GOYA: LA RIBELLIONE DELLA RAGIONE. MOSTRA A PALAZZO REALE

La locandina della mostra

MILANO. Palazzo Reale ospita, fino al 3 marzo, un’importante retrospettiva dedicata a Goya.

Spesso il concetto di modernità è usato per descrivere i caratteri di un oggetto, un’idea, un tempo, ritenuti a torto o a ragione, innovativi rispetto a quanto li precede.

Tuttavia in alcuni specifici casi il criterio cronologico si rivela inadeguato a individuare la portata innovativa del nuovo rispetto al vecchio, tralasciando di sottolineare invece che alcuni aspetto del fare artistico dell’autore sono spia di innovazione non tanto nei soggetti ma piuttosto come questi vengono letti e riproposti alla luce di valori, quali che siano, assumono nuovi significati e risvolti diversi.

Goya torna a Milano dopo più di quindici anni dall’ultima grande esposizione che illustrava la sua attività di innovatore tramite l’incisione, con una mostra che oggi oltre a proporre opere dipinte in un numero maggiore, illustra perfettamente i caratteri della modernità dell’autore bel suo tempo e introduce tutto il campionario tecnico-rappresentativo del romanticismo imminente.

Nato nella metà del XVIII sec. Nel 1746, quindi in piena epoca illuminista, dieci anni prima di mozart e morirà nel 1828, un anno dopo Beethoven, Goya pone a tema l’irruzione dell’irrazionale nell’arte come nella vita che, se nei grandi romantici si tradurrà nel sentimento del sublime naturale, nel nostro invece si preoccupa di mettere a tema l’aspetto più crudo della natura umana che così accorcia le distanze e si assimila più a quella animale.

La sua formazione all’accademia di San Fernando sembra pesare meno del viaggio che, in Italia l’artista ebbe modo di compiere e da cui avrebbe tratto molti dei modi pittorici suoi.

Gli espedienti utilizzati per inscenare una realtà in cui si pone uno scontro di mentalità è uno scontro dialettico che in Goya si traduce in una alternanza simbolica e chiaroscurale sono molteplici.

Si tratta altresì di inquadrare una realtà trasfigurata e vista con lenti parzialmente emotive per non dire istintuali.

Sfondi rosa-perlacei che talvolta da dolci e accomodanti paesaggi, diventano grumi indefiniti di pasta cromatica.

E poi l’aspetto caricaturale, un mondo infantile che negli atteggiamenti è metafora di quello adulto, l’utilizzo di forti contrasti chiaroscuri che alzano il livello di inquietudine derivante dalla calma solo apparente, che consente di riallacciare il climax di questa mostra a quella su BOSH appena terminata.

In tutto ciò emerge anche la capacità di Goya di divenire un pittore di corte, quindi di essere in grado di assimilazione a quell’ordine ormai decadente che criticava ma, al tempo stesso, di permettersi libertà espressive e contenutistiche inusitate.

L’esposizione si apre con due autoritratti, ( fig.1/2) una piccola incisione che è anche la prima della serie dei capricci iniziata nel 1792 e un dipinto a piccolo formato, altro ritratto, stavolta dello stesso pittore al cavalletto che però già mostra l’armamentario espressivo tipico di Goya: nel piccolo autoritratto a figura intera compare gia il forte contrasto chiaroscurale e una piccola mensola vicino alla tela di scorcio su cui posare la candela: si dipinge anche di notte invece che dormire a corte(!) fatto inusitato……e il tempo del sonno è dei sogni viene sostituito dalla realtà vigile.

E allora in una condizione quasi di narcolessia, il mondo reale comincia a deformarsi nei suoi confini formali e valoriali: ciò che è vero diviene verosimile e la sicurezza di una prassi di vita e di operosità acquisita( quella personale e più concretamente quella della percezione valoriale dell’antico regime) vacilla e tutto o quasi diviene possibile.

La serie di quadri di piccolo formato che illustrano giochi di bimbi ne sono testimonianza: i piccoli paggi delle corti illuministe diventano parenti stretti degli scugnizzi napoletani o dei pitocchi di Ceruti e Londonio.

Nell’opera intitolata “l’altalena” compare una simpatica scimmietta, che tradizione associa all’irrazionalità. Ma anche la stessa altalena è metafora dell’instabilità della vita e delle sue false certezze, mentre un’abitazione strisciante si manifesta nei corpi vibratili e nervosi del gioco fanatico dei bambini.

In Goya sono fisiognomicamente restituiti personaggi con enfasi caricaturale come fossero divenuti da adulti, piccoli, ancora graziosi che sul divenir adulti assumono aspetto grottesco da adulti quali saranno, che nei loro rudi giochi e nella genuina cattiveria e egoismo tipici dell’infanzia, si sente gia l’eco del sopruso dell’età adulta che quell’epoca ben conosceva.( fig 3/6)

Ne sono un esempio l’opera in cui i bambini mangiano castagne….con il piu piccolo al centro, più debole, rimasto senza nulla che piange, ma nessuno lo aiuta: il piu debole soccombe.( fig.5)

Per non parlare della scena in cui I giovani ruzzolano verso un precipizio collettivamente, presi dal gioco della cavalletta, l’uno sulla schiena dell’altro che tanto eco fa alla follia collettiva del mondo adulto.( fig.24)

La serie si chiude con un personaggio ubriaco portato via dagli amici dal cantiere a cui stavano insieme lavorando per salvaguardare lui, il suo lavoro e la reputazione, evidentemente messi a rischio dall’aver attuato un comportamento moralmente deprecabile(fig..

La modernità di Goya è tanto più percepibile nell’opera che ritrae la dama di corte con la fantesca che regge l’ombrello parasole: intanto l’espediente consente di creare il contrasto chiaroscurale, ma poi lo sfondo che impietosamente mostra donne popolane in ginocchio a conciar tessuti, dice molto della cronaca di un’epoca.(fig.9)

L’antico regime ormai era terminato, l’aristocrazia resisteva solo nominalmente e al tempo della realizzazione dell’opera Napoleone aveva già invaso il suolo iberico.

Tuttavia Goya che al tempo lavorava anche per bozzetti utili alla manifattura imperiale di S. Barbara negli arazzi, doveva aver ben presente questa situazione sociale, divenuta impari e già a suo tempo, anacronistica.

Non va dimenticata poi l’influenza di Tiepolo che era giunto a corte per affrescare buona parte del palazzo imperiale: in numerose opere di Goya è evidente in questo periodo una trasparenza maggiore nel colore, una smaltatura delle superfici e una ampiezza di pennellata più evidente in cui si perde il tratto veloce e nervoso che più glii si riconosce.( fig10).

La serie di incisioni presenti mostra rende conto anche dell’espediente propagandistico della tecnica utilizzata e giustifica l’interesse dell’autore per la stessa è al contempo conferma un modo di pensare e intendere il fatto artistico con mentalità moderna.

Trova spazio anche un tema caro a Goya e al mondo iberico in generale, ossia la tauromachia, nella versione della corrida: utile ricordare qui che l’artista si dilettava con tale pratica, ed è aperto un dibattito per far luce su un aspetto che non è chiaro, osdia se questa serie di incisioni fosse una denuncia in puro spirito animalista: altro carattere estremamente moderno.

Sono presenti in mostra trenta fogli derivati da altrettante lastre di rame incise, che trattano diverse rappresentazioni ( fig.17/ 21) e non da ultimo, emerge in sordina la passione di Goya per i cani e opposta fobia per i gatti.

Frapposte a questi temi si inseriscono una serie di ritratti fisiognomicamente rilevanti degli intellettuali di corte e dei rappresentanti dell’ultima aristocrazia spagnola.

Nelle opere a sfondo religioso Il clima di agitazione è inquietudine non cambia.

Si può osservare il clima fi tensione emotiva restituita dall’incidente chiaroscurale ne : ” la Processione dei flagellanti” ( fig.14) In cui si respira ancora l’influenza dell’Inquisizione ormai alla fine della sua epoca.

Anche il piccolo bozzetto con titolo:”San Francesco Borgia assiste un moribondo”, il cui titolo è volutamente fuorviante.( fig.22/23).

La divisione verticale in due metà del dipinto in cui, la parte dx è sovraesposizione alla luce solare e la parte sx invece buia rischiara timidamente alla sola luce di candela crea una molteplicità di significati solo se si guarda l’opera con occhio di metafora: a sx c’è il moribondo….che somiglia più a un indemoniato, anzi no, forse lo è, vista anche l’espressione del santi che lo assiste e la serie di mostri che compaiono alle spalle del moribondo nel momento in cui il fiotto di sangue che sgorga dal crocifisso retto dal santo, cade sul corpo del morente.

Sinistra è la parte del diavolo e ad essa corrispondono le tenebre, contrariamente alla luce divina di chi sta alla destra.

Dunque più che una scena di pietas ci si trova difronte a un esorcismo: Goya avrebbe preferito forse il termine “POTREBBE trovare di fronte…”.

Legate a doppio filo alla tematica della ragione, alla ribellione o assenza della stessa, sono alcune incisioni della serie dei ” disastri della guerra” che Goya realizzò ma che vennero stampate solo molto dopo la sua morte.

Il rimando alla follia, tema affrontato già nel dipinto ” Il manicomio” nel 1812, è una chiara accusa ai poteri politico e religioso, i cui riferimenti sono disseminati piuttosto chiaramente in diverse opere esposte.

Quando la ragione si addormenta, i mostri dell’inconscio emergono (fig.20) e le situazioni quotidiane, con gli episodi di disagio, guardati dal punto di vista emotivo mostrano tutta la loro cruda realtà che invece si nasconde dietro il perbenismo, i valori precostituiti di facciata e l’ambiguità dilagante di comportamenti e formule estetiche divenute stereotipate nel momento in cui le si considera.

L’autore, lungi dal puntare il dito contr “l’altro”, chiunque sia questo “altro”, tende invece a obbligare l’avventore alla sua opera a uno sguardo impietoso su se stesso: non lo scagiona, anzi tende a ricordare che quei mostri sono qualcosa che ha in sé e ne sono la parte più intima e recondita; prova ne sia la strisciante inquietudine del vivere quotidiano che tanto somiglia e quella che emerge dalle opere in esposizione.

LUCA NAVA