
BERGAMO. Fin dalla arcana, assoluta, visione filosofica, definita come metodo procedurale dell’arte, dalla pittura metafisica di artisti del pieno quattrocento, come il magistero di Piero insegna, sopra tutti, o Francesco del Cossa, non furono poeti o scultori, e in qualche caso nemmeno pittori, gli interpreti più penetranti e affascinanti degli arcani fini delle rappresentazioni artistiche.
Nemmeno artefici giunti in laguna prima e poi nelle altre corti italiane, come Van der Weiden dalle fiandre, Konrad Witz dalla calvinista Ginevra, orbitanti comunque attorno al territorio lagunare (Domenico Veneziano, su tutti) colsero con efficacia tagliente e acutezza psicologica tradotta sinesteticamente in immagine, come seppero fare gli artigiani del legno Cristoforo e Lorenzo da Lendinara, un paesino non lontano da Rovigo.
Le tensioni culturali e la vera avanguardia pittorica nel pieno quattrocento, sembrano inverarsi e avere una matrice comune anche nel passaggio dall’umanesimo al rinascimento del cinquecento.
E proprio nel pieno cinquecento, quando gli studi matematici e filosofici conoscono un progressivo intensificarsi e intrecciarsi con la teologia e le scienze naturali, altri nomi scandiscono il passo verso una meta tanto suggestiva quanto dai contorni non nitidi, di un’idea onnicomprensiva e teleologica dell’essere e della conoscenza.
E tanto piu risultano meno noti, questi artisti, quanto piu gustosamente si mostrano di una matrice eversiva rispetto al canone che allora era quello ecclesiastico ( autorità al tempo indiscussa e con potere, letteralmente, di vita e morte sui dissidenti).
Addentro alle cose dell’alchimia e della magia di quei tempi, personaggi come Andrea del castagno, Piero di Cosimo, Lorenzo Lotto, solo per citarne alcuni, hanno saputo e potuto coltivare una esistenza e un’arte al limite: limite della speculazione filosofica, limite di una vita socialmente accettata per quei tempi.
Una propensione a dipingere, nel caso del Lotto, in luoghi di provincia come Trescore, tanto quanto per importanti committenti ma, causa l’ombra di Tiziano e Tintoretto, che non avevano alcun risentimento o rigurgito patriottico nei confronti degli invasori spagnoli, a lui non fu possibile mai assurgere al grado sommo della committenza, dunque nemmeno della agiatezza e della quiete di vita pratica, tantoneno di popolarità.
Non è comunque possibile non concepire Lotto in rapporto e opposizione con Tiziano, come scriveva Berrnard Berenson la cui posizione a riguardo è espressa nel “I pittori italiani del rinascimento”.
Berenson non soltanto ravvisava un’estetica e una sensibilità irrequieta in Lotto, ma attribuiva a lui e alle sue opere una esplicita volontà di “non celebrare le glorie dell’uomo sulle cose che lo circondano; ma, nelle pale d’altare, ed ancor piu nei ritratti, mostra gente bisognosa d’esser confortata e sorretta, sia dalla religione, sia da sane ideologie ed amicizie ed affetti. Le sue figure guardano dalla tela quasi chiedendo benevolenza. La sua sensibilità troppo scoperta, nato ai giorni d’oro della rinascenza e per il quale i nuovi tempi dovevano essere carichi di rammarico e delusione” ( Berenson, 1938, pag. 39.)
Ma forse per questa linea d’ombra che lo avvolge, a Lotto non furono precluse di contro, azzardate operazioni estetico filosofiche, soprattutto quando queste trovarono espressione cosi compiuta come nelle tarsie, realizzate per gli scranni di Santa Maria Maggiore in Bergamo su suoi disegni e realizzate dall’altro genio dell’ebanisteria del rinascimento lombardo che risponde al nome di Giovan Francesco Capoferri.
Nella basilica Bergamasca della città alta, grazie all’anno della cultura fi cui la città è capitale insieme a Brescia, è stato completato il restauro del coro ligneo dei laici, parte del complesso che comprende anche quello dei religiosi. Un coro ligneo realizzato per mano del Capoferri e della sua bottega.
Si tratta di una fase che ne vedrà un’altra di diverso corso che riguarda l’intera sequenza di tarsie, realizzate con circa 34 essenze diverse, raffiguranti storie bibliche e intrise di simbologia, la cui esecuzione si colloca, per intero, fra il 1523 e il 1555.
Il coro consta di 29 tarsie narranti tematiche disegnate dal Lotto e intarsiate dal Capoferri. Nome, quello del Capoferri che non dirà molto ai più, specie in quel di Bergamo dove il Fantoni la fa da padrone e in particolare in S.M.Maggiore con i suoi confessionali.
Ma qui siamo lontani dai fasti barocchi, Capoferri parla a un pubblico piu discreto, riflessivo rispetto a quello a cui si rivolge il Fantoni.
Nella seconda parte, il coro dei religiosi, troverà un programma di recupero apposito entro la fine del 2023.
Il restauro dell’area del coro laico ha poi incidentalmente portato alla scoperta di affreschi di fine trecento a tematiche mariane, fino a oggi nascosi dagli scranni e dietro una tarsia in particolare.
Le operazioni di restauro hanno inoltre consentito di far luce sull’antico meccanismo di impostazione e movimento dei “coperchi” delle tarsie.
Smontando il livello presbiterale del coro si è potuto constatare l’abbondanza di riferimenti iconografici e neoplatonici nelle tematiche rappresentate sui pannelli che dovevano servire da coperchi: “coperchi”, per l’appunto, delle tarsie a tema pagano su quelle a tema biblico….
L’intervento di restauro ha rivelato un sistema unico e mai conosciuto prima : le sedute del coro, predisposte per ospitare un sistema a scomparsa, secondo il quale la tarsia simbolica sarebbe scomparsa dietro l’alzata della seduta a modo di ghigliottina, avrebbe lasciato invece scoperta la tarsia biblica “esponendola senza protezione “ allo sguardo (indiscreto?) di chiunque, indiscriminatamente.
In totale i 36 coperchi e delle 34 scene bibliche ideate dai due artisti bergamaschi, sono a tutti gli effetti una iniziazione a un percorso intellettuale e spirituale, che mette chiaramente in discussione molti dei dogmi comunemente accettati e invita alla contemplazione personale e attiva.
Si deve a Lotto la rielaborazione di archetipi pagani, che favoriscono l’accostamento di temi biblici a quelli dell’alchimia, alle suggestioni dell’ermetismo, citazioni mitologiche di impronta greco-romana, aderendo a un sincretismo filosofico-religioso, tipico della fine dell’umanesimo e costante presenza poetica e ideologica alle corti del rinascimento.
Immagini ambigue solo in apparenza, che divengono chiarissime nel loro significato dopo aver percorso la strada iniziatica e aver compiuto la necessaria esegesi.
Altri artisti intervennero in questa operazione raffinatissima sotto tutti i punti di vista, a partire dalla scelta delle essenze lignee alla parte iconografica per la quale fu indispensabile l’apporto di Girolamo Terzi; teologo francescano, mentre i disegni e la profilatura sono tutte del Lotto, al quale nel 1528 succedette il Capoferri ed altri aiuti provenienti dalla sua bottega.
Si deve invece a Bernardo Zenale da Treviglio il progetto della struttura architettonica di supporto del coro.
Strutturato su due livelli, il complesso corale consta per ogni scranno, di una struttura composta da architrave e bifora, entrambe affacciate sulla navata della basilica. La decorazione a grottesche con temi a rilievo è tema tipico del rinascimento, soprattutto lombardo oltreché romano, e qui lo si ritrova nel pieno delle sue attitudini.
Le psrti piu esposte però, nel tempo hanno subito un generale annerimento che ne ha reso necessario il recupero.
La città di Bergamo ha reso pubbliche tramite pubblicazione, la corrispondenza epistolare fra il Lotto e i reggenti della Misericordia Maggiore di Bergamo, di trentanove lettere datate fra il 1524 e il 1532, inerenti la realizzazione dei cartoni del progetto del coro: si parla di circa 70 disegni, tradotti in tarsia.
Le lettere testimoniano altresì le istruzioni e aggiornamenti fra artista e committenza e al contempo documentano diverbi frequenti e il progressivo deteriorarsi dei rapporti fra le parti.
Pittore “solitario” Lotto lo è davvero, lo è stato nel senso più pieno del termine, e non con enfasi sull’aggettivo a lui riferito, solo utilizzato all’occorrenza per costruire un’immagine.
Di scarsa fortuna nella Venezia monopolizzata da Tiziano e Tintoretto, il nostro ha lavorato nella penombra (un po come i Bassano) e i suoi lavori, nonché le sue frequentazioni da cui non son disgiunti, restano per noi oggi un intrigante e ravvivante stimolo di scoperta: emozioni e tensione animistica verso il mistero, che i pur grandi nomi, ormai fin troppo inflazionati, non sono più in grado di stimolare.
In appendice a quanto riguarda l’argomentazione strettamente artistica, si pone necessario l’invito a una riflessione su una constatazione.
Forse sarebbe il caso di interrogarsi, dopo aver vissuto i momenti topici di inizio anno, se le città interessate a eventi come l’elezione a capitali della cultura come appunto Bergamo e Brescia per il 2023, siano predisposte ad ospitare “sostanzialmente” la cultura e se non sarebbe meglio, pienamente compiuta e coerente tale elezione, corroborata con il sostantivo “cultura”, se si promuovessero i – Veri Valori – culturali e le riscoperte su solide basi esegetiche.
Nella fattispecie un evento come la mostra su Cecco del Caravaggio, riscoperto da Gianni Papi, e per l’occasione, valorizzato dalla pinacoteca Carrara, si pone come un faro nella notte, insieme a questo, che rivaluta il Capoferri e Lotto, di minor risonanza per gli scranni del coro di S.M.Maggiore.
La domanda sorge spontanea: occasioni simili, (al di la di eventi mondani che li accompagnano, e rappresentano un virtuoso indotto economico), non dovrebbero in primo luogo favorire a che queste riscoperte trovino piu frequente favore e finanziamenti presso gli enti predisposti allo scopo?
La risposta potrebbe sembrare scontata quanto la stessa domanda che ne è all’origine, ma non lo è.
Di fatto, visitando in questi mesi la città di Bergamo, ( ma iniziative simili si sono ad ora verificati anche a Brescia), oltre che le pur necessarie e già abbondanti attività ed esercizi di svago e ristoro presenti in città alta, quel che risulta immediatamente evidente e a tratti invasivo, è il complesso di distrazioni allestite per l’occasione, poco affini alla tradizione dei luoghi, mentre molti altri, propri della cultura storica come numerose chiese ( S. Nicolò ad esempio), ma non solo, continuano a risultare visitabili in una esigua, ridicola quanto ristretta fascia oraria.
A questo si aggiunga, la non lusinghiera figura a cui si espone la città, la curia o chi, di propria iniziativa ha deciso e stabilito il pagamento di un biglietto il cui costo arbitrario, un visitatore qualsiasi in questo periodo( e c’è da augurarsi che la, cosa termini quanto prima) si sente rivolgere qualora si appresti all’ingresso della chiesa maggiore: un conto è l’offerta, altro è lucrare in ambiente sacro, e di questa seconda fattispecie qui, sembra evidente, si stia verificando.[…]
LUCA NAVA