LA GALLERIA RICCI ODDI, UNO SCRIGNO D’ARTE NEL CUORE DI PIACENZA: OPERE DI KLIMT, HAYEZ, FATTORI, DE PISIS, FONTANESI, BOCCIONI E DI MOLTI ALTRI MAESTRI

La Home page del sito della Galleria d’Arte Moderna “Ricci Oddi”

PIACENZA.Uno “scrigno d’arte” nel cuore di Piacenza. Così può essere definita la Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi (www.riccioddi.it). Realizzata nell’elegante palazzo progettato dall’architetto Giulio Ulisse Arata (1881 – 1962) ed inaugurata l’11 ottobre 1931 alla presenza di Umberto e Maria Josè di Savoia, conserva opere particolarmente significative di molti maestri otto-nocevecenteschi.

Una storia d’altri tempi è quella che ha sancito la nascita della Galleria. Corre infatti il 1897, ricorda un opuscolo che accompagna i visitatori, qui utilizzato come fonte per i dati essenziali, quando l’industriale Giuseppe Ricci Oddi (1868 – 1937) acquista i primi due quadri (“Donna Novara” di G. Previati e “Pecore tosate” di F. Filippini) di quella che, poco a poco, diverrà la sua inestimabile collezione.

Nel 1924, con grande spirito filantropico, Ricci Oddi dona tutte le opere che possedeva alla città di Piacenza, finanzia la costruzione della Galleria e offre un fondo non solo per mantenerla in vita, ma anche per consentire l’acquisto di altri pezzi. Incremento che, nel 1937, è favorito dalla spontanea donazione di F. De Pisis dell’eccezionale dipinto “Vaso con fiori e pipa”, appena ultimato.

Altre donazioni, anche in momenti recenti (si ricordano, a titolo esemplificativo, quella dei lavori di M. Cavaglieri, nel 1994, e quelli di E. Rizzi, nel 2000) hanno fatto sì che la Ricci Oddi continuasse ad arricchire il proprio patrimonio. La Galleria si compone di mumerose sale espositive tematiche, una saletta didattica e uno spazio per mostre temporanee. S’inizia con le scuole artistiche regionali, più precisamente con artisti emiliani, toscani, liguri e piemontesi, lombardi, meridionali, veneti (rispettivamente nelle sale I, II, III, VII, XV, XIX), si passa poi per gli orientalisti (sala IV), gli scapigliati (sala VIII) e i piacentini (sala X ), non senza dimenticare interessanti simbolisti (XVII) e pittori stranieri (XVIII). Tre le sale monografiche: quella dedicata ad Antonio Fontanesi (sala V) e ai cosidetti “fontanesiani” (VI), quella riservata a Stefano Bruzzi (sala XI), quella per Antonio Mancini (XII) e, infine, quella che ospita i lavori di Vincenzo Irolli (XVI). Come si può facilmente desumere da questa panoramica, sono assenti i pittori d’avanguardia. “Ricci Oddi”, leggiamo nell’opuscolo di cui abbiamo fatto cenno in apertura, “interprete di un gusto moderatamente conservatore, non amava le avanguardie, che considerava vere e proprie degenerazioni: (con ciò, ndr) si spiega come manchino nella sua Galleria i futuristi… o altri esponenti dei principali movimenti che agitarono il secolo. Sono ben rappresentati invece i simbolisti, come G. A. Sartorio, P. Nomellini o M. De Maria…”.

Dal momento che pare davvero impossibile considerare, in poche righe, tutte le opere presenti nella raccolta, ci limitiamo a segnalarne alcune tra le più significative. “La culla vuota” di G. Segantini, permeata da un cupo ed avvolgente nero dove una flebile luce sospesa lascia intravedere la disperazione di una madre per un evento che è facile supporre alquanto tragico; “Amaro calice”, un lavoro in cui T. Cremona lavora con la consueta raffinatezza specie sui rossi: quello delle labbra e quello del contenuto del calice; intensi sono tutti i dipinti agresti di Stefano Bruzzi in cui, fra abili giochi di luce, s’intravedono pastori, pastorelle, campi e pecore; “Ritratto di B. Barilli” di M. Campigli e “Ritratto d’uomo” di F. Hayez, due lavori di profonda forza introspettica; “Ritratto della madre” di U. Boccioni, con un tratteggio ritmico-espressivo disinvoltamente straordinario; “Le ninfe” di E. Tito, sospese in una danza silenziosa e coinvolgente; “Aspettando” e “Sosta di cavalleria” di G. Fattori, inconfondibili prove della grande capacità di sintesi di questo autore. Si potrebbe continuare per pagine intere, ma crediamo che, già da questi esempi, si possa cogliere il tenore delle opere esposte a Piacenza.

Per completezza aggiungiamo che com’è noto, è tornato al suo posto nella collezione il “Ritratto di signora” di G. Klimt, “sparito” nel lontano 1997 e recentemente ritrovato.

AUTORE: SIMONE FAPPANNI – RIRODUZIONE RISERVATA