FALCHI: ANTOLOGICA AL MUSEO DIOTTI

Un paesaggio di Falchi (courtesy of Galleria Falchi Art)

CASALMAGGIORE. E’ visitabile fino al 24 maggio al Museo Diotti di Casalmaggiore la mostra sul pittore Paride Falchi (1908-1995) a cura di Valter Rosa in collaborazione con la direttrice del museo Roberta Ronda e con la partecipazione della nipote Ombretta Falchi. L’evento vuole celebrare il trentesimo anniversario della scomparsa dell’artista, avvenuta il 27 maggio 1995, evento che sarà seguito da una seconda mostra che si terrà il prossimo autunno alla Casa di Rigoletto a Mantova. Tributi doverosi a uno degli esponenti, “il più sentimentale”, nel novero dei pittori padani del Novecento. Falchi nasce il 28 giugno 1908 in un villaggio in prossimità di Sabbioneta, dove trascorrerà tutta la sua vita. Frequenterà le scuole elementari nel Palazzo ducale di Sabbioneta, godendo della vista delle celebri stanze affrescate con i loro stupefacenti soffitti. Un giorno, mentre sta lasciando la scuola, incontra il pittore Mario Lomini intento a dipingere en plein air, rimanendone fortemente impressionato. Da quel momento e per tutta la vita si dedicherà alla pittura, vissuta come autentica vocazione e motore centrale del suo percorso esistenziale. La prima opera a olio raffigurante un Cristo la realizza a 14 anni. Dal 1920 al 1927 diventa aiutante del prof. Luigi Bonfatti Sabbioni, illustre ritrattista e decoratore, dal quale apprende i segreti del mestiere in ordine alla conoscenza dei materiali da impastare e delle sfumature cromatiche. Dal 1929 al 1931 frequenta la scuola serale di Arti e Mestieri Bottoli di Casalmaggiore, affinando le sue doti pittoriche e disegnative. La sua carriera artistica, dopo il conferimento del secondo premio come partecipante alla rassegna dei pittori lombardi promossa dal Dopolavoro di Como, sarà sempre in ascesa come testimoniano le numerose mostre a Sabbioneta, Milano, Mantova, Cremona, Reggio Emilia e in molte altre località padane, nel corso delle quali mieterà larghi consenso di pubblico e di critica. Il pittore stringe un solido rapporto amicale con gli artisti Luigi Tagliarini, Palmiro Vezzoni, Tino Aroldi e Alessandro Dal Prato. Sarà proprio quest’ultimo, pittore e critico d’arte, a far conoscere più a fondo l’opera di Falchi con la storica mostra del 1978, voluta anche dal figlio Aldo, celebre scultore, allestita presso la Loggia delle Pescherie di Giulio Romano a Mantova. Il vertice della notorietà verrà raggiunto negli anni Ottanta anche grazie allo studio critico di Renzo Margonari e a un documentario del 1986 dedicato all’artista, prodotto dalla RAI e curato dalla regista  Enrica Tagliabue. Fino alla fine dei suoi giorni vivrà appartato a Sabbioneta, arricchendo, momento per momento, la sua fervida produzione pittorica fruibile in molti musei e mostre retrospettive.

Le opere di Paride Falchi, esposte negli spazi del Museo Diotti, si imperniano su un repertorio proprio della pittura di genere; egli spazia dai paesaggi padani, prediligendo quelli invernali per l’atmosfera che sanno evocare, alle architetture di Mantova e delle piccole città  gonzaghesche (in particolare quelle di Sabbioneta), dagli interni domestici ai ritratti  e autoritratti dalla forte valenza introspettiva sino ad arrivare alle pregevoli nature morte dipinte nell’ultimo segmento della sua vita. L’artista che ha scelto volutamente di operare in una sorta di “splendido isolamento”, lontano dai clamori dei linguaggi sperimentali delle cosiddette Avanguardie storiche e della corrente informale, è riuscito ad imporsi come rappresentante di spicco nell’alveo della pittura paesaggistica mantovana e lombarda. Da un quadro del 1977, Caseggiati lungo una strada, uno dei soggetti da lui frequentati, si desume la delicatezza compositiva (modeste e umili case sono preannunciate da un gelso scheletrito) nonché la suggestiva tonalità cromatica che connotano la maggior parte delle sue opere. La solitudine introspettiva del pittore si riverbera nella semplicità dello scorcio raffigurato con la furtiva e appena accennata presenza dell’uomo, e reso sulla tela in modo rarefatto, ovattato grazie al sapiente uso del bianco sporco. Il tutto si snoda sotto un cielo plumbeo che si apre a tonalità più chiare creando una composizione equilibrata. L’atmosfera invernale prediletta da Falchi si riafferma nel dipinto Piazza ducale a Sabbioneta con la neve del 1961, dove l’architettura del celebre Corridoio in laterizio, emergenza importante della città ideale realizzata da Vespasiano Gonzaga Colonna, appare quasi sepolto da una spessa coltre di neve, e la celebre colonna della Minerva privata della statua della dea a cui è dedicata, entra a far parte del paesaggio cittadino gonzaghesco innevato, quasi assorbito dalla magica e suggestiva atmosfera invernale. Le figure umane sono appena abbozzate e scontornate da rapide e febbrili pennellate. Il risultato poetico che si evince, si innerva nel fervido bacino icastico di Falchi: la pittura a cavalletto en plein air si fa poesia attraverso intimistiche impressioni fissate cromaticamente sulla tela. La natura serafica di Falchi è stata immortalata in molti scatti fotografici, dove appare con il fedele cavalletto, la tavolozza dei colori e con lo sguardo quasi ieratico, rivolto ai paesaggi campestri, fluviali, cittadini e paesani immersi nel magico gioco luministico proprio dell’avvicendarsi dei giorni e delle stagioni.

Come ebbe a scrivere il critico Renzo Margonari, Falchi “predilige l’inverno quando la natura diviene misteriosa, la luce è più diffusa e le variazioni di colore sono meno percettibili, e impera nella campagna addormentata, il silenzio”. Falchi sa cogliere abilmente il tono atmosferico, sa restituirci, in maniera metonimica, la sovranità del silenzio, sa trasfondere la forza del sentimento nei colori. Durante un’intervista, il pittore, alla domanda “Si sente isolato?”, risponde tranquillamente “Isolato? Non me ne sono mai accorto. Sono sempre stato in compagnia della mia arte”. Infatti la solitudine, la lontananza dai condizionamenti del panorama proteiforme dell’arte novecentesca, ha favorito senza dubbio quell’introspezione che ha fatto di lui sul versante artistico uno degli esponenti di spicco del paesaggismo mantovano post-impressionista e neorealista del Novecento con una tensione verso lo sfumato  e la dissolvenza, artista meritevole di essere celebrato in tutta la sua cifra pittorica e coerenza etica.

ERMINIO MORENGHI

Orari per visitare la mostra:

da Martedì a Venerdì dalle ore 8 alle 12.30

Sabato, Domenica e festivi dalle ore 15.30 alle 18.30.

Lunedì chiusa.

Costo del biglietto Euro 3

ridotto Euro 2,50