L’ARTE DEL CORREGGIO E DI TURCHI IN MOSTRA

Correggio, Deposizione

“Correggio 500” è il titolo della mostra con cui fino al 31 gennaio presso il Monastero di San Giovanni Evangelista e presso la Camera di San Paolo di Parma si celebra Antonio Allegri, conosciuto come il Correggio, nella ricorrenza del mezzo millennio dalla conclusione della più impegnativa tra le sue imprese d’artista. All’intensa ammirazione per il grande artista si legano le vicende ricordate in “Giuseppe Turchi, un pittore, una marchesa, un carteggio” che la studiosa savignanese Carla Mazzotti, che fu apprezzata bibliotecaria dell’Accademia dei Filopatridi e autrice di puntigliose ricerche storiche come “I Borghesi. Una famiglia, una storia, un viaggio”, editò da Pazzini nel 2010.

Un volume ricco di documentazione dedicato al carteggio inedito custodito dall’Accademia savignanese e composto da 33 lettere inviate tra il 1786 e il 1791 (dopo che la nobildonna lesse un articolo amaduzziano sulle “Efemeridi romane”) all’erudito abate Giovanni Cristofano Amaduzzi dalla contessa Maria Teresa Cristiani, poi marchesa Castiglioni di Casatico di Mantova. Argomento, il celebre ritratto di Raffaello dell’antenato Baldassarre Castiglione, autore de ‘Il Cortegiano’. Non potendo ammirare il ritratto del Castiglione nel suo palazzo, la marchesa avrebbe voluto averne almeno una copia. Venne suggerito il nome quale eventuale autore: un nuovo Angelico, il pittore savignanese Giuseppe Turchi (1759-1799), celebre nella riproduzione delle opere di artisti come Reni, Carracci e Correggio («sempre mi istruisce e mi piace», diceva Turchi al suo riguardo), e ugualmente morto in “odore di santità” come il celebre maestro toscano del Quattrocento. Allievo di Cristofano Unterberger e attivo a Roma, Ferrara, Dresda, fu altresì apprezzato ritrattista dei maggiori personaggi della nobiltà europea.

Tra Mantova, Parma e Roma si dipanò pertanto un epistolario ricco di cronache artistiche letterarie, attualità storiche, politiche. Il riflesso di una stagione, scriveva in premessa Arturo Menghi Sartorio, ricca di fermento culturale e desiderio di rinnovamento umanistico.  

Ai primi di maggio del 1789 il dipinto giunse a Casatico, dimora estiva dei Castiglioni, lasciando la contessa grata ed estasiata alla vista dell’opera. Seguì nell’autunno, la commissione al Turchi di un quadro dell’Annunziata per la chiesa di Casatico, e di copie delle pale d’altare dipinte (1561-1562) da Paolo Veronese per la millenaria abbazia canossiana di San Benedetto di Polirone (l’attuale San Benedetto Po). Ora solo le copie di Turchi (1792) ornano le cappelle della basilica abbaziale essendo le opere di Veronese andate disperse a motivo della soppressione napoleonica del monastero.

L’illustrazione della sua eccellenza artistica in missive intercorse tra l’Amaduzzi e il grande tipografo Giovan Battista Bodoni, valse poi all’artista la chiamata da parte dei benedettini parmensi di S. Giovanni Evangelista che intendevano promuovere le belle arti con la copia dei capolavori correggeschi esistenti in città. Incarico che fu affidata al montescudese Francesco Rosaspina per l’incisione e a Turchi per la pittura («niuno meglio del Turchi è entrato nello stile del Correggio», affermò il padre Ireneo Affò, letterato e storico dell’arte).

Ma «il dipinto del Correggio che abbia maggiormente rapito il Sign. Turchi – scriveva Amaduzzi all’amica marchesa – è stato quello della Deposizione di Cristo (o Compianto) nella chiesa de’ Benedettini (cappella Del  Bono) in San Giovanni Evangelista (poi facente pure parte del bottino napoleonico trasportato in Francia, n.d.r., ora alla Galleria Nazionale di Parma), e mi ha chiesto una lettera al padre Abate del monastero di Parma, per cui gli se agevola la permissione di copiarlo con comodo… ».

Fatta quindi richiesta, tramite di Bodoni, di poter copiare il suddetto dipinto, poiché nella rimozione dell’opera (che aveva terminato di copiare), avvenne che, come ricordato dai biografi Edoardo Bignardi e Luigi Nardi:

«egli la fece cadere sulla spalliera di una sedia della propria stanza di lavoro, causando uno strappo sul dorso della Madonna» e «tale fu il turbamento di tutte le potenze del suo animo sensibile, che se non fosse stato trattenuto era in procinto di precipitarsi da una finestra del monastero. Il quadrò poco soffrì ma il Turchi fu sempre in seguito oppresso da una malinconia tale che non poté più riaversi», morendo a Savignano all’età di 39 anni.

L’opera in questione, si legge infatti nei “Classici dell’arte” (Rizzoli, 1990): «aveva un strappo, mal riparato sul dorso della mano della Vergine prodotto nel 1792 durante la rimozione eseguita per far sì che Giuseppe Turchi potesse trarne una copia».  

MARCELLO TOSI