
MANTOVA È imminente a Palazzo ducale di Mantova l’inaugurazione, prevista per il 12 aprile 2025, della mostra intitolata “Mantegna vs Mantegna. Tra luce e ombra: la Camera picta e il San Sebastiano di Ca’ d’Oro” che durerà sino al 15 giugno, un prestito d’eccezione da parte della Galleria Giorgio Franchetti che nasce dalla stretta collaborazione tra la Direzione regionale Musei del Veneto e il Palazzo ducale di Mantova. L’occasione è offerta dalla temporanea chiusura del museo veneziano per lavori di adeguamento strutturali e impiantistici, nonché di riallestimento della Galleria che si avvarrà del sostegno di Fondazione Venetian Heritage. Tra gli interventi restaurativi è previsto anche quello della Cappella del Mantegna, dove è collocato in una nicchia rinascimentale il San Sebastiano, un dipinto davvero singolare nel corpus delle opere del grande maestro.
Lo scopo precipuo della mostra mantovana sarà quello di mettere a confronto due diverse sensibilità pittoriche che connotano il modo di vivere la grande stagione del Rinascimento italiano da parte di uno dei suoi massimi protagonisti, il padovano Andrea Mantegna, dal 1459 al 1506 pittore di corte e conservatore delle collezioni del marchese Ludovico III Gonzaga e della moglie Barbara di Brandeburgo, regnanti nella Mantova quattrocentesca. Se il celebre ciclo di affreschi della Camera picta eseguiti dal Mantegna nella torre di nord-est, dal 1465 al 1474, vogliono essere la celebrazione politico-dinastica della corte gonzaghesca, ritratta in particolari momenti della sua vita pubblica, come il presunto ricevimento da parte del marchese Ludovico alla presenza dei suoi familiari e dignitari dell’ambasciatore sforzesco che reca una missiva di Bianca Maria Visconti, in cui la duchessa chiede, a seguito delle precarie condizioni di salute del marito Francesco Sforza, l’intervento armato del Gonzaga per aiutarla a salvaguardare il ducato di Milano minacciato oppure l’incontro del marchese con il figlio Francesco che ha appena ricevuto la berretta cardinalizia. Una celebrazione resa solenne dai magistrali giochi prospettici, si pensi solo al celebre oculo che apre illusionisticamente la stanza al cielo o ai continui rimandi all’estetica delle rovine o ai paesaggi, tipicamente mategneschi, costituiti da speroni di rocce turriti, da balze e anfratti, il tutto condizionato dal fattore portante della luce che vivifica le scene narrate, che apre la stanza, luogo delle udienze e dei cari affetti, dall’interno all’esterno, la dilata illusionisticamente con drappeggi, losanghe mitologiche, medaglioni imperiali, festoni compositi (encarpi). Nel San Sebastiano della Ca’ d’Oro, opera della vecchiaia, dipinta intorno al 1490 e destinata, a quanto pare, al vescovo Ludovico Gonzaga, secondo la documentazione del 1506, emerge, nell’angusta e scura nicchia, la figura policroma del santo, invocato generalmente durante i periodi di pestilenze, in tutta la drammaticità del martirio: la bocca è aperta in un’espressione di massima sofferenza, gli occhi rivolti al Cielo imploranti pietà e liberazione dal dolore, le carni sono crivellate dalle frecce, le corde stringono forte il corpo, un candido e luminoso perizoma svolazzante allude all’innocenza del santo martire aureolato e sovrastato da una sorta di piccolo festone a grani rossi, simbolo della passione, un piede del santo sporge curiosamente dalla cornice, dalla quale, sul lato destro in basso, spunta una candela votiva con un cartiglio attorcigliato, su cui si legge: “NIHIL NISI DIVINUM STABILE EST. COETERA FUMUS” (Nient’altro che il divino è stabile. Il resto è fumo). Si tratta quindi di un’opera drammatica, dai toni crepuscolari, che sembra veicolare “una profonda partecipazione emotiva del pittore”, una sorta di lascito spirituale di Mantegna già provato da dolori familiari (tra cui la perdita della fedele Niccolosa) e in preda a problemi finanziari, dovuti al calo della rendita, che lo porteranno ad alienare la sua collezione di antichità a Isabella d’Este (si ricordi tra l’altro il celebre busto marmoreo dell’imperatrice Faustina, moglie di Antonino Pio) e la sua casa, vivendo i suoi ultimi anni in una modesta abitazione in via Unicorno (ora Pradella), dove si spegnerà il 13 settembre 1506, non prima di aver ultimato la sua cappella funeraria in Sant’Andrea. La figura di San Sebastiano della Ca’ d’Oro è espressione di un “titanismo eroico”, più attenuato nelle altre due versioni dello stesso soggetto, una al Kunsthistorisches Museum di Vienna (risalente alla metà del Quattrocento ed eseguita su commissione del podestà di Padova Antonio Marcello e facente parte della collezione dell’arciduca d’Austria Leopoldo Guglielmo) e l’altra al Louvre proveniente dalla Chiesa di Notre Dame ad Aigueperse, eseguita nel 1480 e donata da Chiara Gonzaga al marito, il conte Gilbert di Bourbon Montpensier. Nelle opere sopracitate si evince un crescendo dell’età anagrafica del santo martire, ritratto in un atteggiamento di sopportazione ieratica della prova estrema. In particolare nella versione viennese e francese Mantegna inserisce sullo sfondo della scena sacra rimandi geografici, pittorici di sapore fiammingo e soprattutto archeologici, del tutto assenti in quella veneziana. Secondo Giovanni Paccagnini, il San Sebastiano della Ca’ d’Oro evidenzia, nel confronto con Cristo sul sarcofago di Copenhagen, un’analoga ispirazione, lo stesso titanismo eroico: “il tema di un dolore senza riscatto vi è svolto fino al suo estremo limite tragico nel contrasto tra l’interna energia che tende i volumi, arrovella le linee della gigantesca figura e l’inesorabile astratta fermezza geometrica dell’angusto spazio architettonico”. L’ufficialità del ciclo quattrocentesco degli affreschi della Camera picta eseguiti da Mantegna in veste di pittore di corte, nel pieno dispiegamento della sua cifra artistico-narrativa, si stempera man mano nelle opere della vecchiaia, dove prende il sopravvento la dimensione privata, intimistico-emozionale del pittore. Una crisi dovuta al tramonto di un certo modo di dipingere rispetto all’emergere di un nuovo gusto della committenza o di nuove istanze pittoriche, vissuta da diversi artisti agli albori del Cinquecento? Questo quesito può giustificarse, in un certo senso, il titolo dato alla mostra, in particolare il segmento “Mantegna vs Mantegna”, ossia il Mantegna, pittore attivo nella solarità della corte gonzaghesca e il Mantegna, privato, intimista e umbratile. Il dipinto veneziano si trovava, dopo la morte del maestro avvenuta nel 1506 nella sua bottega insieme ad altre opere, come ci informa il figlio Ludovico. Approdò in seguito a Padova acquistato dal cardinale Pietro Bembo, i cui eredi lo cedettero ai Gradenigo di Venezia. Passò poi nelle mani degli Scarpa di Motta di Livenza, presso i quali il barone Giorgio Franchetti comprò l’opera che donò in seguito
alla Ca’ d’Oro in vista dell’allestimento di un museo. Lo straordinario prestito sarà esposto nella Camera dei soli di fianco alla Camera picta, consentendo al visitatore-fruitore di prendere parte al dialogo ravvicinato, non solo spazialmente, tra due capolavori della vigorosa e magistrale pittura di Andrea Mantegna. Un appuntamento da non perdere.
ERMINIO MORENGHI