MILANO. Da qualche giorno le cronache d’arte si occupano di un caso che sta facendo davvero scalpore: lo scultore transalpino Daniel Druet è in procinto di portare in un’aula di tribunale Maurizio Cattelan, fra i maggiori artisti contemporanei, per ottenere un cospicuo risarcimento.
Il motivo? Druet, che ha materialmente realizzato nove fra i pezzi più noti dell’artista padovano, fra cui Him, che rappresenta Hitler improbabilmente inginocchiato mentre prega, sostiene che Cattelan, il gallerista Perrotin e lo spazio museale Monnaie de Paris che ha ospitato la mostra “Not afraid of Love”, allestita nel 2006, non lo abbiamo adeguatamente nominato nel volume che ha accompagnato la rassegna e nei relativi credits.
Per completezza va detto che Druet ha comunque ammesso d’essere stato regolarmente pagato per l’esecuzione di quei lavori, naturalmente con cifre nettamente inferiori – com’è logico – dalle stellari battiture all’asta spuntate dalle opere in questione.
Al di là dei risvolti giudiziari che si andranno a dibattere nelle sedi opportune, a noi interessa porre in evidenza un’altra questione, quella della paternità dell’opera d’arte. In altre parole: essa appartiene a chi ha ideato l’opera oppure a chi materialmente l’ha eseguita?
Molto commentatori hanno fatto osservare che, guardando al passato, la questione potrebbe trovare una rapida soluzione: infatti, non di rado anche grandi maestri si sono serviti di maestranze per completare o eseguire opere. A confermarlo sono anche le didascalie di cataloghi e musei che parlano, a ragione, di “collaborazioni” e “aiuti”.
Detta così, non ci sarebbe neppure spazio per una discussione su chi attribuire la paternità dell’opera da ascrivere a chi l’ha ideata e, caso mai, ne ha seguito le fasi realizzative.
In questo caso specifico, però, la questione, è più complessa, in quanto, leggendo più approfonditamente le dichiarazioni dello scultore, pare di capire che Druet sostenga di ricevuto solo generiche indicazioni per eseguire i lavori, non una specifica e approfondita collaborazione e “regia” da parte di Cattelan.
Queste le parole esatte di Druet rilasciate a Pascale Nivelle apparse sulle colonne de “Le Monde” del primo maggio 2022: «Il (Cattelan, ndr) envoyait un fax de dix lignes ou bien ses collaborateurs italiens, qui parlaient à peine français, me donnaient quelques instructions. Tout ça était assez vague, et c’était à moi de me débrouiller».
Quindi, se così fosse, ammettiamolo soltanto come pura ipotesi, dato che, come detto, ancora tutto è al vaglio della magistratura francese, cioè se Cattelan avesse effettivamente dato solo poche e scarne indicazioni, a chi sarebbe da ascrivere l’opera? A lui, che comunque ha ideato l’opera, a Druet oppure a entrambi?
A mio parere tutta la vicenda va inserita in un contesto specifico: ovvero il “tipo” di arte che pratica Cattelan. Il quale non è come un artista “tradizionale”, mi si passi il termine, che si mette davanti alla tela bianca e con matita e pennelli realizza un dipinto.
La sua arte prevede la concettualizzazione dell’opera, mentre la realizzazione è affidata ad altre mani. Se si ragiona in questo modo credo che la paternità sia da ascrivere completamente a lui. Ma, ripeto, è un parere personale.
AUTORE: SIMONE FAPPANNI