiamo la felicità come uno stato d’animo sereno e spensierato, condiviso con le persone care o con gli amici, allora essa si può trovare nel dipinto La colazione dei canottieri (Le déjeuner des canotiers). Tirando un po’ per la giacca Pierre-Auguste Renoir, in quanto quasi certamente il suo intento non era quello di dipingere la felicità, ma una segna corale di grande impatto visivo. Eleganza, modi garbati, gesti di una convivialità che è sinonimo di condivisione di un momento spensierato sono gli elementi per una possibile “visione” pittorica della felicità.
Se la felicità sta nei momenti, allora ogni frammento di vita che genera una particolare euforia, un’emozione immensa ma anche minima, può essere qualificata come felicità? E di conseguenza ogni dipinto in qualche modo può essere il riflesso di uno stato d’animo “felice”?
La questione è aperta. E probabilmente lo sarà sempre. Una cosa sembra però certa. La felicità è tutto. E’ tanto, ma non è una condizione definitiva, un traguardo che una volta raggiunto diventa immutabile, come illusoriamente ci hanno dolcemente fatto credere, da piccoli, prima di dormire, le immancabili cinque parole alla fine di ogni fiaba: “E vissero felici e contenti”.
AUTORE: SIMONE FAPPANNI
Un video per approfondire il contenuto della “Lettera” di Epicuro: