MILANO. «Non fango, acqua e e distruzione (come dai titoli di giornale nella tragica circostanza dell’alluvione della Romagna, nel maggio 2023) , ma “Fango, acqua e arte” dice Sergio Baroni, collezionista, studioso e appassionato di arte decorativa, che ha partecipato a mostre su territorio nazionale con opere dalle sue collezioni.
Creatore dell’omonima Galleria, raffinato centro d’arte e spazio culturale nel cuore di Brera, romagnolo di Fusignano, Baroni ha deciso di ricordare e rendere omaggio alla Romagna ferita con la mostra, ancora aperta al pubblico nei mesi di maggio e giugno, dedicata a quattro artisti romagnoli tra Ottocento e Novecento: il cesenate Tullio Golfarelli (1852-1928), i faentini Domenico Rambelli (1886-1972) ed Ercole Drei (1886-1973) e Angelo Biancini (Castel Bolognese 1911-1988). La selezione di opere varia dalla comune passione per le sculture in ceramica e terracotta di piccole dimensioni, come coppe e canefore, a busti in bronzo o terracotta di personaggi più o meno celebri, a bozzetti in bronzo di monumenti di grandi dimensioni, ad allegorie del lavoro e della famiglia, a personaggi del mito come l’aggraziata “Talia” di Ercole Drei, al centro della mostra, fino ad un ristretto gruppo di opere di carattere religioso, in particolare la Pietà e alcuni santi.
“Fango, acqua e arte”, come parole cardine che esprimono il loro “il genius loci” creativo. «Di fango e di acqua è fatta la Romagna, non di pietra e di marmo, elementi che i romagnoli conoscono bene da sempre, e con quelli, da secoli, hanno fatto tutto: economia, ricchezza, città, capolavori architettonici e tanta arte», sottolinea nel suo saggio in catalogo Alfonso Panzetta.
Baroni, a cosa si deve la scelta di opere che, come le sculture monumentali «in mutamento, tra Risorgimento, ideali socialisti ed estetica realista» di Tullio Golfarelli, si inseriscono a celebrare “l’atto fisico e concettuale di resistenza e resilienza dell’arte all’irruenza e alla forza distruttiva di una catastrofe naturale come l’alluvione romagnola del maggio 2023”?
«L’artista cesenate fece parte della cosiddetta “brigata carducciana”, fondata dal poeta, frequentata, tra gli altri, e da Giovanni Pascoli e dal socialista imolese Andrea Costa. Durante i loro incontri si dibatteva a lungo di letteratura, arte e politica. Sue furono le prime sculture celebrative del contesto italiano dedicate all’Eroe dei due mondi come il monumento in marmo di Carrara che Golfarelli realizzò a Cesenatico, così come un’altra sua celebre opera che esalta il lavoro, nella sua maestosa dignità popolare, del 1894-1896, per il cimitero monumentale della Certosa di Bologna, il monumento dedicato al fabbro comunale Gaetano Simoli, che viene ritratto con una postura fiera e severa e con gli strumenti del suo lavoro. Notevole anche l’ispirazione, visibile in mostra, che gli venne “leggendo la Divina Commedia”, come si trova scritto sul retro del busto in bronzo di Caco (1928), come nel busto di Dante in ceramica di notevole fattura del 1904».
In quali delle loro opere, come riportato nei saggi in catalogo di Franco Bertoni e Alberto Mingotti, questi artisti mostrarono la capacità di «indagare soggetti e di situazioni contingenti per giungere al livello di metafore di base dell’umanità:la guerra, la morte, il dolore, il coraggio»?
«In generale dopo la caduta del fascismo, presero strade diverse. Si può citare, a questo proposito, il più giovane dei quattro: Angelo Biancini, che già da ventenne ebbe importanti commissioni pubbliche per il regime fascista. Allo stesso tempo però l’artista, a guerra conclusa, seppe interpretare la prospettiva opposta: la Liberazione dal Nazifascismo. Realizzò infatti ad Alfonsine il grande monumento alla Resistenza (1970-1973), composto da diversi gruppi scultorei. La mostra, nella selezione di opere dei quattro artisti romagnoli, analizza il fermento artistico del contesto sia romagnolo che bolognese tra fine Ottocento e anni Sessanta del Novecento, osservando i cambiamenti storici e sociali del periodo da queste prospettive personalissime e uniche, così com’è lo stile dei quattro artisti perfettamente riconoscibile ed emblematico».
In mostra si aprono anche due importanti excursus che partono dai riferimenti a specifiche opere: il Monumento celebrativo di Francesco Baracca per la Piazza XX Settembre di Lugo (1936) di Domenico Rambelli e il busto di Wally Toscanini di Ercole Drei (anni Venti del Novecento). Rispetto al primo artista, vengono presentati in mostra due oggetti, una fotografia in bianco e nero e una scheggia di elica che raccontano di Francesco Baracca. Nella foto, con dedica e firma dei genitori dell’aviatore, viene ritratto il giovane aviatore a fianco del suo velivolo su cui si nota il celebre cavallino poi simbolo Ferrari. Appeso alla parete, in dialogo con il busto di Wally Toscanini, è presentato invece un manifesto originale del Teatro alla Scala, con le firme autografe del personale teatrale, tra cui quella di Arturo Toscanini.
(info: 02.804504)
MARCELLO TOSI