
CERVIA. Dalla grande icona del volto di Obama che fece da supporto alla sua campagna elettorale alle “donne guerrigliere”, dai simboli della giustizia sociale, come la “Marianna” francese, alla campagna a supporto dell’Ucraina. Nei suoi celeberrimi ritratti, i temi fondamentali del presente, l’impegno civile, l’ecologismo, la tutela dei diritti, il pacifismo, mediati dai linguaggi di una cultura pop globale riarticolata in modo ironico e citazionista. Un ideale percorso tra le opere più iconiche di Shepard Fairey, in arte Obey, ora raccolte nella mostra “Obey Make Art Not War”, aperta al pubblico nella cornice ricca di suggestione del Magazzino del Sale–Torre della Darsena cervese.
La spettacolare esposizione, curata da Roberto Mastroianni, filosofo, curatore e critico d’arte, docente di Antropologia culturale e Antropologia dell’arte all’Accademia Albertina di Belle arti di Torino, comprende circa 70 opere dell’artista americano che indagano la sua ispirazione creativa e le sue fonti ispirative, dalle avanguardia storiche del Novecento del futurismo sovietico, del muralismo messicano, dell’arte di Mario Sironi, fino alla pop art degli anni Sessanta. In Obey grafica, fotografia, collage e illustrazione sono frutto di un immaginario artistico capace di mescolare i diversi linguaggi, dalla street art, di cui è considerato uno degli artisti più rappresentativi, al marketing e al design.
Mastroianni, come la “ Urban art” è divenuta, grazie anche ad Obey, sinonimo di trasformazione del proprio ambiente e di apertura dell’arte?
«Siamo in una fase di nuovo accesso, di democratizzazione dell’approccio artistico. La prima cosa che forma il writer è quella di andare contro il sistema rappresentato dai critici, dai musei, dalle gallerie, favorire una maggiore fruibilità del linguaggio e quindi la possibilità di avvicinarsi all’arte. Questo avviene facendo uso del linguaggio pop, di supporti materiali forniti dalla strada, pareti, muri, edifici».
In che modo Obey e il suo «romanzo figurale… scritto sui muri e oltre i muri», sono come le icone di un nuovo immaginario globale? Perchè incarna quello che lei definisce «artivismo contemporaneo»?
«Artivismo è un termine di derivazione anglosassone, adottato da Vincenzo Trione nel suo saggio per Einaudi, che sta ad indicare un’attenzione dell’arte ai temi dell’ambiente, dei diritti, della tutela delle minoranze. Una modalità per cui si può riandare dalle campagne degli anni Ottanta come quelle di Greenpeace indietro, si può dire, fino a Pasolini. Una libertà d’approccio che ora veicola il linguaggio della maggior parte di quanti a livello internazionale diffondono messaggi attraverso l’arte».
Che cosa ha determinato la scelta delle sezioni centrali della mostra: donna, ambiente, pace e guerra, immaginario?
«Essa ripropone la maniera in cui Obey ripercorre il cammino del Novecento per arrivare ad affrontare il tema dell’immagine globale. La sua è opera di “decostruzione”, ad esempio delle immaginario wahroliano, del design, della poesia e delle canzoni. É così persuasivo perché dalla visione di una globalizzazione unica risponde con la frammentarietà di cui è specchio la vastita dei suoi interessi, dallo skate a Sironi, dalla politica alla musica, facendone la base del suo parlare di donne, di ambiente, società».
“Obey” significa obbedisci, ma l’adozione di questo nome d’arte appare piuttosto come un invito a una scelta di libertà, fuori da ogni conformità. «Il messaggio dietro il mio lavoro – dice l’artista – è farsi domande su tutto».
«Vuole dire infine andare contro il sistema della comunicazione pubblica, contro il marketing, il consumismo. Un modo per svelare come esista una generazione che non ha trovato più vie d’uscita dal punto di vista culturale e immaginativo, e vuole lasciare il segno di questo andare oltre. Nessun artista che a meno di quarant’anni, ha detto il critico del Guardian, è stato capace di realizzare come ha fatto Obay tre grandi immagini entrate nella storia dell’arte».
(orari: dal lunedì al giovedì 10.20, venerdì e sabato 10-23, domenica 10-21, fino al 4 giugno)
MARCELLO TOSI