IL SOGNO: RETROSPETTIVA DEDICATA A VINICIUS PRADELLA

Un’opera in mostra

MANTOVA. La Galleria “Arianna Sartori. Arte & Object Design”di Mantova, nella sala di via Ippolito Nievo 10, presenta una interessante selezione di dipinti del Maestro Vinicius Pradella (Verona, 1926 – 2018).

L’esposizione intitolata “Il sogno”, organizzata da Marzia Pradella figlia dell’artista e curata da Arianna Sartori, resterà aperta al pubblico fino al 16 settembre 2021.

Vinicius Pradella, scrive Silvino Gonzato, è nato a Verona il 24 agosto 1926, è mancato il 1° settembre 2018. Dal 1952 al 1957 l’artista che, oltre a dipingere, lavorava come disegnatore per una società italo-americana, visse tra Buenos Aires e Rio de Janerio.

Anima detonante e produttiva, Pradella, trasferitosi nel 1963 a San Paolo, progettò un piccolo paese da costruire ai margini dell’inospitale Amazzonia. E diresse egli stesso i lavori. “È stata un’esperienza surreale” commenta Vinicius ricordando quei giorni da pioniere al cospetto della maestà verde della più grande foresta del mondo. A San Paolo l’artista veronese trovò un ambiente cosmopolita che gli permise di ampliare le sue conoscenze e di far conoscere la sua eccellente pittura. Venne nominato direttore del Centro culturale italo-brasiliano e partecipò alla IX e X Biennale.

Ma il richiamo della patria si faceva spesso irresistibile. Nel 1971 ritornò in Italia ed espose a Verona, Padova, Brescia, Roma, Gardone, Torino e Genova. Fu un periodo di grande fertilità creativa, ma un nomade nello spirito obbedisce a richiami che alle creature stanziali possono sembrare irrazionali. Ed eccolo quindi nuovamente imbarcato sull’“Eugenio C” con destinazione il Brasile. Pradella lasciò definitivamente i Tropici e tornò a Verona dove espone alla Galleria della Società Belle Arti.

È vissuto e lavorato a Pescantina nella sua casa con le finestre aperte sull’azzurrognolo un tantino malinconico dei nostri monti. Nel viso era ad un tempo Socrate, Chabrier e il dottor Florand, con una barba da Gran Senusso. Vestiva spesso alla Lincoln e potrebbe essere stato scambiato per un personaggio fluviale de “L’uomo di fiducia” di Melville. Nessuna meraviglia se si fosse messo improvvisamente a parlare in versi come un padre nobile del teatro classico come Andrè Breton.

A vederlo mentre si aggirava nel pantheon delle sue papesse, sotto i seni turgidi di Johanna che è un po’ Mary Stuart e un po’ Jane di San Faustino, non si può fare a meno di pensare all’istrionesco Salvador Dalì, lo scomunicato esponente dei Surrealisti. Troppo surreale? Forse no.”