
MILANO. «L’arte non ha bisogno di riuscire simpatica, ma esige grandezza». Queste parole di Mario Sironi ben sintetizzano il suo pensiero artistico e accompagnano idealmente l’antologica allestita, fino a 31 marzo, al Museo del Novecento.
La rassegna, intitolata “Sintesi e grandiosità”, propone oltre cento opere disposte in ordine cronologico. Esse illustrano efficacemente il percorso espressivo di uno dei maggiori maestri del Novecento che, nonostante abbia conosciuto le correnti sperimentaliste dell’epoca, dal Futurismo al Surrealismo, dal Fauvismo al Simbolismo, sino all’esperienza di Novecento, è riuscito a rimanere sempre se stesso.
E ha fatto anche molto di più. Nonostante il ventennio, non si può definire “un pittore di regime”, avendo infatti una propria autonomia più indirizzata verso l’uomo, e l’esistenza in modo particolare, piuttosto che all’esaltazione dei temi cari al regime.

Un’autonomia intellettuale, questa, che consente di guardare ai suoi lavori come a una testimonianza di un periodo storico di grandi mutazioni di cui Sironi è stato attento osservatore e interprete, vivendo della sua arte nonostante le difficoltà.
La retrospettiva, curata da Elena Pontiggia e Anna Maria Montaldo, direttrice del Museo del Novecento, in collaborazione con Andrea Sironi-Strausswald dell’Associazione Mario Sironi e Romana Sironi dell’Archivio Mario Sironi, è una esposizione diffusa. Infatti, oltre agli spazi museali si amplia anche alla Casa Museo Boschi Di Stefano, può contare su prestiti dai maggiori musei italiani tra cui la Pinacoteca di Brera, Ca’ Pesaro e la Fondazione Guggenheim di Venezia, il Mart di Trento e Rovereto e collezioni private.
Dopo quasi mezzi secolo è persino possibile ammirare in una mostra alcuni fra i capolavori del maestro, come Pandora (1921-1922); Paese nella valle (1928); Case e alberi (1929), L’abbeverata (1929-30), oltre a diversi pezzi inediti. L’allestimento si apre con i paesaggi giovanili, in cui già si coglie l’attenzione al dettaglio e al particolare, così come si nota nelle figure e in un interessante ex libris.

Successivamente si osservano le sue particolari interpretazioni del futurismo, con la splendida tela dedicata al ciclismo, carica di un brillante movimento centripeto, l’esperienza di derivazione metafisica, dove però i manichini, distintivi della pittura di Giorgio de Chirico, assumono, come ha fatto osservare Pontiggia, una dimensione umanissima. Centrale è la sezione dedicata ai paesaggi urbani.
Le opere più celebri del maestro ne esprimono la grande forza visionaria, oltre sottolineare, sempre secondo la curatrice della mostra, «la drammaticità della vita». In questa sala trovano posto capolavori della temperatura stilistica come Sintesi di paesaggio urbano (1921), La cattedrale (1921), Paesaggio urbano col tram (1925-28). Gli spazi successivi riservano numerose sorprese, fra cui nudi a tema mitologico, misteriose figure femminile ammantate di mistero, sino agli ultimi lavori, dedicati ancora una volta alla complessità del vivere. Una complessità vissuta in prima persona dal pittore che dovrà affrontare la straziante perdita della figlia Rossana, che muore suicida a soli diciotto anni.
Si ha dunque l’opportunità, forse unica, di vedere riunite le maggiori opere del maestro e di approfondirne le tematiche in modo ampio e articolato, anche grazie all’ampio catalogo che accompagna il visitatore.
AUTORE: SIMONE FAPPANNI (riproduzione del testo riservata)
CREDITS. Foto d’apertura: Giorgio Denti. Altre foto: press kit della mostra. Le immagini sono inserite al solo scopo di presentare la retrospettiva col presente articolo. Un particolare ringraziamento a Artemide, comunicare con stile, by Stefania Bertelli