MILANO. Il titolo di questo in ricordo di Filiberto Menna (Salerno, 1926 – Roma, 1989), l’ho preso in prestito dal suo libro più famoso: “La linea analitica dell’arte moderna”, pubblicato dalla casa editrice “Einaudi” nel 1975 e disponibile cliccando qui. Menna l’ho conosciuto nel gennaio del 1986, gli telefonai perché volevo fargli vedere i miei lavori e lui, con la disponibilità che lo ha sempre contraddistinto, mi diede appuntamento subito dopo le festività natalizie nella sua bella casa in via dei Giuochi Istmici, a Roma. Ricordo che rimase da subito piacevolmente colpito dai miei lavori e, infatti, appena tre mesi dopo venivo invitato ad una sua mostra, la prima di altre, purtroppo non molte, perché poco meno di tre anni dopo Filiberto morirà. Tre anni, comunque, molto intensi, con un rapporto non solo artistico, di lavoro, ma anche di amicizia, era sempre bello incontrarlo, un arricchimento. Sto parlando degli anni ’80, in particolar modo della seconda metà di quegli anni, a Roma, dove c’era un bel fermento e dove Menna stava lavorando con alcuni giovani, me compreso, per formare un nuovo gruppo artistico che di lì a poco confluirà nell’“Astrazione povera”, da lui ideata, e che puntualmente veniva presentata con mostre presso lo spazio espositivo “Jartrakor”, in via dei Pianellari, ideato dall’artista Sergio Lombardo, uno degli artisti più interessanti di quella che venne chiamata, negli anni ’60, “Scuola di Piazza del Popolo”. Un’altra figura a noi vicina, in quel periodo, era senz’altro Simonetta Lux, critica d’arte e docente di “Storia dell’Arte Contemporanea” presso la “Sapienza”, Università di Roma, che poi darà vita, qualche anno più tardi, al MLAC, il Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea, presso lo stesso Ateneo. Quindi, come si vede, un bel sodalizio, determinante per noi giovani artisti in quegli anni ’80 e che vedevamo, in questi importanti protagonisti del mondo dell’arte, una sorta di guida, comunque una bella opportunità per la nostra crescita. Torniamo a Filiberto Menna, ai suoi libri, belli, illuminanti, a volte profetici, non a caso lo studioso salernitano è visto, ancora oggi, a più di trenta anni dalla sua morte, come uno dei teorici dell’arte più importanti che abbiamo avuto. Qualche titolo delle sue pubblicazioni: “Mondrian, Cultura e poesia”, edizioni dell’Ateneo, 1962; “Profezia di una società estetica”, edizioni Lerici, 1968; “La regola e il caso. Architettura e società”, edizioni Ennesse, 1970; “Critica della critica”, edizioni Feltrinelli, 1980; “Quadro critico. Dalle avanguardie all’Informale”, edizioni Kappa, 1982; fino all’ultima sua pubblicazione “Il progetto moderno dell’arte”, edizioni Politi, 1988. Nella storia di Filiberto Menna tanti altri libri, pubblicazioni, saggi, cataloghi, presentazioni di mostre, ecc… Sempre, comunque, uno sguardo lucido, moderno, mai banale, quasi filosofico. Lui che nasce medico ma che fu “folgorato” dal grande artista olandese Piet Mondrian, e non poteva che essere così: Mondrian, l’artista che del rigore metodologico ha fatto la sua cifra stilistica. Menna non vedeva, come la maggior parte dei suoi colleghi, un gruppo di artisti definito e chiuso intorno ad una teoria, infatti una volta mi disse che l’“Astrazione povera”, da lui teorizzata, non la concepiva come qualcosa di definitivo in senso agli artisti già presentati, ma era in progressione; inizialmente con il sodalizio tra Antonio Capaccio e Mariano Rossano, poi con l’inserimento di Rocco Salvia e Gianni Asdrubali, a seguire Bruno Querci e Lucia Romualdi, e poi Annibel-Cunoldi e Mimmo Grillo. Poco prima di morire fece in tempo a scrivermi la presentazione per una mia mostra personale e, credo, che questo testo sia stato l’ultimo che abbia scritto perché quando lo andai a ritirare, a dicembre, me lo consegnò la sua collaboratrice domestica perché lui ormai era molto indebolito dalla malattia che se lo porterà via poco più di un mese dopo. Qualche mese prima, dopo che aveva visto la mia mostra da “Jartrakor”, mi segnalò sul Catalogo Nazionale dell’Arte Moderna, Mondadori, come artista italiano per il 1988, e questo per me è stato molto importante, mi ha dato tanta fiducia, sapere che un così notevole critico d’arte nel fare un unico nome, per quanto riguardava gli artisti, per il 1988, pensò proprio a me. Mi fa piacere terminare questo mio ricordo su Filiberto Menna con la parte finale del testo che lui mi scrisse, nel dicembre del 1988, dove si intuisce che avremmo potuto avere tante altre collaborazioni, tante altre mostre da poter condividere insieme, se un destino crudele non avesse deciso che la storia terrena di Filiberto Menna doveva concludersi a 62 anni, il 5 febbraio del 1989.
“…A questa situazione (l’“Astrazione povera”) appartiene di diritto (anche se non ha finora partecipato alle mostre canoniche) Alfonso Talotta, un giovane artista che io seguo già da alcuni anni e che ora mi pare abbia raggiunto dei risultati di una straordinaria maturità. Devo dire, anzi, che il partito del bianco e del nero, che caratterizza l’intera esperienza dell’“Astrazione povera”, viene declinato da Talotta con una volontà di riduzione che direi assoluta, se non fosse per la capacità dell’artista di tirar fuori da una semplice stesura di nero (la più asciutta e magra possibile) un forte coinvolgimento cromatico. Colpisce, inoltre, la capacità dell’artista di articolare la superficie mediante forme appena accennate, sfuggenti e precarie, che non devono proprio nulla alla moda recente delle nuove geometrie. Una personalità singolare, dunque, questa di Alfonso Talotta, artista severo fino all’ascetismo, e tuttavia in grado di giocare con i bianchi, con i neri e con la fugace apparenza delle forme. Filiberto Menna
ALFONSO TALOTTA