L’IPHONEOGRAFIA DI NICOLA BERTOGLIO RACCONTA LA PANDEMIA

#nessundove di Nicola Bertoglio (Courtesy of the Artist)

Nicola Bertoglio è un creativo che si esprime attraverso l’iphoneografia, una forma di sperimentazione che si sviluppa a partire da fotografie scattate con lo smartphone. I suoi lavori, spesso presenti in importanti eventi d’arte, si possono osservare in numerosi video che costituiscono intriganti meta-narrazioni. La sua sensibilità lo ha portato a realizzare diversi lavori sulla pandemia, di cui ci parla in questa intervista.

Paesaggi, miniature, cielo. Hai realizzato tre video sul tema io resto a casa”. Ci parli di questa ricerca?

Posso dirti che il motivo principale per il quale ho realizzato queste opere è stato quello di liberare la mente dal forzato confinamento domestico dovuto alla pandemia. Restando da solo, nel mio appartamento a Milano, ho sentito la necessità, direi anche l’urgenza, di una qualche forma di resistenza al senso di impotenza e straniamento causato dalla situazione che tutti stavamo vivendo.

Per questo ho iniziato ad osservare ciò che avevo attorno, cercando di cogliere, come sempre mi capita, un qualcosa di “magico” per il quale provare stupore.

Ho fotografato ombre e dettagli dei miei soprammobili e ho visto in essi paesaggi fantastici. Ho posizionato alcuni oggetti affinché raccontassero micro storie zen. E guardando fuori dalla finestra della mia cucina, dove passavo la maggior parte del tempo a lavorare in Smart Working, ho fissato con il mio smartphone la stessa porzione di cielo nelle diverse giornate.

Le foto che ho realizzato le ho prima postate su Instagram con l’hashtag #restandoalchiuso e poi raggruppate nelle tre tematiche che hanno dato il titolo ai tre video.

Uno dei tuo progetti più importanti è Boy/Toy. Puoi spiegarlo ai nostri lettori?

 Il progetto “Boy/Toy” ha avuto un’origine insolita. Un giorno di quasi 6 anni fa ho trovato per caso nella soffitta di un amico un vecchio robot giocattolo degli anni 90 che sicuramente molti lettori ricorderanno. Il suo nome era “E.M.I.G.L.I.O” e quello nel quale mi imbattei era completamente smontato, letteralmente a pezzi. La testa aperta e divisa a metà mi è sembrata all’istante una specie di maschera che poteva essere indossata. Dopo averlo personalizzato con una colorazione differente ho iniziato a fotografare amici e conoscenti mascherati con quel buffo volto di robot bambino.

Nel tempo ho ragionato molto su questo nuovo personaggio che avevo creato e ciò che mi affascinava era il poter nascondere dietro quella maschera le mie fragilità di uomo e di artista.

L’ho chiamato “Boy/Toy” per sottolineare da un lato il suo lato innocente e infantile e dall’altro il suo essere un giocattolo, un qualcosa di costruito, artificiale.

Nei lavori dove ho utilizzato la maschera, fotografici e performativi, ho cercato di rappresentare la mia personale difficoltà di comprensione delle complessità e spesso anche assurdità del mondo in cui viviamo. Realtà dove l’umano è spesso “disumano” e le persone “costruite” come macchine senza un preciso scopo.

Collegato ad esso hai realizzato due video. Di cosa parlano?

I due video, pur appartenenti allo stesso progetto, sono molto diversi l’uno dall’altro. Il primo, dal titolo “Come indossare la maschera di “Boy/Toy” (in caso di apocalisse)”, è una risposta ironica al più famoso video del Governatore della Regione Lombardia Attilio Fontana ripreso mentre mostra come indossare una mascherina chirurgica.

Nel mio video una ragazza esegue un tutorial su come indossare correttamente la maschera di “Boy/Toy”, seguendo passo passo le indicazioni fornite dalla voce di SIRI, l’assistente vocale dei prodotti Apple.

Le istruzioni usate nel mio video sono quelle di un vero tutorial trovato in rete su come indossare la mascherina chirurgica. Le riprese sono state realizzate fortunatamente una decina di giorni prima dell’inizio delle misure di contenimento nazionale.

Il secondo invece, dal titolo “Il dolce lock down” è composto da alcuni selfie fatti indossando la maschera di “Boy/Toy”, principalmente sul divano di casa mia. Come sottofondo ho inserito una poesia scritta da me e letta magistralmente da SIRI. In questo video ho voluto adattare in modo paradossale il ben noto concetto del “dolce far niente” italiano all’attuale momento storico.

Nel mio testo ho cercato di racchiudere le sensazioni che stavo vivendo in quei giorni difficili nei quali la paura mi pareva avesse offuscato completamente il nostro orizzonte e le nostre menti. L’apparente distopia nella quale eravamo immersi sembrava la vera “nuova normalità”.

Sei anche autore di una video poesia collegata al tema siamo tutti in pericolo”. Come si lega alla tua ricerca?

Non mi sono mai definito un fotografo. Preferisco considerarmi un poeta che si esprime usando composizioni di immagini. Da ragazzo scrivevo poesie, per lo più per me. Ho partecipato solo a qualche concorso locale. La video poesia “Il respirante” è nata in occasione delle giornate della poesia dello scorso marzo, durante i momenti più sofferti della pandemia. Nel video uso la mia voce per recitarla, una cosa che non avevo mai fatto in precedenza, mentre le immagini che si susseguono sono quelle del progetto #restandoalchiuso.

 Ci parli delle tue storie di Instagram legate alla pandemia?

Essendo la mia una ricerca interna al mondo della fotografia da smartphone, sperimentare con il mezzo espressivo rappresentato dalle “storie” di Instagram credo sia una naturale conseguenza del mio lavoro. Le “storie” (di Instagram ma anche di Facebook) sono un mezzo di comunicazione potente e ultra contemporaneo. Il fatto che abbiano una durata di 24 ore e che siano visualizzabili in sequenza consentono di agire sia sul contenuto del messaggio che riflettere sul tema della temporalità dello stesso. Credo fortemente che l’arte abbia il dovere di sperimentare anche su questo fronte. Le storie che ho dedicato al Coronavirus le ho create durante i primi momenti della pandemia, prima che il lockdown venisse decretato, ma sentivo già chiaramente il clima di paura e di irrazionalità che stava per sommergerci.

Hai pure affrontato il tema della nuova normalità… In che modo?

L’urgenza di uscire dal confinamento imposto dalle misure di contenimento della pandemia portava con se domande e inquietudini che ho sentito il bisogno di rappresentare con un video, intitolato “Run”. In questa mia opera ho fatto leggere a SIRI alcune definizioni prese da Wikipedia di parole come tracciamento, libertà, pandemia, distopia e abitazione, mentre, con il mio smartphone, ho ripreso a rallentatore ciò che vedevo scendendo le scale del mio condomino sotto una luce verde acido inserita a posteriori. Il video termina con la parola “free”, intesa come speranza ma anche come timore che la vita prima del Covid forse non tornerà più.

Pensi che larte possa essere di aiuto in questo difficile momento? Se sì come?

Il compito dell’arte, secondo il mio modesto parere, è quello di dare forma a delle domande. In questo momento difficile, ma ricco di grandi e interessanti opportunità creative, la missione di noi artisti è senza dubbio quella di tenere le menti ben sveglie, di rappresentare dubbi prima che soluzioni, di mostrare le vie tortuose piuttosto di quelle comode. In sostanza affermare con forza l’umiltà di non saperne abbastanza sul mondo e sulla vita. Di essere piccole forze in balie di altre immani e spesso al di la della nostra comprensione. Questo credo sia il più grande contribuito che l’arte possa offrire al nostro tempo.

AUTORE: SIMONE FAPPANNI / NICOLA BERTOGLIO © RIPRODUZIONE DEL TESTO RISERVATA