CREMONA. Visitando le mostre dei grandi fumettisti sembra scontato pensare che siano davvero artisti di prim’ordine, capaci di emozionare. Eppure quella fumettistica è spesso inguistamente considerata un’arte minore, di serie b. Per capire le ragioni di questa percezione, ho rivolto queste domande a Fabio Canesi, “appassionato di fumetti” come preferisce definirsi, ma in realtà raffinato studioso e attento cultore di questa arte. In nome della nostra amicizia, nonostante i mille impegni Fabio ha trovato tempo di rispondermi: lo ringrazio di cuore.
Il fumetto può essere considerato una forma d’arte? Perché?
«Specie negli ultimi vent’anni, il fumetto si è “qualificato” agli occhi della critica acquisendo uno status che, in passato, molti detrattori gli hanno negato. Differenti i motivi: la proliferazione delle case editrici, per esempio, ha contribuito a ciò.
A questo si aggiunga la professionalità acquisita dagli operatori del settore – soggettisti, sceneggiatori, disegnatori e coloristi –, che ha nobilitato quest’arte. Sergio Tarquinio, citando un artista nativo proprio di Cremona, si è per anni nascosto affermando che il suo vero lavoro era quello di pittore, per quanto egli fosse un fumettista tra i più celebri in Italia negli anni Cinquanta e Sessanta.
Oggi nessun autore si nasconde più, anzi rivendica la propria professione e la propria professionalità con il giusto orgoglio».
Per quale motivo molti pensano che il fumetto non sia un’arte oppure sia un’arte minore rispetto alla pittura?
«È un errore che commette chi, con un certo snobismo e con ingiustificata superficialità, si accosta al fumetto credendo che sia un medium adatto solo ai bambini o, tutt’al più, agli adolescenti.
Tanti fumettisti, per esempio, sono anche dei pittori eccellenti: è errato, dunque, declassare il fumetto ad arte minore. È pur vero, però, che questo malvezzo era tipico degli anni passati: negli anni Duemila, infatti, nessuno – o quasi – storce il naso dinanzi a determinate produzioni fumettistiche.
Alcune case editrici (“Sergio Bonelli Editore”, “Bao Publishing”, “BeccoGiallo”) arrivano a pubblicare prodotti da libreria che poco o nulla hanno da invidiare a cataloghi d’arte oppure alla libri dalla grafica più curata. L’Italia, oltretutto, vanta una scuola fumettistica riconosciuta in ogni angolo del mondo.
Qualche nome? Hugo Pratt, Sergio Toppi, Dino Battaglia, Milo Manara. Non si tratta di “semplici” fumettisti, si tratta di artisti autentici».
Quanta importanza ha, in un fumetto, la parte iconografica rispetto a quella testuale?
«Come un film, il fumetto si compone di più elementi: la sceneggiatura – ben ritmata, senza falle – esalta il lavoro grafico, e quest’ultimo sublima una sceneggiatura solida.
Personalmente, lo confesso senza alcuna vergogna, sono fra gli appassionati che godono anche nel vedere un lavoro grafico ben eseguito benché non sorretto da una scrittura eccezionale.
Molti esteti del fumetto, per esempio, apprezzano il “gioco” cui il disegnatore ha dato vita con il pennino e con la china.
Mi è capitato di leggere fumetti apprezzabili soltanto sotto il profilo grafico, lo ammetto: questo non ha inciso sul mio giudizio circa l’albo preso in esame, consapevole di come il fumetto sia un’arte in cui la componente grafica è fondamentale».
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