JAN VERMEER: LA LUCE E IL COLORE

MILANO. Vermeer nacque a Delft, in Olanda, nel 1632. La sua formazione artistica si attua sotto l’influenza delle innovazioni stilistiche apportate alla pittura da Rembrandt. Vermeer è stato un pittore che ha praticato la sua arte in modo lento e attento: la sua produzione pittorica non raggiunge il numero di 40 quadri, in circa venti anni di attività.

A differenza di Rembrandt che ha lasciato numerosi disegni e straordinarie opere grafiche, su tutte le sue magnifiche incisioni, acqueforti, Vermeer sembra non abbia lasciato lavori grafici e nessun disegno gli si può attribuire con certezza.

L’organizzazione dei quadri del pittore olandese è una combinazione di meticolosi dettagli per l’oggetto singolo, di sistemazione di quell’oggetto entro uno spazio geometrico precisamente formulato e attraversato da modulazioni della luce mai realizzate prima da nessun artista.

Nelle sue opere migliori Vermeer raggiunge un impareggiabile grado di abilità nella rappresentazione dello spazio e una notevole perfezione tecnica nel dipingere i soggetti.

Attraverso l’illuminazione di una equilibrata e armonica realtà, si trasmette un senso di eternità, determinato dalla maestria del pittore nell’uso del colore e del pennello.

Di quanto questo artista sia stato particolarmente un attento interprete della luce lo testimonia il fatto che fu riscoperto con entusiasmo crescente proprio da artisti che hanno fatto della loro pittura luminosa un simbolo, gli Impressionisti del XIX secolo. Infatti in Vermeer la luce, lungi dall’essere artificiale, è riprodotta con tale precisione da apparire naturale, un potenziale straordinario che potè essere apprezzato pienamente solo due secoli più tardi.

Oggi sappiamo che l’artista si servì, per realizzare molte delle sue opere, della camera oscura, evidenziandone gli effetti come i bordi sfocati. In questo modo i suoi lavori hanno acquistato un carattere “astratto”, senza pretendere di rendere la realtà così com’è, ma come la si vede, in una percezione frammentata dal mezzo di riproduzione, quindi la camera oscura diventa una fonte di stile. Sono tutte queste particolari attenzioni che fanno di Vermeer il terzo grande rappresentante della pittura olandese dell’“età d’oro”, a fianco di Rembrandt e di Frans Hals.

Anche un altro grande olandese, Vincent Van Gogh, si interessò alla pittura di Vermeer, specialmente per gli accostamenti cromatici. Possiamo dire che con Vermeer sparisce il mito dell’azione e, per la prima volta nella storia dell’arte, il soggetto del quadro diventa l’oggetto della visione.

Sicuramente il quadro più importante di questo artista è “La lattaia”, e qui la pittura “di genere” ha perso l’ultima traccia di bizzarria perché le pitture di Vermeer sono vere nature morte con esseri umani. Questo quadro, così dimesso, semplice, rimane uno dei più grandi capolavori d’ogni tempo, ha qualcosa di miracoloso nel modo in cui il pittore raggiunge una completa e faticosa esattezza nella rappresentazione dei tessuti, dei colori e delle forme senza che il quadro appaia mai travagliato o duro. Contorni ammorbiditi ma che contengono sempre l’effetto di solidità e fermezza.

E’ questa combinazione strana e unica di morbidezza e precisione che rende indimenticabili i suoi quadri. Essi ci fanno vedere con occhi nuovi la bellezza tranquilla di una scena consueta, comunicandoci l’emozione che l’artista provò nell’osservare il miracolo della luce che sfuma, definisce e costruisce una scena. Vermeer muore a Delft nel 1675.

ALFONSO TALOTTA