L’AMAZÔNIA IN OLTRE CENTO SCATTI DI SALGADO ALLA FABBRICA DEL VAPORE

© Sebastião SalgadO, Sebastião Salgado. Amazônia, press kit uf stampa della mostra. Immagine inserita al solo scopo di presentare l’esposizione

MILANO. Ancora prima di entrare nello spazio espositivo alla Fabbrica del Vapore (ironica coincidenza per una mostra fortemente ambientalista) si è accolti dai suoni e dai rumori di una foresta lontana quasi ci si apprestasse ad imbarcarsi in una avventura ai confini del mondo.

Devo ammettere che ero un po’ restio ad iniziare quel viaggio, non per una mancanza di rispetto verso un gigante come Salgado, ma perché essenzialmente non impazzisco per le mostre fotografiche di stampo documentaristico. Non potevo sbagliarmi di più, AMAZÔNIA di Salgado è un’esperienza profondamente esistenziale e assolutamente urgente. Come lo è la grande Arte.

Ma andiamo con ordine.

Sebastião Salgado è un fotografo brasiliano nato nel 1944 a Minas Gerais, Brasile. Ha iniziato la sua carriera a Parigi nel 1973, lavorando come fotografo professionista con agenzie fotografiche fino al 1994, quando insieme a Lélia Wanick Salgado ha fondato Amazonas images, un’agenzia dedicata esclusivamente ai suoi lavori.

Salgado ha viaggiato in oltre 100 paesi per realizzare i suoi progetti fotografici, che sono stati pubblicati in numerose riviste e libri. Lélia Wanick Salgado ha ideato, disegnato e curato la maggior parte delle sue pubblicazioni e delle mostre itineranti di queste opere, presentate in musei e gallerie di tutto il mondo.

La mostra è composta da 200 fotografie raccolte in due filoni principali. Il primo è costituito da quelle che il testo ufficiale definisce di “ambientazione paesaggistica” installate a diverse altezze per tutta la grande sala affacciata sul piazzale della Fabbrica del Vapore, luogo di grande pregio di Milano che per l’occasione è stato anche arricchito con la piantumazione di alcuni alberi in omaggio al lavoro di conservazione e di tutela portato avanti dalla fondazione Instituto Terra di Salgado.

Il secondo gruppo di fotografie è dedicato alla diverse popolazioni indigene che l’artista ha conosciuto e fotografato nelle sue molte esplorazioni della foresta amazzonica. Questi i nomi dei  popoli ritratti: Awa-Guajá, Marubo, Korubo, Waurá, Kamayurá, Kuikuro, Suruwahá, Asháninka, Yawanawá, Yanomami, Macuxi e Zo’é.

Parte integrante della mostra sono anche due sale di proiezione nella prima delle quali viene mostrato il paesaggio boschivo in rapida sequenza sulle note del poema sinfonico Erosão ad opera del compositore brasiliano Heitor Villa-Lobos (1887-1959). Nell’altra invece si ammirano alcuni dei ritratti di donne e uomini indigeni con in sottofondo una musica creata appositamente dal musicista brasiliano Rodolfo Stroeter.

Nella sala principale della esposizione si è avvolti ed accompagnati da un opera musicale creata per l’occasione dal grande Jean-Michel Jarre nella quale i suoni ed i rumori della foresta si mescolano a melodie elettroniche da un profondo afflato esistenzialista.

Occorre ricordare brevemente, ma mai abbastanza, quanto importante sia per il nostro pianeta la foresta amazzonica che ha ispirato non solo Salgado ma anche tantissimi altri artisti.

La foresta amazzonica copre quasi un terzo del continente sudamericano, un’area che è molto più estesa di tutta l’Europa. I confini nazionali dei nove Paesi che condividono questo ecosistema non sono segnati con precisione, ma si può dire che più del 60% della sua estensione si trova in Brasile.

Questa vastità è attraversata dal Rio delle Amazzoni, che ogni giorno, con i suoi circa 1.100 affluenti, di cui 17 lunghi oltre 1.500 chilometri, riversa nell’Oceano Atlantico il 20% dell’acqua dolce di tutta la Terra, pari a circa 17 miliardi di tonnellate d’acqua.

Durante la stagione delle piogge, questa immensa distesa di verde viene scompaginata dai fiumi che esondano dai propri argini, in alcuni casi addentrandosi fino a 100 chilometri nella foresta, in altri dando vita a laghi e lagune, per poi tornare sui precedenti percorsi – o scavarne di nuovi – una volta che le acque si ritirano. Il paesaggio è così pianeggiante che a Tabatinga, al confine occidentale tra Brasile e Colombia, il Rio delle Amazzoni si trova a soli 73 metri sopra il livello del mare, sebbene gli restino ancora 4.660 chilometri da percorrere.

Quando i navigatori portoghesi approdarono per la prima volta sulle coste brasiliane, nel 1500, era abitata da circa cinque milioni di indigeni. Attualmente la popolazione autoctona non supera le 370.000 unità, è suddivisa in 188 gruppi e parla 150 lingue diverse. Ad oggi, sono 144 i gruppi identificati che hanno mai avuto contatti con l’esterno. A partire dal XVII secolo, lungo le sponde del Rio delle Amazzoni e dei suoi affluenti, iniziarono a spuntare villaggi e città. Questo periodo segna l’inizio della battaglia di sopravvivenza della foresta e dei popoli che la abitano a causa dei continui flussi migratori provenienti dal Brasile che portarono ad una progressiva deforestazione delle terre per far spazio ad allevamenti e coltivazioni.

Camminando tra le immagini sospese come lo deve essere il tempo all’interno della foresta, l’urgenza della sua conservazione si fa pressante ad ogni passo, ad ogni nuovo scatto che si manifesta davanti allo spettatore.

L’intimità espressiva del bianco e nero, le uniche sfumature di colore che Salgado ci concede in questa mostra, permette di concentrarsi solo e soltanto sulle tracce e i segni disegnati da una natura così potente da stordire chiunque vi si imbatta.

Cancellando il colore l’artista ha potuto quindi trasformare fiumi, alberi, tempeste, laghi in vere e proprie opere di land-art. Le nuvole diventano marmoree sculture, i paesaggi luoghi ancestrali, le montagne isole rocciose che si stagliano in vaste distese grigie, mentre lugubri spettri sembrano far capolino dalle acque scure del Rio Negro.

Queste fotografie perdendo il colore si trasformano in un monito muto di quanto fragile sia la bellezza della Natura. Non è quindi una mera documentazione quella di Salgado ma esperienza e sensazione, sogno e veglia, assenza e potenza.

Il divino è assolutamente presente in queste opere, lo si nota ammirando cascate di pioggia che sembrano nascere dai cieli, alberi come crocifissi e tempeste che ascendono verso la salvezza. Come se ci dicessero: attento uomo io ti vedo e so cosa mi stai facendo.

Soffermandosi sulle immagini private del colore si è spinti, controvoglia, alla scoperta, quasi all’avventura, perché solo osservando a lungo si possono scorgere i contorni delle foglie, degli arbusti, delle gocce di pioggia.

Insomma, definire questa mostra come solo “fotografica” è decisamente riduttivo.

Prima di concludere merita un’accenno la grande opera di riforestazione compiuta da Salgado e dalla moglie Lélia Wanick Salgado di circa 17.000 acri di foresta amazzonica iniziata alla fine degli anni 90 con la creazione della organizzazione no-profit Instituto Terra (https://institutoterra.org). Un progetto incredibilmente ambizioso che negli ultimi decenni ha permesso di ricreare un intero ecosistema dove prima c’era praticamente un deserto.

La mostra AMAZÔNIA è visitabile fino al 19 novembre 20223 alla Fabbrica del Vapore in via Procaccini, 4 a Milano il lunedì, martedì, mercoledì dalle 10.00 alle 20.00 e il giovedì, venerdì, sabato e domenica dalle 10.00 alle 22.00

Il costo dei biglietti è di 14€ l’intero e di 12€ il ridotto con altre possibilità di riduzioni per anziani e studenti

NICOLA BERTOGLIO