PONTEDERA. Da piccolo avevo un solo, grande sogno motoristico, quello di possedere una Vespa. Ma non una Vespa qualunque, una di quelle di serie per capirci.
Una vespa cazzuta, di quelle che si arrabbiano se vai troppo piano, quelle che sono come dei divani in cui goderti dei viaggi all’aria aperta con la tua donna alle spalle, sul lungo sellone in pelle, con un senso di libertà infinita. Perché in Vespa il divertimento non è arrivare alla meta, ma il viaggio verso la meta.
Questo sogno si è avverato giorni fa quando ho incontrato per caso un francese trapiantato in Italia che aveva fretta di tornare nel suo paese.
Per questo motivo mi ha ceduto se non per poco ma non per tantissimo, la sua fiammante Vespa Granturismo L. Una serie speciale di qualche anno fa, col faro basso, quasi un disegno futurista, di quelle che dopo che sono in vendita si pensa che per questo e altri dettagli non piaccia e smettono di produrla. Così poi tutti la vogliono, tutti la cercano. Alla mia, in particolare, le ho pure dato un nome, “Laferilli”, tutto attaccato, in omaggio alla bravissima e simpatica attrice romana.
Lei è una Vespa arrabbiata, di quelle che si mangiano l’asfalto e che hanno un design che ricorda le linee dei dipinti di Balla e le cromature degli anni Cinquanta.
Lei, “Laferilli”, quando si accende emette un ruggito che assomiglia a quello di una vecchia Harley più che a uno scooter qualunque. Insomma, ha manie di grandezza. Per citare Cesare Cremonini e i Luna Pop, “è una freccia con la targa” (se non ricordate la canzone, cliccate sul link sotto).
Perché la Vespa è la Vespa. La mia, in particolare, ha un brutto carattere, assomiglia molto a quello del marchese del Grillo perché nel suo borbottare sulla strada sembra dire all’asfalto “io so io… Tu nun sei un…”
Insomma, la Vespa è un’opera d’arte, fra l’altro tutta italiana, nata dalla creatività dell’ingegnere Corradino D’Ascanio e dall’intuito di Enrico Piaggio.