“La digital art? Quella fatta col computer? Beh, quella non è arte”. Spesso ho sentito pronunciare questa frase da molti sedicenti “esperti” secondo i quali i ritrovati della tecnologia non possono essere assimilati a strumenti di una tecnica esecutiva. “L’arte si fa col pennello e i colori o con lo scalpello”, continuano i sedicenti “esperti”. Tutto il resto è altro. Tutto il resto è noia, se volessimo prendere a prestito, un po’ liberamente, il titolo della famosa hit di Franco Califano (https://www.youtube.com/watch?v=s-rulfPyxuM). “Cosa ci vuole? – chiosano”. “Basta scattare una foto, applicare qualche filtro o effetto, fare clic sul pulsante stamp ed ecco la sedicente opera d’arte”. Questa visione dell’arte digitale lascia il tempo che trova nel momento in cui si realizza che la digital art non si risolve nella stampa di un file più o meno modificato. Essa è invece una tecnica molto diversificata: ogni digital artist non è uguale all’altro, usa gli strumenti multimediali in modo personale, così come ogni pittore che usa l’olio o altri pigmenti lo fa in modo diverso da un altro autore. Il “processo” creativo è ugualmente lungo, paziente ed elaborato. I famosi “pentimenti”, cioè le “correzioni” apposte dagli artisti durante o appena dopo l’esecuzione di un’opera, possono essere tanti in entrambi i casi. E lasciare traccia in entrambi. Dunque una tela dipinta o una tela stampata non sono due entità diverse, sono due universi artistici differenti. Mi viene da pensare che Leonardo da Vinci, il più grande sperimentatore della storia dell’arte, tanto da azzardare, sbagliando, che si potesse velocizzare l’asciugatura del suo famoso Cenacolo (https://www.cenacolo.it) con dei bracieri, avrebbe maneggiato con piacere una tavoletta grafica, un computer o qualche altro marchingegno tecnologico. Anche a costo di sbagliare. Che ne dite?
AUTORE: SIMONE FAPPANNI © RIPRODUZIONE DEL TESTO RISERVATA