VERONA. Roberta Tosi ha condiviso con me un sogno: quello di creare una rivista culturale degli studenti universitari di Verona in un momento in cui Internet e i social erano ancora poco diffusi. Ci siamo riusciti. E “Orme”, questo il nome della testata, per diversi numeri ha proposto piste d’analisi e di approfondimento a volte temerarie, con quella spregiudicatezza che si ha a vent’anni. Poi la rivista ha chiuso i battenti. Senza rimpianti, forse con un po’ di nostalgia. La passione per scrivere però è rimasta in entrambi e Roberta, fra le tante cose, ha scritto uno dei più riusciti volumi su Tintoretto. Questo il titolo completo: Tintoretto. L’artista in Italia. Guida ragionata alle opere di Tintoretto nei musei, nelle chiese, gallerie e collezioni d’arte in Italia. Il volume, edito da Odoya, si può facilmente reperire sul sito della casa editrice (https://www.odoya.it/), in libreria e sulle piattaforme di e-commerce. In nome della nostra “vecchia” amicizia, Roberta ha gentilmente risposto alle (tante) domande sul suo imperdibile volume. La ringrazio di cuore.
Quando è nata l’idea di studiare Tintoretto e di realizzare un libro?
Tintoretto è uno di quegli autori che quando lo vedi difficilmente ti lascia andare, ti chiama dentro le sue opere, ti chiede di farne parte. E non importa che tu sia negli anni 2000 invece che nel 1548, se lo osservi con attenzione ne percepisci l’attualità. Quando ero ancora al liceo e studiavo storia dell’arte, di tutto il programma ricordo solo lui (non credo che la mia insegnante di allora ne sarebbe molto contenta ma così è). Rammento perfettamente che quando vidi l’opera Il ritrovamento del corpo di san Marco, oggi alla Pinacoteca di Brera, ne rimasi folgorata. Avevo 16 anni ma quella luce gloriosa e misteriosa che emergeva dal fondo non la scordai più. Nel tempo poi, soprattutto all’Università, mi accostai a un altro gigante dell’arte che si dibatteva tra luci e ombre ovvero Caravaggio ma sullo sfondo restava lui, Tintoretto, che aveva indagato sempre più consapevolmente il rapporto tra lo spazio e la luce (o le ombre), aumentando così l’effetto e la drammaticità dei suoi lavori. Così iniziai a recuperare tutto il materiale che potevo su Jacopo Robusti (il suo vero nome) e a fermarmi nella meravigliosa Venezia per andare letteralmente “a caccia” delle sue opere, scoprire dov’era vissuto, dove aveva abitato, la chiesa che aveva frequentato…
In realtà scrivere un libro sulla sua vita e le sue opere era un sogno nel cassetto che non avevo mai osato aprire. Ma a volte i sogni si realizzano e un giorno un carissimo amico, che in realtà è anche il mio editor, mi parlò della casa editrice Odoya la quale aveva una collana dedicata alle “Guide” sugli artisti in Italia e che, probabilmente, se avessi avuto qualcosa di valido da sottoporre, l’avrebbero preso in considerazione.
Non me lo feci ripetere due volte e lanciai l’idea di una “guida” su Tintoretto. La proposta piacque e il libro alla fine lo abbiamo realizzato davvero.
Come si approccia un artista di questo calibro?
Io credo che si debba affrontarlo come si approcciano tutti quegli artisti con i quali si voglia “lavorare” veramente ovvero lasciare, prima di tutto, che siano loro a “parlare” a te. Secondo me non si può sfuggire da questo passaggio. Non puoi affrontare un autore senza che questo ti abbia raggiunto nel tuo profondo, senza che abbia fatto nascere in te il desiderio di saperne di più. I dipinti (a meno che non siano espressione di altri linguaggi) prima di tutto si guardano e per guardarli ci vuole tempo (magari una sedia avrebbe detto Feuerbach) perché, come sottolinea il filosofo francese Merleau-Ponty “la visione del pittore é una nascita continua”. Vi è uno sguardo che precede l’opera e che in qualche modo raggiunge chi la crea ma anche chiunque la percepisca. Si assiste allora sì a una nuova nascita ma, si sa, la nascita, qualsiasi nascita, non avviene in poco tempo.
Detto questo e facendo dunque il possibile per assistere alla “genesi” che avviene davanti ai tuoi occhi (e già questo è gran parte del lavoro), inizia poi la ricerca. Fatta sui libri, nelle biblioteche, andando alle mostre ma soprattutto immergendosi letteralmente, per quanto possibile, nella realtà dell’artista. Con Jacopo non è stato troppo difficile: “Tintoretto è Venezia” come hanno scritto Renzo e Giovanni Villa. Recarsi nella città lagunare, aggirarsi tra campi e calle, respirare l’aria proveniente dal mare, cogliere la luce che attraversa o ferisce i muri andando poi a scoprire dove le opere sono state concepite e vedere come, in molti casi, si trovino ancora fortunatamente al loro posto contribuisce ad avere di sicuro un “quadro” più completo sull’autore ma soprattutto sul suo lavoro.
Com’è iniziata e si è poi sviluppata la ricerca?
Con Tintoretto, come dicevo, sono partita avvantaggiata perché sono diversi anni che studio e approfondisco la sua opera. Poi Venezia per me è vicina e ogni occasione è stata buona per tornare a “casa” sua ma che, un pochino, sentivo anche mia. Devo poi dire che negli ultimi anni c’è stata una vera e propria riscoperta di Jacopo e dunque anche le monografie non sono mancate. Tra tutte voglio citare l’approfondito lavoro di Melania Mazzucco che ha dato vita a una pubblicazione davvero esemplare sulla vita e l’opera di Tintoretto e dei suoi figli, con una parte di documentazione molto ricca dovuta ad anni e anni passati tra gli archivi veneziani. Nel 2012 poi ci fu una mostra davvero spettacolare alle Scuderie del Quirinale di Roma, la prima monografica dopo quasi un secolo. Ricordo che feci il giro dell’esposizione almeno tre volte prima di abbandonare quelle sale… Quindi direi, se posso fare una sintesi del mio percorso, la ricerca è partita sicuramente dai libri ma ha poi “vissuto” l’arte di Jacopo in prima persona.
Hai avuto difficoltà nella stesura, ad esempio per quanto attiene l’attribuzione di alcune opere?
Più che per l’attribuzione oserei dire per la datazione. Tintoretto è stato un artista estremamente prolifico, voleva che Venezia respirasse la sua arte così come lui assorbiva quella della laguna e dunque non disdegnava alcuna commissione. Tieni presente che all’epoca la concorrenza tra i pittori era spietata e lui doveva, tra l’altro, competere non solo con i suoi coetanei ma anche con un maestro più anziano e piuttosto affermato come Tiziano che, ogni volta, cercava di frenare oppure ostacolare le ambizioni del più giovane artista. Dico questo perché nella rapidità esecutiva (nella “furia”, avrebbe scritto Vasari) metteva al lavoro più opere e la mano, soprattutto divenendo più anziano, non era totalmente la sua perché magari era anche frutto della bottega o dei figli (Marietta ma soprattutto Domenico) e laddove mancano i documenti oppure non sono così accurati, gli studiosi si sono ritrovati spesso in disaccordo tra di loro. Per certe opere, a seconda dell’autore, l’autografia è totalmente attribuita a Jacopo oppure viene “rimbalzata” sulla bottega o sulla bottega e Tintoretto insieme. Così come per la datazione che oscilla tra un anno e l’altro, un periodo o un altro, e a volte è stato davvero difficile venirne a capo.
Secondo te qual è l’importanza di Tintoretto nella storia dell’arte? Quale la sua influenza su altri artisti?
Ci vorrebbe un saggio solo per rispondere a queste tue domande. Io oserei dire, riassumendo moltissimo, che ha avuto un’importanza capitale. Il suo sguardo oltrepassava l’epoca in cui viveva, non per niente è stato definito un artista proto-barocco e sul finire del secolo un gigante dell’arte come Caravaggio raccoglierà in fondo la provocazione per quell’uso teatrale della rappresentazione e della luce. Ma poi affascinerà artisti come Rubens o El Greco, stregherà, letteralmente, un giovane John Ruskin ma Cèzanne non sarà da meno. Fino ad arrivare alla passione di Emilio Vedova per Tintoretto, passione che ancora oggi coinvolge molti artisti che continuano a guardare all’opera di Jacopo con stupore e interesse. Se ci discostiamo un attimo dal campo figurativo e passiamo in quello musicale voglio solo ricordare il Duca Bianco, ovvero David Bowie, il quale, oltre ad essere proprietario di un’opera di Jacopo dedicata all’annuncio del martirio a santa Caterina, aveva chiamato la sua casa discografica “Tintoretto Music”.
Una domanda personale: quali opere ti affascinano di più di questo pittore? Perché?
E’ una domanda davvero difficile cui rispondere: in ciascuna trovo compiuto una parte del suo cammino e sarebbe come chiedermi “di quale pezzo ti privi?” Nessuno, mi verrebbe da dire. Posso però condividere questo pensiero. Se avessi pochissimo tempo e dovessi scegliere quali opere tornare a vedere per “sentire” Tintoretto mi recherei in due posti senza esitazione. Nella Scuola Grande di San Rocco, la sua “Cappella Sistina” che rappresenta la realizzazione di un desiderio che aveva inseguito per tutta la vita e dove trascorrerà più di vent’anni. Basterebbe fermarsi solo nella Sala dell’Albergo per essere travolti dalla sua visionarietà maestosa e cinematografica. L’altro luogo è la chiesa di Santa Maria dell’Orto. Qui si trovano le sue spoglie mortali ma se solo alzi lo sguardo vieni catturato da quelle immortali, che non ti abbandonano.
Però un’opera te la voglio citare e si tratta dell’Autoritratto del 1588, Tintoretto morirà 6 anni dopo. E’ un’opera che lascia disarmati. Jacopo in quegli anni aveva ormai raggiunto la consacrazione che aveva inseguito per tutta la vita, ma la vita lo aveva anche duramente provato. Ed è così che si vuole consegnare ai posteri, senza trionfalismi, senza celebrazione della fama ormai raggiunta. Il suo volto, la sua postura frontale raccontano di un uomo provato, che ha combattuto molte, forse troppe battaglie ma che è non è mai stato vinto da queste, né domato. I suoi occhi oltrepassano la tela e, svelando la sua anima, arrivano fino in fondo alla nostra. Si consegna Tintoretto con questo ritratto, sì, logorato da un’esistenza pienamente vissuta con i suoi dolori e le sue gioie, le sue conquiste e i suoi fallimenti, fiero di aver combattuto per essa e mostrando di essere ancora in grado di battersi. Come direbbe Cézanne: “Io amo questo…”
CENNI BIOGRAFICI. Roberta Tosi si occupa d’arte studiando, scrivendo e curando mostre. Tra un percorso e l’altro, come critica e storica dell’arte, si è iscritta all’ordine dei giornalisti come pubblicista. La passione per la “carta” non l’è mai passata e ha avuto il piacere e l’onore di collaborare con CeramicAntica e dirigere il magazine PitturAntica della stessa casa editrice di Ferrara (Belriguardo). Ha avuto anche l’opportunità di collaborare con la GAM, la Galleria d’arte moderna e contemporanea di Verona. La sua amicizia e collaborazione con l’allora direttore Giorgio Cortenova l’ha portata ad approfondire sempre più anche l’arte contemporanea. Poi la sua professione si è arricchita di incontri, conferenze, convegni, festival e atelier d’arte. Tra sue sue pubblicazioni ricordiano: L’eterna via dell’Arcadia in Il Settimo splendore, a cura di G. Cortenova (2007, Ed. Marsilio), Cronache dal fronte: l’arte di Fred A. Farrell, in La Generazione perduta. Atti del convegno internazionale (2017, Ed. Delmiglio) L’Arte di Tolkien (2018, Agenzia Alcatraz), il primo saggio italiano dedicato all’attività di illustratore e disegnatore dell’autore inglese, e Tintoretto. L’artista in Italia (2019, Ed. Odoya), di cui ci ha parlato in questa intervista. Ha in lavorazione un altro volume per Odoya.