MILANO. La Galleria Longari Arte di corso Monforte 23 (Palazzo Cicogna), a Milano, presenta la mostra Art beyond imagination, dedicata alla fotografa brasiliana Monica Silva che riporta la luce sul passato reinterpretandolo in una originalissima chiave “extra pop”.
Questi i dettagli desunti dal comunicato stampa.
L’idea di creare un ponte tra arte antica e contemporanea è venuta a Ruggero e Marco Longari, figlio e nipote della famosa antiquaria Nella che negli anni Cinquanta riuscì a far innamorare gli italiani della scultura medievale e rinascimentale: hanno chiesto all’artista brasiliana Monica Silva di impiegare un po’ del suo realismo magico e un po’ di humour, per attualizzare cinque opere del ‘400, ‘600 e ‘700 dando loro una nuova vita con cinque scatti d’autore.
Nella mostra, infatti, accanto a ogni opera d’arte antica sarà affiancata la rispettiva rivisitazione fotografica con l’obiettivo di annullarne la distanza temporale. Monica Silva integra nella sua ricerca nuovi sviluppi linguistici e tecnologici come ha già fatto in Lux et filum sempre a Milano, una delle sue mostre più sorprendenti in cui ha tradotto l’arte di Caravaggio con un’opulenta scenografia barocca che ha generato nella critica stupori incantati. Questo accade, di solito, con le sue foto perché scoprono il lato insolito, misterioso e prodigioso delle persone e delle cose.
Si parte con Angel Gabriel’s White Light, una scultura lignea senese del 1400 raffigurante un angelo annunziante che nel corso dei secoli ha perso ali, aureola e il giglio che aveva tra le mani. Finendo per essere riconoscibile solo dalla sua postura. Queste “mancanze” sono state lo spunto per ritrovare ciò che aveva perso. Intanto, l’artista lo ha impacchettato in un tessuto dorato citando la Venere e l’Enigma dell’Isodore Ducasse di Man Ray e le legature sbalorditive di Christo. Poi lo ha trasformato in un santino avvolto in led fluo che ha moltiplicato in un trittico fotografico in rosso, verde e blu. I colori che mescolati insieme diventano bianco puro, cioè la “white light”, la luce dell’angelo Gabriele. Infine, la tecnologia digitale, gli ha ridato le ali ricostruendole con tessere in resina che ricordano l’effetto mistico delle vetrate delle chiese e che saranno esposte nella mostra fotografica di novembre.
Insomma, la fantasiosa ed energica versione brasiliana che nessun angelo avrebbe mai osato immaginare.
Le altre quattro opere riscrivono la storia e il presente di altrettanti capolavori antichi.
Do androids dream of electric sheep? ha lo stesso titolo del romanzo di Philip K. Dick da cui Ridley Scott ha tratto il film Blade Runner. «Ma gli androidi sognano pecore elettriche?», si è chiesta anche l’artista guardando Lo stampatore, il quadro di un pittore lombardo del Settecento. Ci ha pensato perché sono stati creati robot-artisti, alcuni semplici bracci robotici, altri androidi come Al-DA o Sophia in grado di dipingere addirittura autoritratti. Così, il protagonista dello scatto è uno “stampatore-androide” talmente umanizzato che sta prendendo coscienza di sé. È seduto a un tavolo mentre tiene in mano una macchina fotografica Polaroid da cui sta uscendo una foto che riproduce il quadro antico e, sul piano di lavoro, sono sparse disordinatamente foto identiche. Accanto a lui, in fila, altri androidi e il braccio robotico con cui sono stati realizzati. La Silva fotografa l’attimo di umano stupore dell’androide che, per un istante, fissa lo stampatore e sente un’inattesa e inspiegabile nostalgia per un “essere” che non è più e lo sconcerto per l’”essere” nuovo che sta diventando.
Twilight of Gods reinterpreta una piccola scultura in marmo di Pietro Bernini (il padre del più famoso Gian Lorenzo) del ‘600: San Lorenzo è raffigurato sdraiato sulla graticola, abbandonato ormai al dolore. Monica Silva si sofferma sul concetto d’estasi traslandolo dall’aspetto mistico a quello profano e fotografa un atleta con in mano un drink, sdraiato nell’atto di brindare a un tramonto ormai radioattivo (il crepuscolo degli dei, appunto). Ma è disteso sui bidoni che raccolgono rifiuti chimici anziché su un lettino e invece degli occhiali da sole indossa un visore da metaverso perché la realtà virtuale è inconsciamente assai più consolatoria. Sulla crema solare che afferra c’è scritto: F. ART – NEW FORMULA – PROTECT AND ALIENATE – INSTANT PROTECTION FROM THE REAL WORLD FOR 48 H – 5000+.
A-stoned beauty prende spunto da un frammento scultoreo in marmo della Sibilla di Nicolò di Giovanni Fiorentino del 1470. Monica Silva la ritrae di spalle prestandole il corpo di una giovane donna, appena coperta da un panneggio rosso come fosse la Venere allo specchio di Velazquez o La nude concubine di Ingres. L’elaborata acconciatura ricorda quella della testa in marmo riflessa nello specchio. I testi impilati sul piano rappresentano i Libri sibillini in cui erano trascritte le profezie. Poetessa vergine e profetessa di sciagure, quando viene posseduta da Apollo rivela il futuro: per questo, accanto a lei si scorge un riccio schiuso di castagna, simbolo della sessualità femminile inespressa. Lo scatto mostra una bellezza sensuale vissuta in modo distaccato. E freddamente sprecata.
Modern Prophets trasforma la Maddalena di Barthélémy Chasse di fine ‘600 in un’influencer.
Testimone della Resurrezione di Cristo, evangelista, primadonna del cristianesimo e infine peccatrice e mezzo di propaganda contro il proprio sesso: l’iconografia classica la dipinge come una penitente dai lunghi capelli, spesso in atteggiamento estatico, accanto a un teschio (memento mori) e con in mano un libro o uno specchio. Da “rivelatrice” Maddalena diventa oggi un’infelice influencer vittima del suo stesso ruolo/successo, proprio com’è accaduto alla sua antenata. C’è in questa fotografia tutta la ricchezza compositiva di Monica Silva che fa del dettaglio quasi un’ossessione di purismo strutturale. La donna seduta su una poltroncina del ‘700 accarezza distrattamente piume azzurre e non presta alcuna attenzione agli articoli di lusso sparsi sul set che normalmente “pubblicizza”. È scalza, come da tradizione, anche se da un’influencer ci si aspetterebbe indossasse scarpe super griffate. Morale: nasciamo nudi e col tempo ci carichiamo di sovrastrutture che non sempre rappresentano quello che realmente siamo. Finendo per lasciarci mettere in croce da uno smartphone (inserito proprio in un selfie stick a forma di croce) e da tutto quello che rappresenta.
FONTE. Testo e foto, inseriti al solo scopo di presentare l’evento: press kit Ufficio stampa Studio Esseci