LA SEZIONE MEDIEVALE DEL MUSEO DI PALAZZO MADAMA

Carlo BossoliLo scalone di Palazzo Madama: Re Vittorio Emanuele II, Cavour, i Ministri e la Corte lo discendono dopo l’inaugurazione della V Legislatura subalpina, 1853, fonte Wikipedia

TORINO. Dando seguito alle argomentazioni relativamente alla fusione di stilemi romanici con quelli del primo gotico e al passaggio da un contesto culturale relativo all’alto medioevo, di passaggio a quello definito “basso”, ci si propone, con il contributo a seguire, un’Integrazione e puntualizzazione di quei contenuti, con esempi d’area alpina e transalpina, di alcune tematiche gia esposte nei precedenti articoli, e qui meglio esemplificate, relativi all’ibridazione degli stili nel XI sec. , esempi che si possono ammirare nella sezione medievale del museo di palazzo Madama di Torino.

La città di Torino, posta ai piedi delle Alpi è stata, già in epoca tardo antica frontiera culturale, aspetto questo enfatizzato dalla simbolica presenza dei monti come spartiacque culturale oltreché naturale, pertanto luogo di Ibridazione e di contaminazione trasversale non solo di stili, ma di molteplici fattori.¹

Oltre ai reperti ivi conservati e provenienti da chiese e abazie nonchè manieri difensivi dell’arco alpino, e in particolare delle Alpi occidentali, sono conservati anche una consistente parte dei resti dell’antico insediamento tardo imperiale che arricchisce il patrimonio presente.

Buona parte dei reperti è databile al XII secolo e non oltre il XIV .²

Trattandosi in qualche caso di modelli iconografici ben riconoscibili e standardizzati, si può in molti di questi valutare con efficacia di confronto la qualità esecutiva, là dove la conservazione lo consente, ad altri modelli campionesi, recensiti in precedenza nell’articolo pubblicato su questa pagina e dedicato ai reperti di Palazzo volpi in Como.³

Inoltre, lastre epigrafi, fonti battesimali, nonché decori floreali e racemi a rilievo, presenti su capitelli e arredi liturgici, mostrano connessioni dirette con i modelli presenti, negli stessi anni, in area francese, con ampie influenze inglesi.⁴ Giungevano infatti, nell’area torinese grazie viaggiatori e principi/vescovi un discreto numero di codici miniati, in particolare libri d’ore e salteri. Questi si mostrano più ricchi di inventiva rispetto ai coevi evangelistiari, di nuove formule ibride a retaggio, in qualche caso celtico e in altri di ampi modelli di origine merovingia e carolingia.

Per avere un’idea un po più precisa e vicina alle dinamiche di diffusione culturale dell’alto medioevo, è interessante prendere a campione la vita di Guglielmo da Volpiano.⁵

Monaco, studioso e uomo per certi aspetti poliedrico, una di quelle figure proto-umaniste capaci di influenzare il corso della storia di un’intera area culturale in modo permanente.

Guglielmo era figlio del nobile svevo Roberto, conte di Volpiano in Piemonte, e di Perinzia, forse sorella di re Arduino d’Ivrea, nato nell’estate del 962 a San Giulio di Orta, mentre il padre Roberto comandava la difesa dell’isola durante l’assedio posto dall’imperatore Ottone di Sassonia contro l’esercito di Berengario II, spodestato dal trono italico da poco conquistato con azioni di opportunismo più che non di naturale successione.

Guglielmo entra a sette anni al monastero di Lucedio presso Trino Vercellese, poi studente a Pavia.⁶

Il Rientro presso il monastero, comporta per lui la professione di fede e il ruolo della direzione del coro e della scuola monastica, diventandone il secretarius. In seguito ad un brevissimo ritiro in valle di Susa conobbe Maiolo, abate di Cluny.⁷

Proprio il mondo cluniacense, con la sua rinnovata concezione del laicismo e una regale visione della liturgia, influenza la mente di Guglielmo e di pochi altri uomini di valore come lui che, di queste suggestioni faranno concreta immagine oggettivata nell’arte miniata, scolpita, dipinta ed edificata nelle chiese e strutture affini.

L’abate Maiolo nel 985 riformò appunto l’abbazia di Lucedio e Guglielmo entrato in disaccordo con il vescovo di Vercelli, altro aspetto tipico dei cluniacensi, lo seguì nel suo viaggio a Cluny in Borgogna, dove verosimilmente si stabilì dal 985 al 989 per la sua formazione come uomo di chiesa militante.

Dopo essersi rifugiato in quel monastero borgognone, grazie ai suoi legami familiari, rapidamente fu in grado di salire tutti i gradini dell’ordine monastico benedettino, fino a divenire abate di Digione, di Saint Germain des Prés a Parigi e Fécamp in Normandia.

Tutti questi sono stati importanti scriptorium e centri di diffusione di modelli iconografici a partire dalle pagine miniate che raccolsero le influenze celtiche e inglesi, prima e questo è importante, della tornata di invasioni normanne, quantomeno quella più invasiva.⁸

Il cammino di Guglielmo continua con il priorato di St-Saturnin-sur-Rhone in area oggi elvetica, poi q a Digione fu incaricato della restaurazione spirituale e materiale( che significa apportare modelli nuovi in questo caso) dell’antica abbazia di S. Benigno che il vescovo di Langres, Bruno di Roucy, aveva affidato a Cluny.

È l’anno 995, Guglielmo si stabilisce a Digione e porta con se l’osservanza cluniacense, pur conservando alla sua abbazia una completa indipendenza nei confronti di Cluny.

L’indipendenza infatti, dallo spirito cluniacense era dettata non da dissensi dottrinali ma soltanto per una eccessiva rigidità, rispetto all’ordine borgognone, che gli valse il soprannome di supra regulam.⁹

Vestendo i panni dell’ architetto, progettò la ricostruzione della chiesa di S. Benigno in seguito al presunto rinvenimento del corpo del martire che vi era venerato e vi insediò una scuola che ebbe un veloce fiorire.

Questo impegno gli valse l’incarico da parte del vescovo di Langres di riformare i monasteri di Bèze, Tonnerre, Molesme, da cui prende le mosse il celebre Roberto, e Moutier-Saint-Jean.¹⁰

In Italia, il legame di parentela con re Arduino d’Ivrea, favorisce a Guglielmo nel libero agire su vasti terreni canavesani di proprietà familiare messi a fruttuosa rendita, negli anni 1001-1003.

il monastero di Fruttuaria presso Volpiano, è solo un esempio dell’efficacia dell’azione di Guglielmo in osservanza al suo disegno di proselitismo, che in breve si affermò come polo europeo di cultura e dove lo stesso ultimo sovrano del Regno Italico venne accolto, come di consueto per molti uomini d’arte dotati di cognome proprio e assistito nel cenobio.

Il biografo di Guglielmo, il monaco itinerante Rodolfo il Glabro¹¹, del quale in altra sede si è fatto riferimento, , che fu anche monaco nell’abbazia di Digione, narra a proposito di Guglielmo e riporta che egli riformò le “consuetudines” almeno in una quarantina di abbazie( carattere tipico del movimento di Cluny): si tratta, oltre a quelle citate nella diocesi di Langres, di St-Vivant di Vergy (Autun), St-Arnoul di Metz, S. Apro di Toul, la Trinité di Fécamp, Jumièges, St-Ouen di Rouen, il Mont-Saint-Michel in Normandia (che in parte ricostruì anche), St-Faron di Meaux, Gorze, Saint-Germain-des-Prés di Parigi, S. Ambrogio di Milano, S. Apollinare di Ravenna, St-Mansuy di Toul e Moyenmoutier. A Guglielmo si deve anche la fondazione e costruzione di Bernay, ampliò l’influenza della sua abbazia di Digione con la fondazione di priorati nelle diocesi di Langres, Autun, Chalon-sur-Saone, di quella di Fruttuaria con la creazione in vita dei priorati di Cavalliaca, Paderno, Quaranta, Navigena e S. Perpetua di Asti.

Attraverso la Normandia la sua influenza di riformatore giunse oltre Manica, in Inghilterra.

Della sua vastissima produzione letteraria, capisaldo anche di una importante sezione di letteratura artistica, ci rimangono pochi scritti e un trattato “De vero bono et contemplatione divina”.

Sono invece perduti molti altri documenti tra cui quattro dei più importanti: il “Liber de reformatione et correctione cantus”, il “Psalterium pro idiotis”, “Sermones plares”, “De elemosinis decimalibus et quadragesimalibus”.

Dai documenti provenienti da più fonti che riguardano Guglielmo, si evince uno zelo volto alla radice, al miglioramento dei costumi morali ed etici nei rapporti umani.

La cosa ovviamente si riflette sinché su un auspicato ordine morale che, in Cluny trova l’obbiettivo della realizzazione dell’ordo coeli” in terra.

Oltre ad una riforma dello statuto dei conversi benedettini, molti dei quali erano scalpellini di professione o/e pittori o comunque personaggi con capacità creative di indubbio valore, vincolati da voto di obbedienza.

In condizione laica e in virtù della quale I conversi divengono di fatto dei familiari, nell’opera riformatrice di Guglielmo, si ha soprattutto enfasi sull ‘osservanza più rigorosa nella preghiera, nel cibo e nelle vesti, nella condotta morale, la sua cura nella fondazione di scuole popolari.

Queste ultime permettevano ai fedeli di imparare a leggere e cantare i salmi che, con l’andare del tempo, si stavano eccessivamente volgarizzando.

La cura nella percezione concreta di uno status mundi nella sfera spirituale e Il suo zelo nel voler edificare chiese è noto e si deve a lui l’arrivo per primo in Borgogna dei maestri comaschi dell’Italia del nord.¹²

Il monaco riformatore morì a Fécamp, nel 1031, Guglielmo aveva sotto la sua direzione oltre milleduecento monaci assegnati nelle diverse abbazie e priorati.

Il suo culto è stato approvato nel 1808 per la diocesi di Ivrea, e questo ne certifica definitivamente il riconoscimento di quel ruolo già evidente lui in vita.

Rodolfo il Glabro, compose una Historia del periodo dal 987 al 1044: il Tquinum è appunto tra le cronache principali per la conoscenza di quell’epoca in cui Guglielmo è presenza costante.

In un passo della “Vita”, così descrive l’abate Guglielmo: “Raffinato esperto nei principi della musica artistica, tutte le parti che, nel salmodiare, erano cantate dai cori dei monaci, di giorno e di notte, tanto riguardo alle antifone, quanto riguardo ai responsori e agli inni, le portò, correggendole e infondendo in esse il nettare della dolcezza divina, a una così alta perfezione che nessun’altra corale arrivava a cantare in modo più naturale ed elegante. In modo peculiare abbellì con fare melodico i salmi, innalzandosi al di sopra di tutti gli altri”¹³. E tra le scuole da lui fondate si ricordano soprattutto quelle per l’istruzione e la pratica nel canto dei salmi.

Guglielmo è un esempio di come fosse pregnante il desiderio e sentita la necessità di una spiritualità pervasiva la vita in tutti i suoi ambiti, e un modo concreto per realizzare tale percezione era l’ausilio delle immagini, accompagnate alla melodia musicale come concretizzazione di uno status divino in terra.

Vi è poi da valutare su diversi fronti quale influenza, sui modelli e la scelta degli stessi, abbia potuto avere la lotta per le investiture e le vicende ad essa connessa e personaggi coinvolti nell’area.

Per il ruolo degli arredi liturgici¹⁴ di cui il museo conserva diverse lastre, sono evidenti i “racemi senza fine”, tipico motivo Longobardo e altresi presente sulle pagine miniate dei sacramentari di VIII secolo, specie di area franco/fiamminga.

La sezione Romana e tardo-imperiale permette di evidenziare il passaggio e stratificazione di epoche con l’esibizione di strutture interamente conservate, recanti soluzioni tecniche di marcata fusione con i modi del primo medioevo di cospetto al tardo impero.

Per ulteriori dettagli relativi ai caratteri degli stili, rimando ai precedenti sei articoli, pubblicati su questa pagina, relativi alla formazione e ibridazione degli stili romanico e gotico, dinamiche in cui, molti di questi esemplari torinesi possono riscontrare ed essere accostati.

LUCA NAVA

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