IL MURO GIALLO DI MORRI AL MUSEO DELLA CITTA’

RIMINI. Al Museo della città fino al 15 aprile, con il patrocinio del Comune di Rimini, in collaborazione con Marco Ruzzo e Around Graphic e Teresio Troll per il supporto artistico e intellettuale, si potrà ammirare a cura di Simone Felici “Il muro giallo” di Dino Morri, ovvero la serie di scatti che il fotografo riminese ha eseguito sul porto canale immortalando il muro che lo costeggia dipinto di un giallo vivace e vitale. “La Palata” ora trionfa come una nuova “immagine simbolo” della città, così come fu nel cinema con “La prima notte di quiete”, dove un tormentato Alain Delon apriva la pellicola camminandoci sopra per la sua intera lunghezza.

«Speriamo – dicono i promotori che la città apprezzi questa mostra per la sua poetica semplicità, che valorizza un luogo di passaggio e di riflessione al tempo stesso, e che sia magari uno spunto per trasformare il muro giallo in ulteriori operazioni comunicative, come ad esempio per l’allestimento di rappresentazioni o come spunto per un documento video».  

Una passione per l’immagine, questa di Morri, nata in famiglia, dove la pittura era di casa, e accresciuta viaggiando tra genti lontane, specie nel sud est asiatico, educandosi soprattutto a porre una particolare attenzione alle persone, come in “People”, libro fotografico presentato nel 2018 al Salone del libro di Torino.

Sguardo e attenzione da reporter, che si sono poi posate nel progetto dedicato ad un luogo molto frequentato (in maniera distratta) dalle persone; il “muro giallo” che accompagna, in silenzio, i passi di chi si incammina verso il “Rock Island”, la lingua estrema che si spinge verso le coste dell’ex Jugoslavia.  Oltre quel muro, dice, si rinviene «tutto quello che desideri: la voglia di partire, di esplorare, di ritornare, di aspettare». 

Morri, quale metafora rappresenta il Muro giallo e come è nato il progetto intorno ad esso?

«È un simbolo, perché non sempre sono i ponti a favorire scambi e dialoghi e a creare connessioni profonde con gli altri. Paradossalmente è il caso del muro giallo, luogo di incontro, di passaggio, di sosta e meditazione, di svago e riparo. Il giallo rappresenta l’apertura verso il mondo esterno. Il progetto è nato gradualmente, giorno dopo giorno. Dalla prima immagine è diventato racconto di persone, di stati interiori e mondi fantastici, anche se reali, e come per l’omonimo fiume simbolo di una potente fertilità creativa».

Perché ha inteso praticare una forma di evoluzione della “street photografy” che lei ha ribattezzato “dinami-città”?

«È come un’immersione in una società sempre più’ veloce, frenetica, competitiva, vista attraverso l’obiettoivo, seguendo ogni soggetto nella sua corsa verso la prossima meta. Una metafora ancora incompleta al momento, che si traduce, visivamente, in una ricerca degli effetti dinamici di grande impatto».

Il suo occhio fotografico è spesso volto: «ad un crocevia di culture, etnie, emozioni, attese e solitudini», che nutrendosi di sguardi racconta il tema del viaggio e dell’appartenenza».

«Anche il muro giallo, è un luogo dell’anima distante dalle tappe storiche della nostra città, ma divenuto simbolo per tanti riminesi e non. Un luogo dell’anima che vorrei potesse abbracciare iniziative artistiche e coinvolgere tutti».

Il frutto di un ispirazione quasi pittorica?

«Sì, come una tela su cui posso lavorare: le ombre che si allungano, le luci che cambiano a seconda dell’ora, le persone che ci passano davanti oppure che si siedono. La prima foto che ho scattato – un muro giallo, un ragazzo in pantaloncini corti, il cielo blu – mi ha restituito la mia malinconia».un amore incondizionato verso gli altri, verso sé stessi e verso un luogo speciale».  

MARCELLO TOSI