
CASTELVETRO P.NO. Il Centro Arte Perini di Castelvetro Piacentino ospita, dall’8 gennaio al 3 febbraio, la mostra personale di Massimo Moavero.
Palermitano residente a Milano, dove ha svolto una brillante carriera di designer di moda, disegnando per la nota stilista Mariuccia Mandelli, in arte Krizia, con la quale lavora per le collezioni moda prêt-à-porter In seguito ha iniziato la propria attività di consulente come libero professionista, collaborando con alcune delle più importanti firme della moda italiana come Missoni, Malerba, Diego Della Palma, Marina Lante Della Rovere. All’attività di designer ha sempre accompagnato la grande passione per la pittura.
È del 2002 la prima personale presso lo Spazio Sirin in via Vela a Milano, dove ha presentato lavori ad olio una serie di lampade in ferro e seta.
Negli spazi del Teatro Santa Cecilia di Palermo ha, invece, aperto una esposizione con un concerto jazz durante il quale sono state eseguite anche sue composizioni, “Le mani nel jazz”, dove il soggetto dei suoi lavori sono una serie di mani che agiscono su strumenti musicali. La personale allestita negli spazi di Località Ponte 7, intitolata “Experiences”, consente di apprezzare l’estro e la creatività di questo eclettico artista capace di emozionare con opere dal raro fascino evocativo.
«Dipingere – spiega – è stato per me da sempre momento di estraneazione e riflessione. Non ho mai attribuito profondo significato a quel che rappresento nei miei lavori. I miei dipinti, sono un gesto estetico, sono la trasposizione su tela della percezione personale che ho di chi, raramente di cosa, mi circonda. Semplicemente la manifestazione di un mio stato emotivo.
Per me, cercare di trovare i colori necessari a rendere visibile, palpabile la tensione di una esecuzione, è come sedermi al piano e suonare in modo estemporaneo, assecondando lo stato d’animo ed emotivo in cui mi trovo.
Posso rimanere per minuti imbambolato davanti a un giocattolo per vederne, nella mente, cambiare lentamente forma, dimensione, curve, colore. Lo vedo; si allunga, gli spigoli si smussano, superfici lucide diventano opache e poi ancora lucide, cambia colore e cambia ancora colore: in pochi istanti, se non ne ho preso nota, scompare. Lo dimentico. Devo vedere e catturare ciò che voglio trasformare per attivare il mio processo creativo: fissarne le trasformazioni, per poter realizzare una opera che sia mia.
Per una qualsiasi mia creazione, che si tratti di un oggetto di design, un capo d’abbigliamento o un dipinto, parto sempre da qualcosa di concreto che vedo o posso toccare: un gran numero di pezzetti di una particolare essenza di legno, dei tondini di ferro martellati, il braccio curvo di vetro di un lampadario del settecento trovato in un mercatino dell’usato, la foto di un traliccio dell’alta tensione, le immagini di un calendario porno e dalla rete, la frastornante quantità di immagini acquisibili.
Per progettare gli arredi di un ambiente, mi guardo attorno, colgo un elemento che mi colpisca, lo fisso con una foto o con un bozzetto e l’elemento stesso diventa il seme per lo sviluppo dell’intero progetto.
Per la realizzazione delle mie opere su tela, che siano ritratti su commissione, le mani di un musicista, o il gesto inconsapevole di un’istante di un corpo femminile, preferisco partire da brevi video che mi permettano di tenere in memoria, l’impercettibile cambio d’espressione, la tensione del movimento delle dita sulla tastiera di uno strumento, la sensualità del gesto che una foto non riesce a darmi.
Nei primi anni della mia attività di stilista viaggiavo molto, era necessario per raccogliere le informazioni necessarie ad aprire la mente, per conoscere le consuetudini, il gusto e la cultura dei paesi dove venivano distribuite le collezioni d’abbigliamento che disegnavo. Internet non esisteva ancora o almeno non era ancora così diffusa come la conosciamo oggi: le informazioni andavano cercate, raccolte e fissate in giro per mondo.
Era per le strade, nei locali, nei luoghi di ritrovo, che assimilavo quei segnali necessari a intuire quale sarebbe potuta essere la naturale evoluzione del gusto e la nascita di nuove esigenze del “vestire per apparire”.

Anche se durante questi viaggi scattavo un gran numero di foto, raramente tornando in studio a Milano venivano stampate. Le poche selezionate, dopo una “distratta” visione, rimanevano appese su una grande parete per qualche mese in compagnia di ritagli di riviste d’avanguardia, pezzi di tessuto, bozze di disegni per stampa, creazioni materiche realizzate da me o da qualche mia collaboratrice, campioni di bottoni e accessori, carte artigianali acquistate in negozietti di giovani artisti in giro per il mondo.
La stessa parete, accoglieva una gran quantità di quadratini di tessuto appositamente tinti in studio, che una volta selezionati, sarebbero diventati i campioni della cartella colori della stagione che stavo progettando.
Si iniziava a lavorare più di un anno e mezzo prima dell’uscita delle collezioni e quella parete era la sintesi del mondo che sarebbe stato. C’era poco di razionale nell’individuazione degli elementi che avrebbero reso coerente e soprattutto commercialmente valida la scelta delle forme, dei disegni e dei colori che sarebbero state alla base delle creazioni moda delle varie stagioni: la scelta era principalmente affidata al mio istinto.
Erano periodi di grandissima fatica mentale, dove vivevo raramente il presente, tutto era spostato in avanti sul “quel che sarebbe potuto diventare”. Gli unici momenti miei erano quando mi sedevo al pianoforte e suonavo, raramente per più di qualche minuto, o quando elaboravo in digitale le bozze dei miei quadri che poi, troppo raramente avevo tempo di realizzare ad olio.
E’ pur vero che soltanto attraverso la capacità di estraniarmi disegnando o dipingendo nudi di donna che riuscivo a pensare e maturare idee di forme nuove per vestirle.
Oggi, il tempo è mio e quella che era un attività funzionale al mio equilibrio mentale e al mio diletto è diventata il mio principale mestiere. Dipingo, progetto arredi e costruisco oggetti di design».
«Opere a tema musicale, figure, nudi e tanti altri soggetti – aggiunge il curatore, Simone Fappanni – spesso eseguiti su supporti di grande formato in cui si osserva la sua notevole capacità di traduzione dell’anatomia umana e delle posture, popolano il multiforme universo meta-rappresentativo di Moavero, capace di suscitare emozioni e sensazioni profonde, volgendosi a pubblico con rara espressività.