
MILANO. La più genuina cultura rinascimentale di matrice Bergamasca va in scena nel capoluogo milanese e non in una galleria qualunque, ma le gallerie di Piazza della Scala, le Gallerie d’Italia, confermando la gittata nazionale dell’evento che vede protagonista, fino al 1 aprile, Giovanni Battista Moroni.
La rinascita è celebrata attraverso i volti dei personaggi che furono con un rimando a quelli che ora sono, di quella realtà locale con eco nazionale. Moroni, bergamasco (1521-1580), si pone come il campione del “ritratto al naturale”
In questa rassegna prevalentemente ritrattistica, presenziano, grazie all’apporto di numerosi e prestigiosi prestiti internazionali, esempi della fisiognomica rinascimentale che si articola in nove aree tematiche e in qualche caso, cronologico.
Se Moretto si pone come vessillifero di questa circostanza Savoldo e Lorenzo Lotto, ne sono gli scudieri solo nominalmente.
Lo scenario storico-politico e religioso è quello del Concilio Tridentino, per cui insieme ai volti dei mestieranti compaiono diverse tipologie di ritratto da quello devozionale, caratteristico della controriforma, a quello più propriamente celebrativo, che non tralascia di considerare occasione di analisi fisiognomica anche attraverso l’occasione di sperimentare tramite l’impostazione delle pale d’altare.
Della pregevole opera complessiva del Moroni ne parla diffusamente Bernard Berenson, (responsabile della fuga di buona parte delle opere rinascimentali italiane in Inghilterra e oltreoceano in anni in cui i controlli doganali lo consentirono colpevolmente) ma lo fa come riflesso dell’opera del di lui maestro, il Moretto, che invero ebbe gittata più limitata in tema di verità e rappresentatività, nel suo celebre ” Gli artisti italiani del rinascimento”.
L’opera Moroniana si diparte fra opere devozionali e di un naturalismo sorprendente, in relazione all’altezza cronologica considerata e al contesto di riferimento.
Più merito alla figura di Moroni ritrattista e dunque naturalista, viene certamente dalla penna di storici con una attenzione meno selettiva rispetto al magnate della cultura inglese, a lungo di istanza a Firenze e con una predilezione per quell’area culturale.
Ci si riferisce in particolare qui al Lattuada nonché dall’abate Lanzi e al l Burkhardt, e infine il Longhi.
Se “Il Sarto” è il titolo del quadro più rappresentativo, allora l’abito non può essere indice della sola ricchezza del portatore o di un gusto esclusivamente estetico, piuttosto si pone come lente o codice visivo e valoriale, convenzionale del sistema sociale vigente nel XVI sec. che spesso Moroni e i suoi seguaci, con ampia libertà di iniziativa aggirano, prospettando le soluzioni suntuarie del secolo successivo.
Se il ritratto è nella tradizione artistica più blasonata uno specchio della psiche dell’effigiato, dunque è normalmente perno della composizione, Moroni dedica invece all’abito la medesima attenzione che alla fisiognomica, in cui il fraseggio luministico-umbratile diviene strumento del lessico fondamentale del linguaggio moroniano.
La risultante è un’immediatezza dell’azione che più che vista è percepita.
All’apparente staticità o movimento appena percettibile delle figure, che consente di apprezzare la perizia calligrafia della restituzione degli abiti e del contesto ospitante l’effigiato, a figura intera o a mezzo Busto, si rende chiaramente percettibile la tensione psicologica del ritratto fisiognomico che mostra caratteri di un’epoca, di volta in volta differenti, che già inizia con Previtali e Savoldo, si concretizza piu chiaramente in Moretto per poi palesarsi con Moretto.
Questa esposizione mette in scena con chiarezza, come chiarisce Frangi nel suo contributo al catalogo, la matrice realista di un’area, quella del Ducato di Milano sul confine con l’area di influenza veneziana, per mano di Moroni e dei suoi sodali.
Un’Influenza, quella veneta, apportante linguaggi meno rigidi, meno strutturati e più inclini alla definizione della realta tramite valori tonali che Moroni soltanto sfiora.
LUCA NAVA