
LODI. Può accadere a volte, e se accade si tratta quasi sempre di un’eventualità fortuita, di trovarsi ad essere partecipi della realtà di un contesto che ancora mantiene una porta aperta, un legame, un passaggio diretto e immediato con una dimensione esistenziale di luoghi o situazioni appartenenti al passato.
Posto che le categorie di passato, presente e futuro, in primissima istanza, si configurano come condizioni psicologiche della possibilità d’esistere, ancorché’ indubbiamente cronologiche, il fattore tempo si comporta talvolta come Mercurio. L’antica versione latina del Dio greco Ermes, con facoltà di attraversare le suddette ipostasi temporali e degli inferi, per consentire l’accadere, hic et nunc, della vita in un eterno e congetturale presente.
È quel che potrebbe accadere se, con disposizione d’animo e consapevolezza delle ragioni personali, le strade e i meandri della vita percorsi da ciascuno, portino a incrociare questo luogo.
La Basilica di San Bassiano¹ rinominata anche dei Dodici Apostoli, offre un inconsueto spettacolo per quanto, da lontano, appare come una presenza isolata di cui ci si chiede motivo.
Quello stesso spettacolo, nei tempi della sua edificazione dovette apparire una epifania meravigliosa della presenza divina in terra.
Un’oasi di ristoro in una distesa che si presenta, allora come ora, verde e rigogliosa grazie ai numerosi canali che portano intorno alla chiesa, acqua corrente, dunque non gelata, anche in inverno, cosi come in tutte le altre stagioni².
Attorno alla chiesa si svolgeva il “maggese” di ristoro per i cavalli, ossia l’adunanza degli eserciti di cavalieri in primavera, prima di intraprendere eventuali battaglie .
Epigone dell’architettura romanico-lombarda nel periodo in cui questa già si contamina delle “barbare maniere”, maestosa e sobria, come solo gli autentici gioielli di un’epoca irripetibile possono esserlo, questo esempio di una cultura autoctona, conserva il fascino dei secoli nel silenzio di quella dimensione spirituale, la quale pervade gli spazi delle pianure e della campagna lodigiana³ circostante, sublimando la visione empirica a contenuto fortemente intriso di spiritualità.
L’osmosi con l’ambiente circostante è la prerogativa che conferisce unicità al silenzio rotto solo dallo scorrere costante delle acque nei canali tutti intorno.
Lo stesso che si accompagna alle sfumature della pietra rosa di facciata a vela, delle modanature delle bifore gotiche e degli archetti⁴ pensili romanici.
Tutto si stempera nella foschia mattutina così come nel crepuscolo dorato, sopraggiunto al trascorrere del meriggio.
Fra le nebbie che salgono impercettibili dai fossati e dalle rogge che danno nome alla brughiera, spunta indefinita la mole del simbolo crociato.
Pressappoco così o poco dissimile, dovette apparire la visione della chiesa al viandante nei secoli medievali e rinascimentali, di passaggio verso Lodi o anche Milano; più spesso Pavia. Animato dal fascino e al tempo stesso dal mistero della fede, che quella mole rendeva simbolo tangibile e, in un mondo pervaso costantemente da guerre, pestilenze, carestie, anche d’effetto rassicurante.
Diversi documenti, più o meno attendibili relativamente alla loro storia e appartenenza, danno notizia di questo luogo, ma forse le testimonianze più credibili per varietà delle fonti e la congruenza su molti aspetti delle stesse sono costituite dalle cronache⁵ più che da atti ufficiali, invero piuttosto scarsi relativamente all’alta epoca.⅘
La “chronica” di di Anselmo da Vairano, che fa riferimento alla consacrazione della Basilica, voluta da San Bassiano nel gennaio dell’anno 387, è forse la più attendibile perché presa come riferimento da cronache e documenti successivi.
Notizie di spicco e confermate da altre fonti⁸ sono quelle che riferiscono della presenza alla consacrazione, di Sant’Ambrogio, vescovo di Milano e di San Felice, allora episcopo di Como.
A seguito delle vicende e gli interventi occorsi alla struttura nei secoli seguenti è impossibile oggi, individuare nel tempio elementi che lo riconducano con l’evidenza di altri siti dell’area padana, ad un esempio architettonico del quarto secolo.
Nei secoli dunque la Basilica dei Dodici Apostoli visse alti e bassi continui dettati più che altro dalla forte criticità e instabilità politica⁶ della zona, da sempre contesa fra l’appartenenza dalle terre del sacro romano impero prima e spagnoli e francesi poi .
La notizia della tumulazione, nel 413 del corpo di San Bassiano, sul cantiere ancora aperto della chiesa, fece da incentivo e ricettacolo di cospicue donazioni favorenti il completamento veloce dei lavori.
La chiesa dal suo completamento rimase poi intatta per circa otto secoli fino al restauro avvenuto sulla struttura architettonica, prima della sua ricostruzione che porta la data del 1300.⁷
Le tracce di un massiccio intervento di consolidamento sono visibili in particolare all’ingresso, verso il fianco sud , probabilmente da ricondurre al tardo IX secolo.
Vicende di varia natura determinarono in seguito la parabola discendente della Basilica accelerata dalla definitiva distruzione di Lodi, dopo l’anno 1158 e in particolare nell’ambito della lotta fra comuni e il Barbarossa.
Fino ad allora il tempio patronale aveva retto ad ogni invettiva, compresa quella più devastante del 1111.⁸
Nelle cronache di riferimento, dell’episodio si trova testimonianza cosi:
“Restò sola tra tutte le chiese intatta quella di San Bassiano… anch’essa polluta… con sangue sparsovi”. CIt. da -Defendente da Lodi, cronaca.
La rinascita della città avvenne per mano del Consiglio Generale della città di Lodi e del del vescovo Leone Palatino nonché dei signori reggenti di Lodi e ultimata non prima del quattordicesimo secolo. Questo è il periodo a cui si può ascrivere lo stile con il quale venne realizzata la facciata del tempio.
Nei secoli la Basilica dei Dodici Apostoli visse alti e bassi continui: dal decreto ministeriale del 1875, con cui quello di San Bassiano fu registrato fra i monumenti nazionali, le autorità decisero di chiuderla al pubblico. Solo un profondo restauro ha poi reso possibile la rivalutazione della Basilica, oggi giustamente considerata tra i luoghi d’arte del Lodigiano.⁹
La tradizione vorrebbe che, sul luogo di un antico sito romano, forse un insediamento di coloni, posto fuori dalle mura di “Laus Pompeia”, Lodi appunto, si radunassero dei cristiani in preghiera attorno ad un altare improvvisato.
Tale altare per tramando la suddetta leggenda lo direbbe addirittura eretto dagli Apostoli Giovanni e Giacomo, dato appunto leggendario e incongruenze con le fonti.⁹½
Composto inizialmente in di legno di cipresso e ciliegio, con una mensa sommitale di alabastro, attorno a cui fu costruita la chiesa, l’altare sarebbe stato riconsacrato, dopo la sua definitiva sistemazione nel 327.
Epurando il racconto storico documentario delle leggende, divulgate spesso dagli stessi monaci, è da ritenere con buona opportunità che la chiesa sia stata costruita solo dopo la concessione della libertà di culto per i cristiani, avvenuta con l’editto di tolleranza, detto di Costantino, del 313.¹⁰
Da qui la data di riconsacrazione dell’altare potrebbe coincidere con quella dell’avvenuta edificazione della chiesa. Su questo punto permane qualche incertezza documentaria.
Inizialmente concepita a forma di croce latina, con l’altare maggiore dedicato a S. Pietro, un secondo altare dedicato a S. Maria venne posto nel braccio sinistro della chiesa, consacrato, secondo la leggenda, il 12 ottobre del 380.
Nel transetto sud fu posto, pressappoco intorno al VIII sec., un altare dedicato a S. Michele Arcangelo che, per questa singolare dedicazione, dovrebbe essere stato consacrato durante il periodo longobardo. Dato questo interessante in virtù di alcuni motivi decorativi a rilievo che si ritrovano specialmente sui capitelli.
Da quel periodo la chiesa dovette aver assunto una certa rilevanza e acquisito possedimenti non indifferenti.¹¹
Durante il IX secolo, nella conduzione della chiesa deve essere accaduto qualcosa di non chiarito nelle cronache documentali, perché nell 832 il vescovo di Lodi Eriberto,¹² ed alcuni chierici di S. Pietro, chiesero all’imperatore Lodovico il Pio la trasformazione della Chiesa in abbazia benedettina.
L’ipotesi è quella che occorresse maggior rigore morale unitamente a una specifica gestione delle fonti agricole di proprietà che un monastero era in grado di mettere a frutto se ben organizzato.
Venendo nello specifico alla considerazione della chiesa, si può osservare che il corpo dell’edificio si compone all’esterno, di un paramento murario in mattoni a vista, tipico stile padano con modanature molto discrete.
Per altro questi dovettero essere cotti da fornaci diverse o da squadre di artefici di diversa appartenenza, considerando le diverse modularità decorative che, a fasce orizzontali, queste mostrano.
La facciata a vela, si presenta a salienti la cui parte centrale, posta tra due alti contrafforti semicircolari, presenta il portale con lunetta, leggermente strombato, sormontato classicamente dal rosone circolare del XV sec. e da una monofora a tutto sesto.
Al di sopra di quest’ultima, entro un’edicola rinascimentale, vi è la statua di san Bassiano leggermente sottodimensionata se rapportata al contesto di inserimento.¹³
Nelle due fasce laterali della facciata, che corrispondono alle navate laterali interne ma più alte di queste ultime, si aprono, in ordine, una monofora a tutto sesto diversa dunque e di epoca diversa dalle bifore e un rosone con un’ulteriore una bifora ogivale.
La presenza degli acroteri in facciata è un richiamo esplicito alla classicità e sono con sufficienti garanzie da riferirsi a interventi attorno al XVI sec.
Il corpo basilicale sui fianchi è ritmato da una partitura regolare di lesene che ricalcano la scansione interna delle campate minori.
Al corpo delle lesene, in sommità e oltre la cornice ad archetti e dentelli a dente di lupo, si innalzano prolungamenti di contrafforti inseriti a muro che si fatica a chiamare archi rampanti.
Tuttavia questi svolgono egregiamente il lavoro di sgravio dalle pareti interne, tel peso della volte ogivali in senso longitudinale.
La visione comessiva della soluzione tecnico-costruttiva, restituisce sensazione di dinamica alternanza pieni vuoti e in dialogo con l’ambiente, come a cercare punti di intersezione/scambio fra il corpo dell’una nell’altro.
L’interno a tre navate è ulteriore scelta di adesione al modello paleocristiano, e si compone di quattro campate le laterali e di cinque la centrale, di cui l’ultima presbiterale accessibile dall’arco trionfale.
La copertura è con volte a crociera tranne l’ultima campata della navata centrale, più corta. questa è coperta con volta a botte.¹⁴
Le pareti e le volte sono decorate con affreschi degli anni venti del XIV secolo, in pieno umanesimo e sono dubitativamente riferiti al Maestro di San Bassiano.¹⁵
Le ricerche a seguito opere di pulitura sembrerebbero indirizzare però verso apporti piemontesi o comunque in un’area di forte influsso francese, individuabile specialmente nell’inquadramento puntuale e a cartiglio degli episodi di storie sacre affrescati e rimasti leggibili per una buona percentuale.
Nota interessante e di carattere fortemente distintivo è l’intervento attivo di matrice civile dei finanziamenti pervenuti anche dalle varie corporazioni della città.
Spiccano fra i soggetti, quattro carri agricoli trainanti da coppie di buoi, dipinti realizzati su uno sfondo a stelle e fiori.
Il presbiterio a struttura complessa e movimentata nelle forme dei suoi macro elementi e ulteriormente ” complicata” dalla torre campanaria che si innesta sul lato sud.
L’area presbiterale è dunque composta dalla parte apicale delle tre navate termina con l’abside maggiore e le due semicircolari minori illuminate entrambe da monofore a tutto sesto che esternamente si stagliano fra semi colonnine unenti la ghiera degli archetti pensili e la cornice di base semi interrata.
Internamente poi, la gestione dello spazio trova soluzione con una ritmicità conferita dal gioco a rilievo degli apporti goticheggianti de semi colonne addossate a pilastri che percorrono verticalmente il setto murario di appartenenza, nonché dalle modanature di sottolineatura delle bifore ( alcune delle qyali cieche e illuminate con un suggestivo sistema di diffusione) e le aperture del XV sec ad andamento circolare.¹⁶
Appaiono come epifanie, gli affreschi di più alta epoca, laddove se ne conserva la leggibilità, fra il gioco luministico e umbratile degli archi e del colonnato, entrambi vestiti da decorazioni viventi sul gioco dell’alternanza dei motivi cromatici e stellature comuni agli edifici di matrice padana.
Solo dopo un cospicuo tempo trascorso all’interno, preceduto dall’assaporare l’armonia esterna fra l’edificio e l’ambiente, può capitare di sperimentare un senso di appartenenza, molto simile a quella che esprime l’abbraccio alla persona amata: in questo contesto si viene abbracciati intimamente dalla pacata armonia e placidità del tempo che scorre accompagnato dai colori generatisi sulle pareti esterne.
La stessa pacificazione per vie di armonia cromatica, la si può assaporare internamente, accompagnando lo scorrere del tempo con lo scorrere dell’occhio lungo i percorsi che la selva di colonne e archi descrivono e che conducono infine al presbiterio.¹⁷
Questo esempio di architettura padana autoctona serba la sua maggior riserva di valore non tanto in se e per se ma per il complesso valoriale generatosi dalla sintesi con l’ambiente di inserimento.
Un insieme che conserva ancora tutte le vie di canalizzazione delle acque realizzate in alta epoca e l’area agricola circostante che ne determina un sostanziale isolamento, conferendone fascino fuori tempo e ci si augura che cosi permanga ancora a lungo.
LUCA NAVA