GIOTTO E IL NOVECENTO: UNA NUOVA MOSTRA  AL MART

Carlo Carrà, Le figlie di Loth (1919), olio su tela, cm. 111 x 80, fonte: press kit MART, immagine inserita al solo scopo di presentare la mostra.

ROVERETO (TN). Nata da un’idea di Vittorio Sgarbi, con la curatela di Alessandra Tiddia e in collaborazione con i Musei Civici di Padova, il Mart di Rovereto ospita, fino al 19 marzo, una mostra dedicata allo stretto rapporto che ha legato e lega tutt’oggi gli artisti moderni e contemporanei al grande maestro di Vespignano, Giotto di Bondone, che seppe rivoluzionare la pittura medievale sulla scia di Cimabue, Pietro Cavallini e Filippo Rusuti, superando la ieratica astrattezza e fissità dell’arte bizantina a soggetto sacro. La teofania della luce che si riverbera nei fondi oro orientali e gotici delle Madonne con bambino o dei Santi, pur perdurando anche in Giotto nel Polittico Stefaneschi, nella Maestà di Ognissanti, nella Stigmate di san Francesco o nella Crocifissione di Berlino, viene risignificata dal geniale artista toscano con una sorprendente virata, soprattutto nella pittura a fresco dei maestosi cicli della Basilica di Assisi, della Cappella Peruzzi e Bardi di Firenze e della Cappella Scrovegni di Padova, da un lato verso un originale recupero della spazialità segnata marcatamente da una tensione prospettica proto-rinascimentale  e dall’altro verso un inedito linguaggio realista nella resa delle figure umane che risultano emotivamente vive, tridimensionali, grazie alla profonda conoscenza anatomica, al sapiente uso delle ombreggiature e a una dinamicità posturale e fisiognomica che va di pari passo con il flusso delle emozioni e dei sentimenti in precisi momenti della narrazione evangelica ad esempio nel padovano Compianto sul Cristo morto.

La mostra inizia con una grande installazione che riproduce la Cappella degli Scrovegni di Padova, il capolavoro per eccellenza di Giotto, realizzato tra il 1303 e il 1305, che narra la Storia della salvezza suddivisa nel ciclo dedicato alla Vita della Vergine e del Cristo seguito dalla raffigurazione dei Vizi e delle Virtù nella parte inferiore delle pareti centraliper poi concludersi nella maestosità del Giudizio universale della controfacciata. I visitatori avranno così modo di immergersi, attraverso sofisticate videoproiezioni, all’interno di uno dei cicli di affreschi più celebri del Trecento italiano, riconosciuto come patrimonio dell’UNESCO.

L’evento del MART propone quindi un’avvincente rivisitazione della pittura giottesca da parte di celebri artisti e artiste del XX secolo che lo hanno “studiato, imitato, o preso a modello di perfezione e spiritualità”. La prospettiva eterna, cui tende l’arte di Giotto, ha informato, senza alcun dubbio, le opere degli esponenti della cosiddetta pittura metafisica come Carlo Carrà (Le figlie di Loth, 1919), Giorgio De Chirico (Piazza d’Italia-Pomeriggio d’Arianna, 1972) e Giorgio Morandi (Natura morta, 1960) che si sono imposti sulla scena artistica attraverso la loro singolare ricerca spaziale dovuta a un sapiente gioco di punti di fuga e di ombre  e a un’inedita e arcaica figuratività e oggettualità d’impronta mitologica calate in contesti atopici e atemporali; ai sopracitati si unisce la nutrita schiera di artisti quali Gino Severini, Achille Funi, Ubaldo Oppi, esponente di spicco del cosiddetto realismo magico, Mario Sironi (Condottiero a cavallo, 1934-1935), lo scultore e pittore Arturo Martini (La moglie del poeta, 1922), Massimo Campigli (I costruttori, 1928) che, nel 1933, firmerà con Carrà e Achille Funi il “Manifesto della pittura murale” di Mario Sironi. Con quest’ultimo, oltre a De Chirico, Severini e Funi, si cimenterà nella decorazione del salone delle cerimonie (purtroppo andato distrutto) della Triennale di Milano. Le avanguardie storiche italiane del primo Novecento hanno dovuto necessariamente confrontarsi, soprattutto nella pittura parietale, con la spazialità e l’impianto architettonico stereotipato, d’ascendenza classico-romana, rintracciabili nei grandi cicli degli affreschi di Giotto, facendo tesoro dei suoi dettami artistici ancor oggi di grande valore e modernità. La rivoluzione pittorica di Giotto si evidenzia proprio in una nuova concezione della spazialità tendente al tridimensionale e al prospettico e in una  magistrale variazione posturale e fisiognomica delle figure dipinte, restituite in tutta la loro realtà umana al di là della logica delle gerarchie sociali dell’età medievale, figure vive, che soffrono, gioiscono, partecipano emotivamente al fluire della storia della salvezza che ha come meta l’eternità, la Gerusalemme celeste, preannunciata dai giotteschi cieli azzurri e stellati. In linea con la ricerca spaziale di Giotto si collocano soprattutto Lucio Fontana (Concetto spaziale, 1956) e Mark Rothko (Senza titolo (Rosso), 1968): il primo concentrato a superare la bidimensionalità della pittura, il secondo, facente parte della tendenza definita Color Field Painting (“pittura a campiture di colore), che intendeva conferire un valore espressivo al colore sulla superficie della tela. A seguire Fausto Melotti, Mario Radice e Mario Pozzati, protagonisti significativi della pittura del Novecento italiano. Di quest’ultimo è visibile in mostra un Paesaggio con casetta del 1935, di proprietà delle Gallerie civiche del Comune di Ferrara, in cui la solidità delle balze ombreggiate e il “vigoroso ed essenziale impianto architettonico” rimandano, per certi versi, alla grammatica giottesca con un apprezzabile equilibrio tra forma e colore e una tensione a spiritualizzare la materia (Carrà). Il ventaglio degli artisti si apre poi alla dimensione internazionale di Henry Matisse (Icaro, Tavola VIII del libro Jazz, 1947), Yves Klein, esponente del Noveau Réalisme e precursore della Body Art, Josef Albers (Study for Homage to the Square- still remembered, 1954-1956), teorico tedesco dell’arte astratta, impegnato a studiare le forme geometriche con sovrapposizioni di colori che conferiscono ai suoi lavori sorprendenti effetti ottici e Tacita Dean, fotografa e disegnatrice britannica, celebre per la sua poetica della lentezza e per le sue allegorie del tempo e della memoria popolate di paesaggi e oggetti da fissare prima della loro ineluttabile consunzione e  transeunticità.

L’esposizione del MART che vanta più di duecento opere, trova una degna conclusione nella grande istallazione dell’artista contemporaneo statunitense James Turrel, il quale, riproducendo una stanza di colore blu luminoso calata un’atmosfera di pura astrazione, rievoca “quella spiritualità che gli storici dell’arte hanno attribuito a Giotto”.

L’eredità del grande Maestro di Vespignano, pittore e architetto (suo il celebre campanile in marmo policromo di Santa Maria del Fiore), si riverbera nelle miriade di opere delle avanguardie e neoavanguardie storiche del Novecento e in molti autori contemporanei, artefici di nuove sperimentazioni artistiche, a testimonianza di quel “miracolo grandissimo” (Vasari) che fu la pittura e l’arte di Giotto. Ne è un’ ulteriore riprova la suggestiva mostra del MART che si prefigura come un autentico ‘must’.

Orari: Mart-Dom 10.00-18.00; Ven. 10.00-21.00; Lunedì chiuso.

Tariffe:intero 11 Euro; ridotto 7 Euro; gratuito fino a 14 anni e per le persone con disabilità.

Per eventuali contatti:

T. 800 397760 T.+39 0464 438887 info@mart.trento.it / www.mart.trento.it

AUTORE: ERMINIO MORENGHI