BERGAMO Con la chiusura dell’anno che ha visto Bergamo insieme con Brescia tenere il testimone di capitali simboliche della cultura per l’anno 2023, si sono chiuse anche le numerose iniziative culturali e ludiche, che hanno portato le due città a essere un polo d’attrazione durante tutto l’anno dedicato.
Restano comunque accessibili, anche nelle prime settimane del 2024 numerosi siti che presentano peculiarità proprie e che anzi, proprio dall’inizio dell’anno, tornano fruibili grazie a finanziamenti e interventi di restauro puntuali.
E’ il caso di Palazzo Moroni¹ in Bergamo che, sotto tutela del FAI, ha subito un lungo periodo di chiusura dal 2019 fino alla riapertura, seppur parziale dei propri spazi e dei giardini con il ninfeo, nel 2022.
Oggi la dimora è fruibile in tutti i suoi ambienti, consentendo di visionare il patrimonio artistico incluso, restituendo un’idea di massima anche su quale dovesse essere il livello culturale presente nella città orobica dal tardo seicento fino anche all’800 inoltrato.
Dalla presenza delle opere del celebre Giovanbattista Moroni alla più piccola ed esotica delle suppellettili, passando per arazzi e affreschi seicenteschi, si può assaporate il clima che, a loro tempo, i fautori del luogo vollero creare attorno a un simbolo oltre che una residenza
E dunque palazzo Moroni si presenta come un palazzo a mezza via fra città bassa e alta, costruito lungo via Porta Penta, quella che porta appunto verso il primo dei due livelli della città alta, per volontà di Francesco Moroni allo scadere della prima metà del Seicento. Atto fondativo che segue il matrimonio che lo ha legato alla famiglia Roncalli².
Da quella unione è derivata una folta discendenza per garantire, nella prospettiva dell’epoca, anche l’unità del patrimonio famigliare.
Trent’anni di lavori, dal 1636 al 1666, nei quali l’opera di Battista della Giovanna che ha presieduto alla sua costruzione della residenza signorile, non ha portato all’esibizione esterna di particolari di pregio architettonico, riservandoli invece ai pochi che avrebbero potuto goderne accedendo internamente ai locali.
Oltre a suppellettili esotiche in ceramiche e maioliche, arazzi, consolle barocche, specchiere e quant’altro è possibile trovare in residenze di questo lignaggio, un contesto che dice molto anche di una certa inclinazione di chi li ha abitatii.
I locali del palazzo arricchiti nel tempo, dapprima con la moda delle camere di meraviglie, poi con la continua ricerca ottocentesca derivata da mode orientaliste, sono tornati a splendere gli affreschi seicenteschi la cui realizzazione fu affidata al cremasco Gian Giacomo Barbelli nel 1649.
Diversamente da un apparato decorativo che si compone di quadri removibili o tessuti rari, così come di sculture e rilievi più o meno impegnativi dal punto di vista dimensionale, gli affreschi necessitano di una virtuosa dislocazione degli spazi che li accolgono.
Questo è tanto più vero quanto più le tematiche trattate necessitano di un legame per via di rimandi, realizzabile solo dietro condizioni di disposizione e distanze, particolari³
La natura epidermide, si direbbe, corpo a corpo di affresco e corpo dell’edificio stesso, stabilisce un principio per cui quei contenuti, espressi in concetti della pittura, divengano principio identitaria, fronte che attua, in modo implicito, un confronto con l’ambiente circostante urbano, ma non da ultimo con lo status dell’avventore ai locali della dimora.
Si tratta di scene irreggimentate da un impianto quadraturista coerente con l’approccio spazio-prospettico dettato dal punto di osservazione degli affreschi, il cui registro narrativo e tematico è derivato dalle indicazioni del priore del convento di Sant’Agostino,⁴ Donato Calvi documentato al 1655 e da una volontà narrativa esplicitata nel documento coevo agli affreschi, dal titolo significativo di ” Le Misteriose pitture di palazzo Moroni spiegate dall’anziano Accademico Donato Calvi vice Principe dell’Accademia degli Eccitati.”⁵
L’inizio del percorso narrativo investe soprattutto il piano nobile del palazzo e si apre dall’androne al pianterreno, accedendo all’ampio scalone d’onore a due rampe che accede al primo piano.
L’ordine e la sequenza dello spazio presenta i grandi affreschi inseriti nei riquadri realizzati dal quadrista Giovanni Battista Azzola, specializzato nella realizzazione di programmi decorativi su volte e superfici convesse, il quale risulta agli atti con un pagamento oggi reperibile nell’archivio delle opere di Gian Giacomo Barbelli .
Le scene presentano diverse e diffuse allegorie⁶ e nove personaggi, ciascuno accompagnato dagli attributi iconografici che li contraddistinguono, come la Nobiltà, la Santità l’Antichità, la Sapienza, la Dignità, il Valore la Fortuna, restituite tramite le forme espressive di un classicismo divenuto consueto nelle residenze del barocco, specialmente italiano, qui posti in figura al servizio e per celebrare le virtù della famiglia Moroni-Roncalli.
Fra scene dipinte, a corredo del riferimento mitico, si trovano nove statue bronzee poste sulla balaustre che riportano sul basamento la scritta che le identifica.
Il soffitto realizza una comunione con la pittura tale che verrebbe spontaneo pensare a una convergenza di intenti fra pittori e architetto, tanto assonanti sono i reciproci contenuti.
Si conservano inoltre tre dipinti raffiguranti le vicende di Amore e Psiche, come celebrazione e assonanza quasi naturale fra il mito e dell’ascesa sociale della famiglia, conseguente il suo virtuosismo, nella città di Bergamo.
Tutte le sale prendono il nome dagli affreschi seicenteschi che ne decorano i soffitti e le tematiche rimandano al Mantovano Palazzo Tè, non tanto per una “caduta dei Giganti” presente anche a Bergamo, quanto per l’aspetto programmatico complessivo.
La sala maggiormente d’impatto, quella dell’Età dell’Oro, detta anche sala delle stagioni, presenta sul soffitto l’affresco raffigurante il temibile Saturno circondato da quattro personaggi, allegoria di: Pace, Abbondanza, Semplicità e Allegrezza.⁷
Qui si conservano alcuni dipinti fra i più significativi di Giovan Battista Moroni e nella attigua sala cinquecentesca, le opere di un altro bergamasco che ha sperimentato il cromatismo veneto, ossia Andrea Previtali.
La sala in cui troneggiano i personaggi della “Caduta dei Giganti” presenta il grande dipinto di Giove scagliante con i fulmini addosso ai colossi.
Plasticità e dinamismo sono alla base della potenza coinvolgente questo impianto decorativo in grado di colpire l’osservatore somministrando la sensazione di reale e concreta caduta dall’alto dei colossi ribelli.
Questa doppia firma del Barbelli e di Domenico Ghislandi per le quadrature dell’Apoteosi d’Ercole e della Gerusalemme Liberata, dedicata a Torquato Tasso, tema questo che invece si riconduce alle recenti vicende della corte estense.
il sistema di affrescatura è concepito in modo che sortisca l’illusione ottica di avere un’altezza maggiore di quella reale.
i temi raffigurano l’arcangelo Gabriele, inviato da Dio a illuminare Goffredo di Buglione della sua missione redentrice le anime a lui affidate.
I dipinti proseguono consequenziali sul fregio lungo della parete tramite la raffigurazione delle figure allegoriche femminili che rappresentano la Fede, la Fatica, la Bravura e la Vittoria.
Vi sono inoltre raffigurati i vizi quali il Giubili, il Disprezzo, lo Zelo e il Consiglio.
Chiudono questa celebrazione ai quattro angoli del salone, gli stemmi della famiglia.
Le sale non nobili del palazzo sono un restauro ottocentesco e presentano bassorilievi eseguiti con l’illusionismo della tecnica del trompe-l’œil, e forse non si è troppo lontani dal pensar a un’influenza delle numerose ville vicentine affrescate da Palladio.
Si tratta di dipinti dai colori più intensi rispetto a quelli del piano nobile che portano al clima di ambienti esotici come il salottino cinese, piuttosto che l’orientalismo declinato alla turca.
La sala gialla invece ha il soffitto coperto a volta⁸, il che favorisce una decorazione a dipinti raffiguranti le arti in genere, come la musica, la pittura e il teatro.
Anche in questo caso un fregio dai colori chiaro scuri che attraversa per tutto l’ambiente, raffigura scene di differente clima culturale. Questi ambienti furono dipinti da Antonio Moroni nel 1835.
La scelta delle tematiche tramite allegorie si presenta come un tentativo di sintesi contenutistica, soprattutto in virtù della necessità di far convergere le esigenze celebrative di un casato, l’adesione a contenuti letterari di natura classicista e la necessità di osservanza in qualche modo, dei dettami della controriforma c he in quest’area geografica si presentavano assai intransigenti anche soltanto in termini di allusioni a tematiche censurate.
Nel complesso affreschi secenteschi ornano il palazzo e vi si inseriscono in modo fluido grazie e soprattutto al lavoro di adattamento quadraturista che sfrutta l’architettura reale presente.
Con questo principio e , ma modo di procedere, l’impresa decorativa riesce a far confluire anche il modus di restauri ottocenteschi del piano non nobile, affievolendo l’inevitabile stacco tematico con i decori e i modi degli stessi presenti nel piano nobile.
Il palazzo nel suo complesso si presenta come un antesignano delle ” ville di delizia”⁹che cominceranno la loro diffusione nelle corti settecentesche.
Sempre è presente la tendenza all’esotico, alla particolarità inconsueta e ricercata e una inclinazione all’orientalismo per molti versi, che si accompagnano a una spiccata tendenza alla chiusura aristocratica, poi ulteriormente irrigiditasi con la fine “dell’antico regime”.¹⁰
Testimonianza ne è anche la sola organizzazione degli arredi delle sale per lo svolgimento di specifiche attività di studio, piuttosto che di gioco o riservate a incontri con altre personalità.
A fronte di un sistema di gestione del potere e delle fonti dello stesso, radicalmente cambiato per via dei conflitti religiosi e politici, anche il volto della società tardo seicentesca e delle dimore nobiliari, talvolta sede di un potere, seppur locale, cambia e in questo palazzo il graduale cambiamento risulta piuttosto evidente. Questa dinamica perdura fino a trovare una svolta in un compromesso e una qualche soluzione stabilizzatrice degli equilibri sociali con la pace di Westfalia e a grappolo, discendendo degli altri numerosi casi di microconflittualità, verso la metà del seicento.
LUCA NAVA
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