LAVORO E ARTE, QUALE RAPPORTO?

Pelizza da Volpedo, Quarto Stato, Gam, fonte Wikipedia

MILANO. Il lavoro ha da sempre rappresentato per l’uomo una parte importante, fondamentale e necessaria per la propria vita. E’, infatti, grazie al lavoro che una persona diventa indipendente, autonoma, che può permettersi di formare una nuova famiglia, che può coltivare passioni, togliersi delle soddisfazioni, ecc… Certo, non tutti i lavori sono uguali: ci sono lavori meglio retribuiti, meno faticosi, mentre altri sono più duri, più faticosi, meno pagati. Però, non di rado, si incontrano persone che amano quello che fanno, anche se costa sacrificio, anche se certo non si arricchiranno mai con quel lavoro, però capiscono che quello è il loro lavoro, la loro vita, il loro impegno quotidiano. Tutti i lavori sono importanti: serve l’architetto, ma serve anche chi deve tenere pulite le strade, servono i medici, ma servono anche gli infermieri, servono gli ingegneri, ma servono anche i muratori, ecc… Ognuno ha la propria dignità, la propria particolarità, ma tutti sono utili per il buon funzionamento della società intera. Chi capisce questo riesce anche a lavorare meglio, perché si sente importante e gli fa piacere sapere di poter contribuire a far funzionare meglio le cose. E’ talmente fondamentale il tema del lavoro che da sempre, o comunque spesso, ha trovato spazio anche nelle rappresentazioni artistiche, letterarie, poetiche. Proprio per quello che abbiamo detto sin dall’inizio: parte fondamentale nella vita dell’uomo. Un quadro, un racconto, una poesia, sono spesso proiezioni nella vita dell’uomo e, quindi, è facile trovare in questo percorso la presenza del lavoro. Abbiamo detto presenza ma, purtroppo, si sente spesso parlare anche di assenza del lavoro, di disoccupazione giovanile, di precariato, di insicurezza, di instabilità lavorativa, ecc…Tutto questo genera frustrazione, nervosismo, perché non permette la pianificazione di una vita futura, più indipendente, più libera. A proposito di questa insicurezza viene in mente il celebre quadro “Viandante sul mare di nebbia”, dove si vede, in primo piano, di spalle, la sagoma scura di un uomo, fermo, immobile, davanti ad un paesaggio offuscato, quasi nascosto dalla nebbia, che rappresenta proprio l’incertezza del futuro, la domanda sulla propria vita, domanda che spesso si pone chi non ha, appunto, un lavoro, e che vede il proprio futuro non certo roseo. Parlando, invece, di lavori faticosi, ci vengono in mente alcuni celebri dipinti che rappresentano minatori, contadini, operai, come nel caso di Van Gogh che in uno dei suoi quadri più famosi, “I mangiatori di patate”, ci fa sentire la povertà, la privazione di tante cose, la fatica che deforma i visi stessi dei protagonisti che si ritrovano, però, con la forza dell’amore familiare e con dignità, intorno alla tavola a consumare un umile pasto, uguale tutti i giorni, ma che comunque li tiene insieme. C’è anche chi per lavoro deve abbandonare il posto dove è nato e magari trasferirsi, da un caldo posto del sud, dal mare, in una città del nord, fredda, nebbiosa, ostile, abituarsi ai turni dei lavori in fabbrica, alla monotonia, alla serialità del lavoro, che ci fa venire in mente la canzone del dottore-cantautore milanese, Enzo Jannacci, “Vincenzina davanti alla fabbrica”. Ad un certo punto il lavoro diventa troppo importante, una società che guarda troppo al guadagno, agli interessi, ai soldi, bisogna produrre sempre di più, per soddisfare il mercato, la richiesta, ed ecco che si mettono in secondo piano altre cose: la famiglia, il proprio tempo libero, i propri spazi, ecc… e, ovviamente, questo non va bene, perché va a discapito della salute stessa dell’uomo, perché un’iperproduzione fa male anche al nostro pianeta, già abbondantemente violentato, inquinato, maltrattato. Correre, produrre, lavorare di giorno, di notte, fare gli straordinari, ecc… E qui ci viene in mente il quadro del pittore americano Hopper, “Ufficio di notte”, che ci fa sentire tutta la solitudine notturna di un lavoro protratto fino a tardi, che toglie il sonno, il giusto riposo, il giusto ritmo. Però, e qui ci viene in aiuto sempre l’arte, con un famosissimo quadro, il “Quarto stato”, di Giuseppe Pellizza da Volpedo, dove si vede un gruppo ben nutrito di uomini, donne, bambini, che marciano sicuri, fieri, uniti, a testa alta, verso un domani, fatto di diritti, di lavoro a dimensione umana, dove la terra, l’acqua, l’aria, tornano ad essere rispettati, ad essere valorizzati, ad essere in sintonia, in simbiosi con l’uomo, perché solo così sarà possibile vedere un nuovo giorno, una nuova alba, un nuovo UOMO!

“Il motore del 2000 sarà bello e lucente, sarà veloce e silenzioso, sarà un motore delicato. Avrà lo scarico calibrato e un odore che non inquina, lo potrà respirare un bambino o una bambina…”

ALFONSO TALOTTA