
LECCO. Quella che si tiene a Lecco presso la sede di Palazzo delle Paure fino al 30 giugno 2024 è la terza tappa del percorso di esposizioni iniziate nel pieno dell’inverno 2023 e che si protrarrà fino a novembre 2025.
Il percorso illustrativa è partito dalle avanguardie di inizio “900 per poi puntare decisamente l’attenzione sul riassestamento figurativo e ideologico degli anni 30-40 rinominato per buona parte delle sue declinazioni puntuali, con la formula di “Realismo magico”.
In questo terzo appuntamento la mostra prende in esame il successivo decennio degli anni ’50 sforando spesso e considerando anche buona parte di produzioni dei primi anni ’60 e le particolari dinamiche politiche, sociali e culturali venutesi a creare dopo la seconda guerra mondiale.
Se risulta difficile abbracciare complessivamente tendenze e sentimenti sottesi ad un’esperienza collettiva cosi impattante sugli animi e le coscienze, altrettanto complesso risulta abbracciare complessivamente le singole personalità riunite tramite le loro opere in mostra.
Sopra tutto emerge inequivocabilmente il sentimento di angoscia che si va a sostituire a quello di indeterminazione e ambiguità, caratteristici invece dei movimenti precedenti come la metafisica o il surrealismo, che a loro volta trassero linfa vitale dal simbolismo tardo ottocentesco.
Strumento per disegnare l’evoluzione dell’arte nel primo ventennio della seconda metà del secolo XX sono più di 60 opere fra cui Afro, Tancredi, Chighine, Fontana, Moreni, Burri, Morlotti e molti altri la cui cifra espressiva ruota attorno al segno, alla materia, al colore, al gesto, indagando i tre universi paralleli dell’espressione informale.
Per contestualizzare quanto è dato da vedere a Lecco è comunque necessario uno sforzo mentale e la conoscenza dei movimenti artistici e delle dinamiche trasversali legate al mercato dell’arte, alla politica e alla finanza, nonché alle ideologie che si sono instaurare nei due nuovi poli dell’arte, ovvero Londra e New york, dopo la perdita del ruolo di Parigi come capitale unica del mondo intellettuale e artistico.
Questi aspetti sono comunque esplicati sinteticamente tramite pannelli informativi, posti a passaggio da una sezione ad un’altra dell’esposizione.
Si tratta quindi, più nello specifico di sondare la generazione di autori usciti feriti dalla Seconda guerra mondiale, che sperimentò nuovi linguaggi e nuovi modelli espressivi in grado di narrare una condizione drammatica, sfuggita a qualsiasi condizione di controllo.
Taluni degli artisti esposti di fronte a una situazione ormai degenerata, optarono per una via solitaria che non prevedeva confronti con l’altro né manifesti programmstici o teorici m8litanti 0pl9Llche dichiarassero una strada comune. Anche il critico francese Michel Tapié, al quale si deve il termine Informale, rifiutò sempre di confinare la tendenza in codici troppo serrati e definiti, allontanandosene quando essa assunse connotazioni troppo precise.
Le vie dell’Informale furono molteplici e variegate, figlie di altrettante personalità autonome e originali, le cui ricerche trovarono solo alcuni aspetti tra loro comuni.
Più di altro assunse corpo una certa derivazione stilistica da movimenti precedenti, la cui risultanza veniva pero caricata di contenuti diversi.
Così alla scrittura automatica in encausto dei surrealisti, per evoluzione, segue il gesto informale di artisti di seconda e terza generazione del secolo, declinando anche la questione in termini di rapporto materia e colore.
In questo senso il riferimento ad artisti naturalizzati americani come De konig o Gorky fanno da paradigma nella genesi di questo processo in cui non solo regna la spontaneità ma anche l’istinto gestuale, il rifiuto di qualsiasi legge e geometria e, talvolta l’improvvisazione.
Un espressionismo che veste Informale si diffuse in tutto l’Occidente come alternativa alla figurazione tipica dell’epoca dei regimi totalitari, non esclusa quella contemporanea di matrice guttusiana, come rabbiosa risposta alle più svariate suonatore negli equilibri sociali di cui l’uomo era ritenuto causa quasi esclusiva; in Italia, gli anni Cinquanta assistettero all’evoluzione di questa forma d’arte, che si manifestò in molteplici versioni di cui in mostra si ritrovano esempi puntuali.
In contrasto con la pittura figurativa, soprattutto quella impegnata socialmente e politicamente, fermamente sostenuta anche dal nuovo governo di sinistra, si affermarono artisti quali Afro, Chighine, Vedova, Burri, che impiegavano la materia e il colore come mezzi espressivi intrinsecamente piu liberi e svincolati dalle maggiori dinamiche della pittura di tradizione classica.
Non mancarono però personalità che reinterpretarono la figurazione sotto una nuova luce, come Ennio Morlotti nella sua prima fase, Mattia Moreni o birolli nel contesto di “corrente” o ancora gli esponenti del Realismo esistenziale come ad esempio Mignieco e altri chiusi nel loro meditato immaginario figurativo alternativo.
L’arte figurativa, che tra le altre considerazioni possibili è stata soggetto della mostra appena conclusasi, è un’avanguardia che sempre più si muove in direzione del segno, della materia e del colore.
Un gesto piuttosto che una figura, che per molti aspetti però quasi sempre è evocata.
L’arte informale è la rappresentazione di quella stessa generazione che ha vissuto i traumi della Seconda guerra mondiale, e che, una volta stabilizzatori la situazione politica sulla formazione di una Repubblica in Italia, aveva la necessità di narrare attraverso una nuova tendenza il proprio smarrimento di fronte alle condizioni in cui si andava ad affrontare il futuro.
Sul tavolo ci sono le questioni della perdita di ogni identità nell’individuo, nonnino più inquadrature in termini di classismo e di fiducia in sé stesso, tanto era stato l’effetto dopo l’Olocausto dei bombardamenti che hanno dilaniato mezza Europa.
Un movimento quello dell’informale che prima di tutto si è diradato in molteplici forme, le quali vanno dallo studio dell’utilizzo della materia, ai colori mezzi espressivi, liberi, fino ad arrivare ai contrasti con la frangia del realismo esistenziale e al movimento del MAC (Movimento Arte Concreta).
Un dialogo difficile e interrottosi molte volte tra parti opposte ma sempre contigue, nel quale, comw si diceva in apertura, è stato Difficile dare un’identità e trovare un filo narrativo.
La mostra può essere vista anche come il racconto di una generazione.
Vi si titrovano trattati, gli stati emotivi più vari per poterli convogliare n un unico percorso.
In diverse ezioni quindi, la narrazione è organizzata in base allo stato del rapporto con cui gli artisti del tempo hanno ritrovato in parte una loro libertà di espressione, che hanno conquistato lottando, opponendosi prima di tutto al Regime e poi al perbenismo della classe borghese al potere. Anche perche al tempo, la posdibilita di fare questo era favorita dal fatto che non c’erano linee di tendenza.
Ad aprire l’esposizione si trova Afro, l’ultimo pittore della mostra precedente, e finisce con Fontana, il primo della prossima che apre agli anni sessanta e ai temi dello spazialismo.
LUCA NAVA