MUNCH, IL GRIDO INTERIORE: CENTO OPERE IN MOSTRA A PALAZZO REALE

Edvard Munch Notte stellata 1922–24 Olio su tela, 80,5×65 cm Photo © Munchmuseet, immagine inserita al solo scopo di presentare la mostra, fonte: press kit if stampa dell’evento.

MILANO. Addentrarsi nell’universo creativo di Edward Munch significa intraprendere un “viaggio” all’interno dell’animo umano. L’artista, infatti, possiede una profonda capacità introspettiva che traspone in tela di raffinata fattura. E se tutti conosciamo molto bene il suo lavoro più celebre, quell’Urlo (eseguito in diverse versioni) che tanto impressiona già a una prima osservazione, la mostra allestita in questi giorni, e fino al 4 gennaio, nelle sale di Palazzo Reale, a quarant’anni esatti dall’ultima retrospettiva, consente di conoscere a fondo un creativo che ha saputo concentrarsi sul senso dell’esistenza con rara sensibilità

. Antesignano dell’Espressionismo, eccellente simbolista, l’artista norvegese è fra i più illustri interpreti delle inquietudini che scuotono l’esistenza, sia un’ottica personale che collettiva.

L’evento, promosso dal Comune meneghino con il patrocinio della Reale Ambasciata di Norvegia a Roma, vanta la collaborazione con il Museo Munch di Oslo. Va sottolineato che quel senso di malinconia e, a volte, di disperazione, presente nei suoi lavori è, almeno in parte, il riflesso della sua vita, contrassegnata da strazianti dolori; la prematura perdita della mamma e della sorella maggiore Sophie, stroncata nel 1877 da dalla tubercolosi, la tragica morte del padre e, non di meno, la travagliata relazione con la compagna, Tulla Larsen.

Ecco, allora, che “l’urlo” di Munch passa a essere non solo il grido disperato di un uomo, ma il simbolo di quanti vivono una condizione simile cercando un’ancora salvifica, quell’ancora che l’artista norvegese ha trovato nella via dell’arte, sia nelle figure quanto nei paesaggi, ritratti con passione e trasporto autentici, con apicalità che per certi aspetti si soffermano su quel “male di vivere” su cui si è magistralmente espressa la poesia di Eugenio Montale.

Simone Fappanni, ideatore di Art is line blog, in visita alla mostra

L’esposizione meneghina, curata da Patricia G. Berman, è sicuramente da non perdere, in quanto descrive la parabola esistenziale e creativa di questo maestro del Novecento attraverso un centinaio di opere, fra cui spiccano una delle versioni litografiche custodite a Oslo de L’Urlo (1895), La morte di Marat (1907), Notte stellata (1922–19249), Le ragazze sul ponte (1927), Malinconia (1900–1901) e Danza sulla spiaggia (1904). Da sole valgono la visita. In esse, e negli altri lavori esposti si ritrovano tutti i temi cari all’artista: il senso della nascita, della vita, della morte, ma anche l’amore e il disagio, oltre che l’erotismo, filtrati da una sensibilità che riesce a concertare tecnica, espressività e senso del colore in immagini di potente forza evocativa.

«Non dipingo la natura: la uso come ispirazione, mi servo dal ricco piatto che offre. Non dipingo cosa vedo, ma cosa ho visto».

Ed è proprio lo sguardo, o meglio “l’occhio interiore” a essere “protagonista” della parte iniziale dell’allestimento che confluisce in opere dove emerge prepotentemente la sua interiorità, grazie anche a viaggi di formazione in varie località francesi dove si accosta a misure espressive variamente riferibili all’Impressionismo e, forse ancora di più, al Neoimpressionismo. Nella seconda sezione a essere protagonista è la malattia. Essa, come spiega lo stesso Munch, «fu un fattore costante durante tutta la mia infanzia e la mia giovinezza.

La tubercolosi trasformò il mio fazzoletto bianco in un vittorioso stendardo rosso sangue. I membri della mia cara famiglia morirono tutti, uno dopo l’altro». Ancora una volta Edward si aggrappa alla vita grazie alla sua arte, fissando la sofferenza e il dolore il tele di rara drammaticità che vedono i corpi consumarsi inesorabilmente. Proseguendo nell’allestimento si ritrovano, nelle opere, le idee espresse nei suoi numerosi scritti, in primis nel “Manifesto di Saint Cloud”, con lavori che esaltano quella che lui definisce  «grandiosità della sessualità».

La quarta parte della mostra milanese approfondisce, invece, il rapporto dell’artista con l’Italia, con un particolare riferimento al suo primo viaggio nel nostro Paese nel 1899, insieme alla fidanzata, in cui resta letteralmente sedotto dalla pittura di Raffaello.

Ne discendono dipinti intensi e profondi, ispirati alla Terra, vista nella sua forza vitale e vitalistica, per giungere alla ritrattistica e all’autoritratto, mezzo prediletto di autoconoscenza e di scoperta. 

SIMONE FAPPANNI (riproduzione del testo riservata)

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