GLI “ALBERI ERETICIERMETICI” DI MARISA ZATTINI ALLA GALLERIA DEL PALAZZO

Uno scorcio della mostra (part.)

CESENA “Alberi ereticiermetici”’, la nuova mostra di Marisa Zattini aperta al  pubblcio fino al 1 novembre alla Galleria del Palazzo del Ridotto. Le opere esposte sono quelle già protagoniste lo scorso anno per Matera Capitale europea della Cultura. Un’opera che “va all’origine del mondo e riflette sul tema uomon atura già protagonista della ricerca artistica di Zattini. Sono ventidue Alberi neri, a formare un bosco fossile significante. Ed è “nella verticalità dei tronchi fossili – si legge nelle note – che si riflette l’ideale collegamento fra la terra e il cielo”. Nel ‘bosco’ le sonorità composte appositamente per l’installazione da Giovanni Ciucci in un superbo sinestetico. “Estrarre dalla materia il tronco di un albero, moltiplicarlo per 22 e collocarli in uno spazio artificiale, che non è quello della natura, è un’operazione mentale, significa che l’intuizione ha ragioni che la materia non ha, è una sfida che si insinua nel meccanismo della creazione”.

Zattini, perché questo nuovo percorso nella scrittura e nei suoi significati iconografici e simbolici muove “dalla lettera”, ovvero dagli insegnamenti profondi della Kabbalah ebraica?

«La Kabbalah è il sapere esoterico della Torà, la Bibbia ebraica. Il suo nome significa “corrispondenza” e può essere considerata l’arte dei “parallelismi”. Essa rappresenta un sistema metafisico, una sapienza esoterica che parla il linguaggio universale. La Kabbalah è dunque la rivelazione dei legami sottili tra i mondi spirituali e quelli fisici.

Scriveva Böhme che «Il mondo visibile, con la sua moltitudine e le sue creature, altro non è che il verbo traboccato».

Considero le lettere dell’alfabeto ebraico una sorta di archetipi ai quali attingere poiché vanno intese come un antico sapere sempre presente. Esse precedevano la creazione del mondo e si dice che la loro origine riposi sul cuore della nostra anima. L’importanza delle ventidue lettere che compongono l’alfabeto ebraico sta nel loro essere veicoli, canali della loro essenza che ritroviamo poi nell’Albero della Vita quale collegamento osmotico fra le dieci Sephirah. Così l’archetipo “alona” potentemente l’opera d’arte. In un tempo dell’oblio delle ierofanie e della dimenticanza dei segni del sacro diventa importante recuperare un simbolismo spirituale polimorfo».

In che maniera “Alberi eretici” significa andare “all’origine del mondo” e tornare a riflettere sul tema “Uomo- Natura”, come su di un misterioso, ideale collegamento verticale “fra la terra e il cielo”?

«Ho inteso l’albero come axis mundi, come tratto d’unione fra cielo e terra, segmento vivo di un percorso che congiunge il Sopra al Sotto, l’Alto al Basso in un dialogo inesauribile. Questi 22 alberi “eretici-ermetici” compongono un originario bosco fossile creando una “trappola visiva”, perché nulla è come appare.

Tutto è trasmutazione… Qui, l’artificio del fuoco si imprime quale impronta cosmica su ciò che ad un primo sguardo appare come legno combusto ma che di fatto è materia sintetica, vetroresina. Si tratta di una scultura multipla come forma aperta. In questo modo il concetto di “albero” e di “alfabeto” si compenetrano e divengono ultra-mondo. Occorre tornare a riflettere sul valore che lega Uomo e Natura in una energia primordiale vitale, nel mistero e nei segreti più antichi».

Perchè questo “bosco” , è quindi quella che definisci: “un’operazione mentale… come una sfida che si insinua nel meccanismo della creazione” e si rafforza agendo sui tre livelli: visivo, uditivo e numerologico.

«Dobbiamo ritrovare la foresta che in noi nel pieno rispetto di quanto ci circonda… Forse il mio è inconsciamente un “messaggio di sopravvivenza” per iniziare un nuovo ciclo nel processo della vita. Perché in questo bosco abitano il pensiero, la coscienza, l’immortalità…

Alchemicamente parlando l’installazione contempla una immersione in nigredo e una rinascita in albedo. Nell’attraversamento vediamo un bosco fossile, spento, sterile ma poi alla fine, voltandoci indietro e tornando a ritroso sui nostri passi, ci accorgiamo che gli alberi sono dimidiati verticalmente. Di fatto sono cortecce vuote che nel loro alveo contengono un dono prezioso di rinascita… E tutto riparte dall’Uno, dall’Aleph, l’Alfa dell’alfabeto ebraico, il punto in cui convergono tutti i punti, dove tutto è presente simultaneamente, come sottolineava Cristina Campo: «vita e morte, spazio e tempo, corruzione e durata, rapimento ed orrore, in una spirale di vertigine cosmica».

Le 22 lettere sono il dono, il frutto dell’albero e l’immortalità sta nel cuore della Natura, nascosta agli occhi del mondo.

Ognuna di queste lettere è uno strumento attraverso il quale un intero settore della creazione fu formato e fatto; un recipiente destinato a contenere parte della luce infinita, a rivelare solo alcune delle sue numerose proprietà. Ogni lettera possiede una forma, un nome e un valore numerico e dunque agisce su tre livelli: visivo, uditivo, numerologico. Le sonorità che accompagnano la mostra, composte da Giovanni Ciucci, nel cantilenato in lingua ebraica attivano il nostro canale uditivo. Il nostro sguardo sulle lettere introietta in noi la loro forma. Ecco allora che esse possono agire nel nostro inconscio come una sorta di “timoni psichici”».

AUTORE: MARCELLO TOSI (Riproduzione riservata)