LA PROSPETTIVA ROVESCIATA DI: PAVEL FLORENSKIJ

La copertina del libro

MILANO. Spesso, per non dire nella totalità dei casi, le immagini, siano esse immagini di un paesaggio, un particolare soggetto, un’allegoria, o qualsiasi altra proposizione che abbia un contenuto, questo non è mai, nel suo essere, solo ciò che appare.

Florenskij, ingegnere e sacerdote, assassinato da Stalin, si avvicina a una visione mistica del modo di guardare alle immagini prodotte dall’arte.

Il concetto di ilemorfismo universale viene rivalutato operando una sostanziale scissione, fra materia e forma e il modo di intendere gli aspetti significanti, pur mantenendo l’unita del soggetto. All’approccio visibile si affiancano una dimensione visvo e misticheghiante fino ad arrivare, in apparenza, all’ossimoro di poter vedere la parola: ” verbum caro factum est et abitavit nobis et videmus gloria eius”.

Da queste parole più che note che danno il via all’angelus si dipana un saggio denso e pregno, tanto di speculazione e quanto di afflato fideistico,”La prospettiva rivesciata” (Adelphi)

Filosofo, matematico e teologo, Florenskij è considerato per il suo eclettismo una sorta di “Leonardo da Vinci russo”.

Nacque a Yevlax (località nel distretto di Dževanšar, entro i confini dell’attuale Azerbaigian). Il padre, Aleksandr Ivanovič, era un ingegnere che lavorava alla ferrovia transcaucasica; la madre Ol’ga Pavlovna Saparova, era discendente di una nobile e colta famiglia armena. La famiglia si trasferì a Tbilisi, in Georgia, dove Pavel studiò fino al compimento dei 18 anni, per poi giungere l’Università di Mosca.

Nel corso degli studi aveva dimostrato uguale amore per la matematica, la teologia e la filosofia. Si di laureò in matematicae fisica, nel 1904 von. Bugaev (uno dei più eminenti matematici russi dell’epoca e presidente della Società Matematica di Mosca, nonchè fondatore dell’aritmetologia come teoria delle funzioni discontinue).

Quindi cominciò la frequenza l’Accademia teologica di Mosca per approfondire lo studio delle lingue antiche e delle scienze bibliche esegetiche.

Poco dopo pubblicò numerosi scritti di argomento teologico, filosofico, spirituale, senza trascurare le ricerche matematiche, interessandosi anche alle tematiche epistemologiche.

Nel 1906, pronunciò, all’Accademia teologica, il sermone Il grido del sangue contro una condanna a morte: questo gli costò i primi tre mesi di reclusione, poi commutati in grazia, ma tanto bastò per metterlo nel mirino delle autorità russe con il bollino di socialmente pericoloso.

Nel 1908, anno della morte del padre, conseguì la Licenza in Teologia. Il 23 settembre fu invitato a ricoprire la cattedra di Storia della Filosofia, dove ottenne grande successo tra gli studenti e i ricercatori per la profondità delle riflessioni filosofiche e scientifiche e per l’originalità didattica. Nel 1910 sposò Anna Michaijlovna Giacintova, dalla quale nel 1911 avrà il primo figlio. Il 24 aprile 1911 viene ordinato sacerdote della Chiesa ortodossa. Indossa l’abito talare che non toglierà più fino alla deportazione. È nominato docente straordinario di filosofia e tiene lezioni di storia delle idee, unitamente ad approfondimenti sul concetto di infinito nelle logica simbolica e matematica.

Dal 1911 al 1917 dirige la prestigiosa rivista “Messaggero Teologico” di cui rinnova contenuti e impostazione. Nel 1914 pubblica quello che oggi viene definita “summa del pensiero teologico ortodosso”, capolavoro del pensiero filosofico-teologico contemporaneo: La colonna e il fondamento della verità. Saggio di teodicea ortodossa in dodici lettere.

È il pioniere di un nuovo orientamento di pensiero in campo teologico e scientifico, capace di contrastare l’avanzata del pensiero nichilista. Dopo la rivoluzione del 1917, diversamente da molti intellettuali che scelsero l’esilio, teorizzò la necessità di una forte resistenza interna a fianco di chi subisce soprusi e violenze. Tra il 1918 e il 1922 (anno in cui l’amico filosofo, teologo e prete ortodosso Sergej Nikolaevič Bulgakov accettò la scelta dell’esilio parigino) tenne alcuni cicli di conferenze all’Accademia libera di cultura spirituale fondata dal filosofo Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev (uno dei primi dissidenti antibolscevichi, espulso dalla Russia nel 1922, emigrò anche lui in Francia, dove visse fino alla morte: soprannominato “il filosofo della libertà”, fu uno dei maggiori esponenti dell’esistenzialismo e dell’anarchismo cristiano). Florenskij divenne docente di “Analisi della spazialità nell’opera d’arte”. Ha scritto illuminanti interpretazioni dell’arte e del significato spirituale delle icone, contrapponendo l’arte ortodossa orientale alla pittura paganeggiante.

Per Florenskij Arte, Bellezza e Fede religiosa sono una cosa unica: “Fra tutte le dimostrazioni filosofiche dell’esistenza di Dio suona la più persuasiva quella cui non è fatta menzione nei manuali e si può formulare con il sillogismo: Esiste la Trinità di Rublëv, perché Dio è”.

Potette continuare a pensare e pregare, forse anche scrivere abbastanza indisturbato per qualche anno, dopo la Rivoluzione: infatti contemporaneamente, e in modo originale, lavorava in settori che interessavano al potere sovietico: condusse ricerche scientifiche nel settore della fisica, curando molte voci dell’ Enciclopedia Tecnica e collaborando con l’Istituto di Stato.

Tuttavia nel 1924, venne imprigionato con l’accusa di “oscurantismo” e incluso, come gia si diceva, nel novero dei soggetti socialmente pericolosi. Condannato al confino ma la sentenza viene poi annullata. Rifiutò la proposta di esilio a Parigi scegliendo di condividere le sorti dei compagni e amici vittime della stessa violenza. Ebbe ancora la possibilità di lavorare e di scrivere per qualche anno, pur circondato da una crescente e palpabile ostilità.

l 26 febbraio 1933 Florenskij venne nuovamente arrestato e condannato a dieci anni di Gulag e più tardi trasferito in un campo di prigionia presso le isole Solovki, nel Mar Bianco dove, al posto di un antico monastero, era stato eretto il primo campo di detenzione e “rieducazione” comunista. Nonostante il freddo e i disagi, continuò a portare avanti le ricerche di sempre, come quelle sul gelo perpetuo o sull’estrazione dello iodio. Realizzò alcune scoperte scientifiche, come quella di un liquido anticongelante. Due o tre volte al mese, secondo i permessi, scrisse lettere appassionate e struggenti ai famigliari, alla moglie, alla madre e ai figli. Nell’estate del 1934 ricevette la visita della moglie e dei tre figli più piccoli. Sarà l’ultimo congedo dalla famiglia.

L’8 dicembre del 1937 venne fucilato, assieme ad altri 500 detenuti, nei boschi intorno a Leningrado. Come ha scritto in una lettera: “Nulla si perde completamente, nulla svanisce, ma si custodisce in qualche tempo e in qualche luogo, anche se noi cessiamo di percepirlo”.

LUCA NAVA

Fra i suoi testi, oltre a quello qui proposto, segnalo “l’infinito nella coscienza” e “Al confine dei mondi”.

Bibliogragia in lingua italiana:

R. SCALFI, Pavel Alaksandrovic Florenskij, teologo e scienziato, in “Scienza e Fede.

I protagonisti”, De Agostini, Novara 1989, pp. 261-267;

N. VALENTINI, Memoria e Risurrezione in Florenskij e Bulgakov, Pazzini, Verucchio 1997;

N. VALENTINI, Pavel A. Florenskij: la sapienza dell’amore. Teologia della bellezza e linguaggio della verità, EDB, Bologna 1997;

L. ZÁK, Verità come ethos. La teodicea trinitaria di P.A. Florenskij, Città Nuova, Roma 1998; G. LINGUA, Oltre l’illusione dell’Occidente. P.A. Florenskij e i fondamenti della filosofia russa, Zamorani, Torino 1999;

N. VALENTINI, La presenza di Agostino in P..A. Florenskij, in AA.VV., Interiorità e persona. Agostino nella filosofia del Novecento (a cura di L. Alici, R. Piccolomini, A. Pieretti), Città Nuova, Roma 2001, pp.253-276.