LA SCULTURA DI MARIO COPPETTI AL MUSEO DEL VIOLINO IN UN’AMPIA RETROSPETTIVA

Mario Coppetti, La morte bianca

CREMONA. La mostra aperta fino al 22 maggio presso il Museo del Violino (Padiglione Amati) dal titolo “Nell’atelier dell’artista. Il Novecento di Mario Coppetti” che si avvale della curatela di Rodolfo Bona e della collaborazione di Silvia Coppelli, entrambi firmatari del ricco catalogo a corredo dell’evento, vuole essere un omaggio da parte della fondazione a lui dedicata, all’artista cremonese a quattro anni dalla scomparsa. Coppetti, classe 1913, ha attraversato il Novecento europeo e padano  con una ricca messe di sculture e di opere plastiche (in mostra ne figurano novanta provenienti dal suo studio di via Chiara Novella grazie alla gentile concessione della figlia Silvia) in bronzo, marmo bianco, terracotta, gesso e legno che attestano una continuità creativa che, a partire dai primi anni Trenta, si è protratta sino al 2018, anno del suo congedo dal mondo e dalla sua amata terra cremonese.

Le radici padane sono irrinunciabilmente sottese nelle sue creazioni; la fatica, i disagi, la dignità nella sofferenza della classe contadina e della gente comune si riverberano nella scultura dal titolo “La Morte bianca” (1994 circa) che raffigura un soldato morente per assideramento durante la campagna di Russia della seconda guerra mondiale.

Questa scultura ha un forte valore emblematico sul piano estetico, etico e morale in quanto introduce il visitatore in una stupefacente ridda di opere dall’accentuato pathos frutto di una ricerca espressiva mai disancorata dall’impegno civile da parte del maestro divenuto per Cremona un personaggio-simbolo di grande luminosità. Formatosi alla scuola di Arti e mestieri “Ala Ponzone” fra il 1928 e il 1932 sotto la guida di Ettore Denti, Coppetti lavorò in seguito come apprendista nel laboratorio del marmista Giovanni Checchi e come aiuto nello studio di Dante Ruffini, allievo di Alceo Dossena, partecipando fra il 1930 e il 1932 ai lavori di restauro di Palazzo Fodri.

Del maestro Ruffini Coppetti recepì “la sensibilità e la finezza” che lo stimolarono ad intraprendere il suo viaggio scultoreo e plastico all’insegna dell’equilibrio, dell’armonia, della compostezza, della fedeltà al vero rivisitato e interpretato con la forza del sentimento e dell’introspezione psicologica. L’asse su cui si impernia la produzione di Coppetti è la figura umana e il ritratto che sostanziano il suo umanesimo religioso e civile mutuato dall’arte sacra, dalla passione per l’antichità greca ed ellenistica, il Rinascimento, la lezione di Rodin che recepì nel suo soggiorno parigino scelto volontariamente per sottrarsi alla deriva antidemocratica del Fascismo.

Qui, mentre lavorava a bottega da un marmista, eseguì nel 1938 il celebre busto “Mia madre” presentato, nello stesso anno, al Salon des artistes français, raccogliendo ampi consensi da parte della critica dell’epoca che gli riconobbe una fedeltà e un gusto delicato per l’arte classica uniti a una sensibilità artistica non comune e a un animo profondo. Il volto della madre reso con grande realistica espressività non è però disgiunto da una penetrazione psicologica ed affettiva di straordinaria efficacia e da una tensione contemplativa che lo eternizza.

Altre creazioni del periodo parigino sono il “Ritratto di Marie Josè  e di Gerald Fouchard” del 1937 fusi in bronzo solo nel 2018, la cui vitalità trae origine anche da una sapiente ricognizione fisiognomica e psicologica. Non mancano poi i ritratti di Carlo Rosselli e dello scrittore Henri Barbusse legati alla militanza politica, antifascista e comunista. Coppetti aderì alla rivista «Giustizia e libertà» diretta da Carlo Rosselli, assassinato insieme al fratello Nello dai miliziani della “Cagoule” (gruppo eversivo di estrema destra) in combutta con i servizi segreti fascisti. Per finanziare questa impresa editoriale, forgerà un medaglione di Carlo Rosselli replicato più volte che gli costerà, una volta rientrato in Italia, non pochi problemi con l’OVRA (Opera Volontaria di Repressione Antifascista) e un domicilio coatto. Dopo il diploma conseguito agli inizi degli anni Quaranta presso il prestigioso Istituto d’arte “Toschi” di Parma Coppetti affiancò all’attività fervida di scultore (si ricordi in particolare le opere “Testa di bimbo” in marmo e “Testa di cavallo” del 1948 dalla forza espressiva di ascendenza ellenistica, “Pudore” in bronzo del 1947, “Eva” in  terracotta dipinta, “Testa di Cristo” in bronzo entrambi del 1949) quella di docente di disegno e di storia dell’arte che gli consentì di educare molte generazioni di giovani liutai e liceali. La sua vis pedagogica fu sicuramente corroborata dalla sua magistrale creatività e dal suo saldo credo politico socialista. Gli anni Quaranta fortemente segnati dalla guerra e dall’occupazione nazi-fascista con la scia di violenze e di lutti che ne seguì, diedero modo a Coppetti di dare forma e sfogo alla sofferenza e al dolore che ogni evento bellico produce nell’animo umano. Questo filone drammatico di ricerca attraverserà tutta la produzione scultore e plastica negli anni a venire e porterà all’importante collaborazione con Dante Ruffini al monumento dedicato ai “Caduti  per la libertà” del 1945 e alla committenza pubblica relativa al “Monumento ai caduti della Resistenza” posto nel 1993 nel Cimitero civico di Cremona. La privazione della libertà, la fucilazione del partigiano, il dolore materno per la perdita del figlio che sì è immolato per la patria, l’agonia di chi si sente oppresso da un potere soverchiante, il pianto e la sofferenza dei bimbi costellano tematicamente numerose opere tra le quali meritano una particolare menzione “Dolore” in bronzo del 1956, “Il fucilato” in gesso patinato del 1983, “Prigione (Schiavo)” in bronzo del 1978,”Testa di bimbo piangente” in terracotta degli anni Settanta, “Piccola cambogiana” in gesso del 1980, “Pietà laica (Deposizione)” in bronzo del 1990, “Libertà” (in bronzo) che si divincola dalle catene dell’oppressione nata come prova d’autore per il Monumento ai caduti della Resistenza, “Dramma” in bronzo del 1994. Gli scenari raccapriccianti del secondo conflitto mondiale, della guerra in Corea e nella ex-Jugoslavia si sono depositati nella memoria dell’artista cremonese trovando il loro momento di estroflessione creativa e di riflessione etico-morale nella sua ricca produzione di opere d’impegno civile e di pacifismo ad oltranza. Questi lavori si giustificano alla luce della poetica del pathos e dell’afflato libertario che connota l’arte plastica di Coppetti, arte sempre d’impostazione classica con riverberi michelangioleschi nella realizzazione di “Prigione (Schiavo)” e delle pietà e maternità umane e sacre e nella costante ricerca  di liberare la forma dalla materia grezza reperibile in natura. Alla stessa stregua dei colleghi Ruffini e Priori, Coppetti riafferma, con  una sensibilità pur sempre novecentesca, il canone classico che si intreccia alla tradizione del verismo lombardo. Le esperienze d’avanguardia, tra cui quelle futuriste, cubiste e surrealiste, verranno recepite in ambito cremonese più tardi con i lavori di Pietro Foglia, Dino Papi, Giovanni Solci, Francesco Vitale, Vanni Roverselli, Piero Ferraroni e proseguiranno anche nell’iperrealismo e nel disfacimento e nelle distorsioni formali che caratterizzerà la rifioritura dell’arte della terracotta per merito di Silvio Checchi, Agostino Ghilardi, Mario Spadari e Graziano Carotti.

Merita una breve riflessione anche il gruppo di maternità sacre (Madonna con il bambino in marmo di Carrara del 1934, del 1942, del 1949, del 1968, del 1985 in bronzo), in cui si contrappongono ai volti segnati dall’angoscia, dal dolore, dalla protesta contro le ingiustizie e i soprusi che caratterizzano molte opere di impegno civile, quelli dolci e soavi della Vergine e di Gesù bambino in quanto epifanie del divino che si umanizza, cogliendo, come ebbe a scrivere Ezio Maglia, “l’incanto della forma quattrocentesca”. Anche il “San Giovannino” realizzato per un concorso nazionale “conserva”, secondo Franco Voltini, “qualcosa della scultura fiorentina del rinascimento”. E’ doveroso, a questo punto, ricordare che, in quegli stessi anni, era attivo a Roma Alceo Dossena, cremonese di nascita, che nella rivisitazione personale della scultura antica e rinascimentale fu un autentico maestro.

Ma è prevalentemente verso lo studio del corpo umano e del nudo, a partire da alcuni disegni preparatori a carboncino risalenti agli anni Trenta, che si è orientata la spasmodica ricerca plastica di Coppetti. Centrale, nella sua ricca produzione, è senza dubbio la figura di Eva, di cui esistono diverse versioni in legno, in terracotta dipinta e in marmo per non tacere del dinamismo delle ballerine in posture aggraziate (si segnala in proposito “Ballerina” in bronzo del 1991). Ma l’“Eva” in marmo e il “Nudo accovacciato” degli anni Novanta si ricollegano per un verso all’armoniosa e olimpica grandezza della statuaria greca del periodo classico ed ellenistico per l’altro alla lezione incomparabile di Rodin: dal marmo sbozzato emergono, quasi per magia, figure femminili ben levigate e tornite che vengono consegnate dalla mano sapiente del maestro Coppetti alla vita, al respiro e ai battiti delle emozioni. Anche nelle serie dei cavalli degli anni Ottanta e Novanta aggalla l’intento di conferire ai soggetti  movimento, slancio, vitalità scalpitante, desiderio di libertà sempre aderendo a un dettato compositivo plastico di novecentesca classicità.

L’impegno civile di Coppetti che rimonta agli anni Trenta, gli anni del soggiorno parigino da esule e del suo ritorno in Italia, strettamente sorvegliato dal regime fascista, lo portò a stringere rapporti stretti con Guido Miglioli, fondatore delle cosiddette leghe bianche, e con la Resistenza e ad assumere  più tardi, da convinto socialista, cariche pubbliche di prestigio nell’amministrazione del Comune di Cremona (consigliere dal 1956, vicesindaco e assessore ai Lavori pubblici e all’Urbanistica dal 1961 al 1969), nella Società per l’ Autostrada Piacenza-Cremona-Brescia da lui assai caldeggiata ( verrà eletto due volte presidente dal 1970 al 1974) e nella guida dell’A.N.P.I dal 1996 al 2006.

Sul versante professionale divenne per così dire il principe degli scultori cremonesi, al quale vennero affidate importanti committenze pubbliche volte a celebrare con busti e medaglioni figure di spicco sia nazionali che cittadine come Claudio Monteverdi, Antonio Stradivari, Giuseppe Mazzini, Leonida Bissolati, Attilio Boldori, Vincenzo Vernaschi, Monsignor Astori, ma non solo. Suoi sono i cenotafi del viale degli artisti del Cimitero civico di Cremona, i cui modelli in terracotta patinata o in bronzo figurano in parte nell’ultima sezione della mostra e attestano la maestria plastica di Coppetti e lo scavo psicologico operato sui personaggi ritratti, ai quali era legato da profondi legami artistici e amicali come Carlo Acerbi, Sereno Cordani, Giuseppe Tomè, Antonio Rizzi. Oltre agli artisti menzionati non manca un fiero e volitivo “Autoritratto” che si allinea ai busti e medaglioni di politici o di mecenati (Vincenzo Vernaschi, Carlo Rosselli, Leonida Bissolati, Giovanni Arvedi) concepiti in buona misura come prove d’autore. Prima di guadagnare l’uscita, un video a proiezione continua documenta in modo toccante la personalità e la missione artistica di Coppetti, di cui si è voluto ricostruire,  a chiusura della mostra, lo studio del maestro con i suoi strumenti e il suo tavolo da lavoro. Graziano Bertoldi, ricordando proprio lo studio del maestro di via Chiara Novella, afferma con una certa nostalgia: “nel suo ‘spazio’ sono esclusi il logorio delle povere imprese, il mediocre commercio, la dispersione e il fastidio del superfluo. Nel dialogare con lui, si comprende come abbia riempito un secolo di vita, come abbiano affascinato la sua lealtà, le sue affermazioni, la sua sfida diretta con i rapitori della libertà … un ‘politico’ non intriso di retoriche servitù pubblicitarie, ma impegnato per l’uomo e con l’uomo”.

La mostra è visitabile nei seguenti giorni con una diversa scansione oraria: dal mercoledì al venerdì dalle ore 11 alle 17; sabato e domenica dalle ore 10 alle ore 18. Ingresso libero.

Visite guidate in data fissa o su prenotazione all’indirizzo info@crart.it.

AUTORE: ERMINIO MORENGHI