LA PELLE, LA CARTA, LA TELA: LA CREAZIONE E L’IMMORTALITÀ DELL’OPERA D’ARTE

Alfonso Talotta, Forma Continua, 2020, olio su tavola intelata, cm. 50×70, courtesy of the Artist

VITERBO. Perché qualsiasi persona di qualsiasi età ed estrazione sociale conosce, almeno a grandi linee, le vicende narrate nella Divina Commedia? Come mai tutti sappiamo la storia di Romeo e Giulietta o quella dei mulini a vento del Don Chisciotte? Sono queste alcune delle domande che si trovano all’origine di questo scritto.

Il titolo di questo testo fa riferimento alla dimensione umana e a quella artistica, da sempre in contatto. Con “pelle” si fa riferimento all’artista, l’uomo reale che produce arte e che, come il lettore, è destinato a morire, mentre i termini “carta” e “tela” si riferiscono rispettivamente alla letteratura e alla pittura, due sfere creative dall’essenza immortale, che emergono nelle due opere trattate in questo studio.

In Niebla, romanzo di Miguel de Unamuno (Bilbao, 29 settembre 1864 ― Salamanca, 31 dicembre 1936) pubblicato nel 1914, emergono perfettamente queste tematiche. La nebbia cui si fa riferimento nel titolo è la rappresentazione della confusione della nostra dimensione, nella quale spesso non è facile scindere la realtà dalla finzione. Tale senso di spaesamento è avvertito dal lettore dell’opera sin dall’inizio, a causa delle particolarità del prologo e del post-prologo. La prima di queste due sezioni è una sorta di autoparodia dei saggi brevi di Unamuno e serve a separare l’autore implicito testuale da quello storico, rompendo l’illusione di verosimiglianza. Essa è affidata a Víctor Goti, che contemporaneamente è anche un personaggio del romanzo, amico del protagonista Augusto Pérez e conoscente dell’autore Unamuno.

Nel post-prologo Unamuno chiarisce alcune affermazioni dell’autore del prologo e rivendica il suo libero arbitrio, esercitato nell’uccidere Augusto, che quindi non si sarebbe suicidato di sua volontà, come sostenuto da Goti nella sezione precedente.

Questa parte che precede i capitoli del romanzo inizia già a generare confusione nella mente del lettore, che non solo inizia a nutrire i primi dubbi sul modo in cui è avvenuta la morte del protagonista, ma, più avanti, è anche sconcertato circa l’autorialità della storia. Ad esempio, nel capitolo XVII, Goti informa Augusto che sta scrivendo una nivola, genere di cui farebbe parte anche Niebla ma che rientra in quello della novela. La descrizione della nivola gotiana richiama immediatamente l’attenzione del lettore, che rileva in essa molte caratteristiche presenti in quella unamuniana che sta leggendo.

Tale senso di disorientamento raggiunge il culmine nel capitolo XXXI. Infatti, dopo molte disavventure, Augusto Pérez desidera suicidarsi, ma prima di questo gesto vuole incontrare un autore che ha trattato il tema del suicidio in alcuni saggi: Miguel de Unamuno, contemporaneamente autore del testo che si sta leggendo e personaggio dello stesso. Infatti, Augusto, oltre ad agire nel mondo dei personaggi, subentra anche in quello reale di don Miguel, a Salamanca, nell’ufficio dello scrittore. Allo stesso tempo, Miguel de Unamuno si introduce nella narrazione in veste di personaggio: realtà e finzione si mescolano, è difficile scindere i due mondi, né è facile assegnare i ruoli.

Dal colloquio con Unamuno, il protagonista scopre che non può suicidarsi come vorrebbe, semplicemente perché non esiste, è solo un ente di finzione, frutto della fantasia dell’autore. Eppure, dopo un iniziale senso di spaesamento, questo paseante de la vida è successivamente in grado di affermare la sua posizione di essere reale, non immaginario, ribellandosi al suo interlocutore. In effetti, egli può percepirsi fisicamente e prova delle emozioni; inoltre, se Unamuno sta intrecciando un dialogo con lui, automaticamente sta concedendo alla sua creatura un’identità altra, a sé. Addirittura, Augusto insinua che il personaggio di finzione, nonché mezzo per trasmettere la sua storia, potrebbe essere proprio Miguel de Unamuno.

Interessante è la reazione dello scrittore di fronte a questa sua creatura così decisa: d’un tratto, si allarma come se temesse qualcosa e appare impacciato; tuttavia, anche la sicurezza che emerge dalle affermazioni di Augusto sembra successivamente venire meno. Don Miguel, ormai stufo, minaccia di far morire Augusto non appena questi tornerà a casa. A questo punto, Pérez, che nelle ultime pagine ha espresso il desiderio di morire in seguito alle sue sofferenze, ora rivendica di voler vivere. Unamuno afferma che la morte di Augusto è già stata scritta, dunque è inevitabile, ma prima di andarsene, il protagonista sostiene che anche il suo creatore e i suoi lettori non sono altro che enti nivoleschi, dunque destinati a decedere quando Dio smetterà di sognarli.

Ciononostante, nel capitolo successivo, Augusto scopre che dalla sua inesistenza deriva la sua immortalità: alla luce di ciò, inizia a mangiare fino a morire di indigestione, ma non verrà svelato se questa tragica fine sia stata meditata da lui o se sia stato fatto morire così per volere di Unamuno.

La lettura di questo romanzo suggerisce che l’interesse prevalente dell’autore consiste nell’indagine del desiderio umano di non morire del tutto. In virtù di ciò, il Dio di Unamuno, che ci crea continuamente, è garanzia di immortalità, sopravvivenza e salvataggio dall’annullamento.

Tuttavia, chiunque è consapevole che i personaggi romanzeschi e le loro storie sono inventati, ed è proprio questo carattere fittizio che inquieta lo scrittore, poiché le loro esperienze insostanziali rimarranno nella nebbia del nulla. I personaggi non hanno una sostanzialità in quanto frutto del sogno dell’autore, così come la vita umana è frutto del sogno di Dio. Per questo, lo scrittore di Bilbao cerca di sognare un sogno per più di una volta, in modo tale che tutti possano rivivere e tornare ad essere, raggiungendo l’eternità.

Applicando quanto esposto ad Augusto Pérez, si può quindi affermare che egli, sprovvisto di esistenza, non muore in nessun caso, anzi, vivrà come soggetto nel suo mondo; Miguel de Unamuno, invece, morendo il 31 dicembre 1936, sarà eternamente un oggetto nel nostro mondo. La scena dello scontro verbale costituisce uno sforzo, da parte di Unamuno, di raggiungere l’immortalità, assicurandosi di apparire nel contesto letterario, in cui sarà per sempre immortale. D’altro canto, egli è consapevole che così facendo diventerà automaticamente parte di un mondo fittizio, un ente di finzione, pertanto non riuscirà mai a trovare il suo io sostanziale.

Prendendo in considerazione il romanzo di Oscar Wilde (Dublino, 16 ottobre 1854 ― Parigi, 30 novembre 1900) Il ritratto di Dorian Gray, precedente a Niebla di ben ventiquattro anni, si possono notare alcune corrispondenze con il libro di Unamuno, la più saliente delle quali è sicuramente legata al tema artistico. Infatti, il giovane esteta Dorian rimane affascinato dal ritratto a lui dedicato, tanto da desiderare di acquisire le caratteristiche della fissità e dell’immutabilità, rimanendo eternamente giovane e bello, sperando che a invecchiare e a mostrare i segni del peccato sia la tela. Il desiderio del ragazzo si avvera, ma dopo molte peripezie in seguito alle quali ad una corruzione dell’anima di Gray corrisponde una degradazione del dipinto, egli finisce per disperarsi. Dunque, alla vigilia del suo trentottesimo compleanno, in una sorta di scontro tra creatore e creatura, Dorian Gray uccide Basil Hallward, autore dell’opera che si è convertita nella sua anima. Infine, è proprio per mettere a tacere la sua anima che decide di accoltellare quel quadro che ormai detesta, ma ciò che accade è straordinario: a morire e a mostrare i segni del tempo e della vergogna sarà il modello stesso, non la tela, che, al contrario, riacquista lo splendore originario.

Da questi due romanzi si evince la costante preoccupazione umana in merito all’arte e alla letteratura, prossime alla realtà ma superiori ad essa. Una realtà fatta di uomini, esseri imperfetti, eternamente alla ricerca di qualcosa che vada oltre la loro finitezza, di qualcosa che dia loro la sicurezza di essere ricordati per sempre. A tale proposito, è opportuno ricordare un pensiero di Miguel de Unamuno che emerge da Del sentimiento trágico de la vida (1912): addentrandosi in se stesso, l’uomo scopre di essere inutile, insignificante, finito, dunque sente pena per la sua persona. Questo ragionamento è fondamentale per comprendere le inquietudini dei protagonisti delle due opere esaminate, poiché anch’essi provano questa sensazione di miseria. In effetti, Augusto Pérez si rende conto di voler vivere come un essere umano quando gli viene svelato che egli è pura finzione, il frutto del sogno di un’entità superiore; Dorian Gray, diviene dapprima consapevole della sua bellezza e si lascia affascinare dal piacere e dalle passioni più basse, poi rimane sconvolto dai segni sul ritratto, che riproducono i limiti e le ombre della sua anima. Messi di fronte alla realtà dei fatti, i due personaggi lottano per avere la meglio e prevalere sull’eternità dell’arte, ma soccombono. Per quanto riguarda Dorian Gray, è palese che sia l’arte a vincere sull’uomo. Tornando al suo aspetto iniziale, il quadro dimostra di essere sempre stato estraneo alle preoccupazioni umane e di aver fatto sempre parte dell’immortale universo dell’arte.

Nel caso di Augusto Pérez è più complesso stabilire le sorti finali, ma ugualmente possibile. Trovandosi nel mondo eterno dell’arte, il protagonista, morendo, guadagna qualcosa in più: diventa immortale, rimanendo per sempre vivo nella mente dei suoi lettori, che lo faranno rivivere leggendo la sua storia. Augusto muore en carne de espacio, continuando però a vivere en carne de sueño, en carne de conciencia, come tutti quei personaggi letterari che non saranno mai dimenticati. Anche in questo caso, l’arte regna sovrana, sopravvivendo all’uomo.

AUTRICE: CORINNA TALOTTA

Figlia dell’artista viterbese Alfonso Talotta, Corinna Talotta è nata a Viterbo, dove tutt’ora risiede, il 28 marzo 1997. È da sempre appassionata di lingue straniere, di letteratura e di arte in generale.

Dopo la maturità linguistica, nel 2016 si iscrive alla facoltà di Lingue e Culture Moderne dell’Università degli Studi della Tuscia (VT), dove consegue la laurea triennale il 10 dicembre 2019, con una tesi in letteratura spagnola intitolata Antonio Machado: canzoni di Castiglia. Per gli studi specialistici si iscrive alla facoltà di Lingue e Culture per la Comunicazione Internazionale presso lo stesso ateneo, laureandosi il 15 febbraio 2022, nuovamente con una tesi in letteratura spagnola, il cui titolo è La pelle, la carta, la tela: la creazione e l’immortalità dell’opera d’arte.

Attualmente, impartisce corsi pomeridiani di lingua spagnola per gli studenti della scuola primaria e del liceo scientifico del Complesso Scolastico Cardinal Ragonesi (VT).