NOEL W ANDERSON: IT’S MAGIC. MOSTRA ALLA FONDAZIONE MUDIMA

Un’opera in mostra, press kit Ufficio stampa Nora Comunicazione

MILANO. Attraverso i volti noti dei grandi sportivi afroamericani Anderson denuncia la sostanziale invisibilità degli uomini di colore al di fuori dei contesti di spettacolarizzazione proposti dai mezzi di comunicazione. 

Con la sua arte, Noel W Anderson ci ricorda ancora una volta che “Black Lives Matter”. Con la personale “Noel W Anderson. It’s Magic” la Fondazione Mudima di Milano spinge l’arte oltre la barriera del pregiudizio. Nella sua prima mostra italiana – fino al 17 dicembre – l’artista americano riflette sulla narrazione distorta che i media propongono dell’identità nera, invitando il pubblico a riconsiderarla da un punto di vista differente.

Nei ventiquattro arazzi esposti – di grandi dimensioni, tutti tessuti a mano e realizzati per l’occasione – Anderson altera immagini d’archivio tratte dalla televisione, dalle riviste e da altri media e crea, con incredibile verosimiglianza, l’impressione di guardare uno schermo televisivo: unisce così la tecnica antica della tessitura alla cultura visiva contemporanea della fotografia e delle immagini in movimento.
 
Sono i volti noti dei grandi sportivi afroamericani i soggetti che ritornano nei maestosi arazzi dell’autore: il titolo stesso dell’esposizione – “It’s Magic” – riprende quello di una delle opere esposte nella quale è ritratto Magic Johnson, campione della NBA Hall of Fames e dei LA Lakers. L’artista usa infatti il basket e le sue icone – come Michael JordanSpud Webb o, appunto, Magic Johnson – per sfidare chi guarda a ripensare il proprio rapporto col corpo nero “esibito” davanti a un pubblico di bianchi.  
Ma “It’s Magic” vuole anche essere un richiamo al magico e al sovrannaturale. L’artista infatti capovolge le immagini, gioca con le ombre attraverso le quali i corpi si dissolvono trasformandosi in altro. Questo gioco di riflessi governa la percezione e allo stesso tempo inganna chi lo osserva. In modo altrettanto “magico”, Anderson smaterializza la figura in astrazione pizzicando i fili e tirandoli fuori fino a creare grovigli di cavi che ricordano quelli elettrici, sebbene -qui- l’energia che vi passa sia sovrannaturale.
 
Le immagini che rimandano alla statuaria bellezza dei corpi trasformati in icone sono quelle alle quali la comunicazione globale ci ha abituato ma che non rispecchiano la vera natura dell’uomo che ne diventa invece protagonista.
Rifacendosi alle riflessioni di alcune figure intellettuali di spicco della cultura afroamerica – come lo scrittore Ralph Ellison e il teorico Franz Fanon – Anderson denuncia la sostanziale invisibilità degli uomini neri al di fuori dei contesti di spettacolarizzazione proposti dai media e ambisce ad attribuire una nuova narrativa all’identità maschile nera.

L’interesse di Anderson per le conseguenze culturali delle immagini comincia nel 2017 per giungere sino ai suoi lavori più recenti: opere in mostra come Make me come out myself (2021, 244×183 cm), Spectral Shout (2020-21, 198×145 cm) e Le Bron Van Trill Again (trillingen) (2020-21, 193×137 cm) sono frutto di un imponente lavoro manuale in cui l’artista riconduce nella contemporaneità la tradizione dell’arazzo antico, usato come alternativa alla pittura per raccontare scene di vita quotidiana.
Ma è anche la fatica del popolo nero che, ridotto in schiavitù, raccoglie il cotone a riecheggiare nelle opere intessute di Anderson che cerca così di riannodare i fili delle sue origini.
 
Accompagna la mostra un catalogo edito da Mudima, con un testo critico di Jade Barget.

FONTE. Testo e foto, inseriti al solo scopo di presentare l’evento: press kit Ufficio stampa Nora Comunicazione